Recensione lontano dal paradiso regia di Todd Haynes USA, Francia 2002
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Recensione lontano dal paradiso (2002)

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locandina del film LONTANO DAL PARADISO

Immagine tratta dal film LONTANO DAL PARADISO

Immagine tratta dal film LONTANO DAL PARADISO

Immagine tratta dal film LONTANO DAL PARADISO
 

Ambientato nella piccola e tradizionalista Hartford (Connecticut) degl'anni '50, "Lontano dal Paradiso" racconta il progressivo declino di una classica "famiglia perfetta" americana e, in particolare, il dramma di una donna trasformatasi in poco tempo da moglie e madre ideale, invidiata da tutte le signore per bene, ad oggetto di scandalo per l'intero paese.

"Lontano dal Paradiso" è un film insolito, che colpisce prima di tutto per la sua incredibile delicatezza e per la compenetrazione perfetta di sentimenti, colori, paesaggi e musica. Pacato nelle scene e nei dialoghi, è stupendo il modo in cui riporta con gentilezza, ma allo stesso tempo con decisione, ad un mondo ormai quasi completamente dimenticato, sopratutto dalle nuove generazioni che ne hanno solo una vaga immagine.
L'opera di Haynes richiama, infatti, con maestria "i film di una volta", quelli "senza volgarità e senza scene cruente, che non si vedono più", eppure si spinge molto oltre rispetto a loro, mostrando esplicitamente e senza troppi patetismi, quello che i film di una volta preferivano solo accennare; si tratta di tematiche di grande importanza ed attualità, come l'omosessualità, il razzismo e soprattutto l'ipocrisia del perbenismo, nonché l'irritante forza omnipervasiva della più strisciante forma di controllo sociale: il pettegolezzo. Tutte problematiche che affliggono direttamente la vita della protagonista, la cui difficile esperienza arriverà ad esemplificare ed incarnare la faticosa affermazione di valori fondamentali, oggi dati per scontati, ma troppo spesso distorti ed inflazionati. Non si tratta solo della tolleranza e della capacità di "guardare oltre alla superficie e al colore delle cose", ma anche del coraggio e della forza di "essere soli in una stanza", di non dare per scontato il proprio destino, di lottare per la propria dignità ma anche di sacrificare i propri istinti per il bene delle persone amate. "Lontano dal Paradiso" non mette in scena solo la storia di una vita difficile, frustrata e provata dall'improvviso crollo delle "certezze borghesi", ma anche, e sopratutto, la storia di una forza rara e straordinaria, così insolente da elevarsi sopra il pregiudizio ed aprire la mente, ma anche modesta e discreta; una forza a suo modo dolorosa, che non si perde nell'autocompiacimento e difficilmente è riconosciuta in tutto il suo valore: insomma, una forza destinata ad essere pudicamente celata e bandita dal mondo delle apparenze, insieme agli stessi "scheletri nell'armadio" che cerca di esorcizzare.

Si tratta di un film "sui generis", probabilmente non adatto per chi va al cinema per distrarsi, per incontrare fugacemente il mondo dei suoi sogni, e non certo quello delle sue paure. Questo film mostra, infatti, le sfide che nessuno vorrebbe mai essere costretto ad affrontare; sfide che spesso sì perdono e che difficilmente portano al classico e rassicurante lieto fine. Proprio come nel caso della piccola, grande Cathy Whitaker (mirabilmente interpretata da un'elegante e poliedrica Julianne Moore), che dalla sua lotta con la vita non ottiene l'amore perfetto, il riconoscimento sociale o qualsiasi altro privilegio concreto, bensì un bene intangibile, anche se molto prezioso e poco diffuso: la completa indipendenza, sia materiale che mentale, e la consapevolezza della propria forza spirituale, che le permetterà di superare il dolore ricostruendo la sua esistenza come vuole, nonostante tutto e tutti (vittoria tra l'altro brillantemente accompagnata ed evidenziata dalla colonna sonora, che con una melodia trionfale spezza ogni residuo della tristezza del classico addio alla stazione, preannunciando la prossima rinascita della protagonista).

"Lontano dal paradiso" è quindi un capolavoro di stile ed eleganza, che anticonvenzionalmente (rispetto alle tendenze del cinema di oggi) svela l'ipocrisia della "normalità" procedendo per armonici "chiaroscuri" , cioè attraverso l'accostamento di atmosfere soffici e ovattate, dominate da scene quasi dipinte, dai colori puri e brillanti, a situazioni di cupa e sofferente tristezza, in cui le emozioni che trapelano dall'intensità degli sguardi, si liberano dal loro guscio di discrezione per raggiungere l'inerme spettatore, che difficilmente riuscirà ad innalzare una barriera emotiva capace di difenderlo dalla cruda sincerità di un dolore "di tutti i giorni", a stento soffocato tra le lacrime versate sulle coperte o, di nascosto, dietro al cespuglio del giardino.

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Recensione a cura di Noxia - aggiornata al 09/02/2004

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