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1943: Dopo l'armistizio e la successiva fuga da Roma del re Vittorio Emanuele III e del capo del governo Badoglio, la capitale è nelle mani dei tedeschi.
Ottobre: Kappler, comandante della polizia tedesca richiede alla comunità ebraica dell'Urbe 50 chili di oro, altrimenti duecento capofamiglia saranno presi in ostaggio.
Su questo episodio reale Carlo Lizzani imbastisce il canovaccio del suo film. Non nuovo a film di argomento bellico ("Acthung! Banditi" è del 1951), Lizzani ritorna all'epoca della guerra civile italiana (1943-1945) nel 1961 anno che vide una sorta di rivisitazione in grande stile dell'epoca, con molte pellicole realizzate da registi prevalentemente di sinistra.
Lizzani si sofferma sugli sforzi da parte della comunità ebraica di rinvenire l'oro necessario allargando il suo sguardo a storie "private" (intreccio tra grande e micro storia), riguardanti il giovane Davide, calzolaio che più che ebreo si sente italiano, contrario al ricatto germanico tanto da arrivare a rompere definitivamente i ponti con la sua comunità originaria per unirsi con la resistenza partigiana, e l'ex studentessa Giulia, figlia di un timido professore allontanato dalla docenza perché israelita. La ragazza vive una tenera storia d'amore con il coetaneo cattolico Massimo, ma è combattuta dal sincero affetto per il ragazzo e l'appartenenza al suo gruppo religioso originario.
L'azione, divisa in sequenze (Davide, Giulia, l'oro che arriva e viene messo alla pesa in comunità), è accompagnata dal lento ticchettìo dell'orologio che segna i tragici minuti che dividono la comunità dalla finta promessa di salvezza.
Lizzani più che il movimento privilegia la parola, realizzando una pellicola di stampo quasi teatrale, e la gestualità. Simone, membro attivo della comunità ebraica, poi spinto a un gesto drammatico dalla disperazione, recita prevalentemente con lo sguardo dolente di chi da secoli sa o crede di essere destinato all'eterno soffrire, mentre il risoluto Davide ha lo sguardo fiero di chi non vuole arrendersi, simbolo di una nuova alleanza tra una comunità da secoli ghettizzata e il nucleo che la ospita.
La scelta di allontanarsi dal suo gruppo da parte di David è indizio di un senso di appartenenza alla nazione più che a una fede, a dimostrazione che le due cose possono e devono coesistere, a differenza della scelta finale di Giulia che invece decide di consegnarsi a un destino già scritto.
Recitazione di alto livello condivisa da tutti gli interpreti (accanto ad attori italiani ci sono anche i francesi Gérard Blain e Jean Sorel). Grande attore, maschera malinconica e professionalità forte, Andrea Checchi, nel ruolo del padre di Giulia, rappresenta il vinto, chi ha conosciuto un mondo migliore e avverte chiaro lo spettro del baratro.
Angosciante come un thriller, drammatico, asciutto, "L'oro di Roma" ha però alcuni limiti narrativi di fondo, rappresentati proprio dalla relazione amorosa tra Giulia e Massimo e dal loro atteggiamento troppo legato a una convenzionalità cortese forse stucchevole e fuori luogo nell'angosciante sfondo.
Il regista marca su posizioni nettamente manichee non consentendo allo spettatore una scelta, perché è già deciso da che parte stanno i vari personaggi. Così le scene che vedono gli antagonisti sono fredde e asettiche, con il solito algido Kappler che recita la sua parte in tedesco spesso non tradotto o sottotitolato, inquadrando il gelido occhio ceruleo.
Da un punto di vista meramente scenografico la ricostruzione si limita agli eventi poiché la pettinatura cotonata della protagonista femminile (Annamaria Ferrero alias Giulia) e la maggior parte degli abiti indossati dagli interpreti, tradiscono la reale epoca di realizzazione della pellicola.
Tuttavia il film commuove e avvince soprattutto perché sceglie di mettere in scena un episodio poco noto a noi contemporanei.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 21/05/2014 15.27.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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