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I Collingwood si recano alla loro casa sul lago per le vacanze. Poco dopo il loro arrivo, la figlia Mari va in città a trovare la sua amica Paige, che lavora come cassiera in un negozio. Qui le due ragazze incontrano Justin, che le invita nella sua camera d'albergo per fumare un po' d'erba. Mentre i tre si stanno rilassando, irrompono nella stanza Krug, padre di Justin, Francis e Sadie. Per Mari e Paige è l'inizio di un incubo, fatto di stupri, umiliazioni e violenze.
Per molti versi, l'originale "L'Ultima Casa a Sinistra" (1972) si può considerare un film epocale. Versione in salsa exploitation de "La Fontana della Vergine" di Ingmar Bergman, era un catalizzatore, probabilmente a dispetto delle intenzioni degli ineffabili Wes Craven & Sean Cunningham, delle angosce di quel particolare periodo storico.
Definitiva pietra tombale sull'utopia del "Flower Power" degli anni '60, lascia intravedere in filigrana gli eventi più traumatici di quegli anni, che sancirono la fine delle illusioni e la rabbia e la violenza che ne seguirono: Altamont, la Famiglia Manson, la guerra del Vietnam.
Craven rifiutava di schierarsi, mettendo di fronte, l'una immagine speculare dell'altra, la violenza anarchica e disincantata di Krug e compagnia e quella, ammantata da una rispettabile patina borghese ma non meno letale, della famiglia americana di stampo conservatore.
Grezzo, sgradevole e di formidabile impatto, il film di Craven, ancora oggi da non affrontarsi a cuor leggero, diede vita ad una pletora di imitazioni anche in Italia, tra le quali vanno ricordate "L'ultimo treno della notte" (1974) di Aldo Lado e "La casa sperduta nel parco" (1980) del buon Ruggero Deodato.
Dopo il successo del remake de "Le colline hanno gli occhi", diretto dall'ottimo Alexandre Aja, Craven & Cunningham hanno pensato bene di perseverare e di approntare una nuova versione del loro esordio (o quasi, considerando il "Together" con la compianta Marylin Chambers) ad uso e consumo del pubblico giovane, prodotto dalla neonata "Midnight Pictures".
Che cosa è rimasto dell'originale, in questo remake firmato dal greco Dennis Iliadis? Com'è ovvio, assolutamente nulla. La sceneggiatura di Adam Alleca e Carl Ellsworth, già autore dei mediocri "Disturbia" e "Red Eye", segue un solo, decisivo imperativo: smussare gli angoli. S'intuisce che la motivazione risieda nell'esigenza di confezionare un prodotto più fruibile, adatto per le masse festanti che infestano i multiplex, e che non dia loro troppo da pensare.
I cambiamenti sono pochi ma sostanziali, tutti tesi a normalizzare l'insostenibilità della pellicola originale. I Collingwood, il padre medico, la mamma insegnante, la figlia Mari, sono la tipica immagine della famigliola perfetta da spot pubblicitario e, anche se a un certo momento se la vedranno davvero brutta, alla fine i malvagi verranno giustamente puniti e la ricomposizione del nucleo familiare avrà la meglio su tutto. Per carità, niente conflitto generazionale o problematiche di alcun genere. Il personaggio di Justin/Junior è stato pesantemente modificato e ambiguità e sottotesti scivolano in secondo piano, quando non sono addirittura assenti: Krug e i suoi amici sono il male, e pertanto devono essere estirpati senza farsi troppi scrupoli. E allora via a grafiche martellate nel cranio e a mani maciullate nel tritarifiuti, un po' torture-porn un po' Looney Tunes, e ad una ridicolissima pena del contrappasso, riservata nel finale al perfido Krug. Inutile dire che l'evirazione a morsi, praticata da Emma Collingwood ad un laidissimo Weasel, è stata epurata dal moralismo di ritorno, insieme al senso complessivo del film. Tra l'altro la truculenta vendetta dei Collingwood, che nell'originale era poco più di una sanguinolenta appendice, qui occupa una buona metà del minutaggio, mettendo a dura prova la benevolenza dello spettatore, vista la manifesta incapacità di Iliadis nel costruire un minimo di tensione.
Anche sul versante attoriale, non è che ci sia da stare allegri: se la Mari di Sara Paxton è una credibile vergine violata, i genitori Emma (Monica Potter) e John (Tony Goldwin) sono poco più di funzionali comparse, mentre il sociopatico Krug del muscolare quanto inebetito Garret Dillahunt non ha un grammo della efferata cattiveria di David Hess. Unica nota positiva la fotografia di Sharone Meir, non priva di sottigliezze, che coglie nel segno almeno dal punto di vista paesaggistico, rendendo sopportabile una regia di routine.
Edulcorato, annacquato e rassicurante come tutti gli horror degli ultimi anni, tranne quelli francesi ("Martyrs" docet), "L'ultima casa a sinistra" non ha altre ragioni di esistere che non siano quelle commerciali, e dimostra una volta di più l'impossibilità di riproporre dei "classici" o presunti tali, che hanno un significato proprio in ragione del periodo storico in cui sono stati realizzati.
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Recensione a cura di Nicola Picchi - aggiornata al 09/07/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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