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L'ultima regina di Francia è forse la figura femminile storica più contestata, nonché uno dei personaggi storici più conosciuti dell'Era Moderna. Il regno di suo marito Luigi XVI (1774-1792), determinò lo scatenarsi della Rivoluzione Francese (1789) che pose fine definitivamente all'Ancièn Regime. Determinante però fu l'opinione pubblica sulla regina: Maria Antonietta divenne il capro espiatorio di una situazione economico-sociale che era stagnante e tremendamente deficitaria già prima che l'arciduchessa d'Austria venisse data in sposa al delfino di Francia. Il contrasto tra la tragica condizione della popolazione francese e l'opulenza spudorata della corte di Versailles fece capitolare la situazione cosicché Luigi e Maria Antonietta subirono la pena di morte con la ghigliottina per alto tradimento. La figura della regina da sempre accompagnata da pettegolezzi, vere e false notizie, è stata più volte rimaneggiata, arrivando a dividere le opinioni degli storici. Agli inizi dell'800 ci fu una grande opera di riabilitazione della reputazione dei due reali, arrivando a riconoscere in Maria Antonietta una "regina martire". Ancora oggi comunque i pareri sono discordanti. Certo è che è impossibile stabilire fino a che punto arrivasse la consapevolezza e la responsabilità della donna nelle decisioni politiche di quegli anni. E' altrettanto sicuro che il maschilismo e l'atteggiamento anti-austriaco dei francesi (fino a poco prima dell'alleanza nemici storici della vicina Austria) non abbiano giovato alla nomea della regina, la quale, nonostante fosse fautrice del depauperamento delle casse del Tesoro di Francia, forse era solo una creatura depressa a cui non fu mai concesso di diventare donna.
Sofia Coppola decide di occuparsi della biografia di questa controversa figura ma non intende confezionare un film storico, non ha in mente un quadro politico sulle cause scatenanti la Rivoluzione Francese. In linea con i due precedenti film che trattano di solitudini ed estraniamenti dalla realtà di giovani donne (Il Giardino delle Vergini Suicide e Lost in Translation), Coppola sembra terminare una trilogia, ma ponendo le sue attenzioni sul passato. Basandosi sulla biografia di Antonia Fraser Marie Antoinette: The Journey, la regista vuole realizzare un ritratto della personalità di Maria Antonietta che lei inquadra come «simbolo della decadenza e della frivolezza». Non vengano perciò sprecati commenti sulle imprecisioni storiche e sulle poco canoniche combinazioni che la Coppola addotta nel suo film, perché non ha pretese di veridicità assoluta ma solo l'intento di essere un inedito specchio della più chiacchierata e odiata regina di Francia.
Austria, 1768. Antoine, figlia femmina minore di Maria Teresa d'Austria, viene informata dalla madre che è stata data in sposa al delfino di Francia Luigi Augusto. Due anni dopo, la quindicenne Antoine abbandona definitivamente la sua famiglia e la sua patria per divenire delfina di Francia, da ora in poi Marie Antoinette. Ambientarsi a nuove usanze e a regole mai conosciute prima è solo il primo degli ostacoli che la ragazza incontrerà in Francia. Nello stesso anno sposa Luigi Augusto sotto la benedizione del re di Francia Luigi XV e nel 1774 alla morte di questo, Luigi Augusto viene incoronato re di Francia come Luigi XVI con Marie Antoinette come sua regina. La vita privata della donna, tra momenti di profonda solitudine a picchi di inaudita spensieratezza, si estranierà per molto dalla realtà per poi riabbracciarla tragicamente quando la Rivoluzione Francese travolgerà il suo mondo incantato, imprigionandola per sempre come l'ultima regina di Francia.
Per poter avere un giudizio obiettivo su Marie Antoinette è necessario porsi un buon proposito: per alcuni volgere lo sguardo oltre la difficoltà estetica che può generare un film in costume, per altri oltrepassare l'ovvietà sulla magnificenza dei costumi. In tutti e due i casi si perde completamente di vista il cuore della vicenda e la possibilità di giudicare il film, l'interpretazione e la figura principale. E' vero, Marie Antoinette ha preso l'Oscar per i Migliori Costumi di Milena Canonero (già vincitrice del medesimo riconoscimento per i costumi del film di Kubrick Barry Lyndon), ma è limitante fermarsi su un aspetto che non può non essere notato. Perciò cerchiamo di procedere oltre.
Ancora bambina, Marie Antoinette è costretta ad abbandonare il luogo in cui era cresciuta, i suoi affetti, e ogni sua abitudine per motivi politici, quasi totalmente estranei a lei e sicuramente poco compresi. Nel rito di passaggio detta "remise" la ragazza si dimette da austriaca per accogliere i costumi e le regole francesi come delfina. Questa è la svolta, l'inizio della vita pubblica di Marie Antoinette e l'inizio della sua storia personale. E' anche la chiave di tutto, ciò che più Sofia Coppola voleva mettere in risalto della donna: il traumatico distacco dagli affetti per dover compiere un dovere politico a lei quasi ignoto, ma che la segnò profondamente per tutta la vita. Indifesa e ingenua approda in una terra straniera in cui, come le dirà la madre appena prima di partire, sarà sempre sotto gli occhi e il giudizio di tutti. La sua origine austriaca non è per lei un buon biglietto d'ingresso e non smetterà mai di incidere sulla sua reputazione. Kirsten Dunst diventa la "nostra" Marie Antoinette: un'ottima interprete (già scelta dalla Coppola per Il Giardino delle Vergini Suicide) che segna con maestria i cambiamenti emotivi e le evoluzioni (o involuzioni?) psicologiche dell'emblematica regina.
L'attrice mostra con naturalezza l'innocenza di una tredicenne che si cura di cose adatte alla sua età, frivolezze e giochi, timida e "d'animo gentile". Totalmente ignara di cosa la attende, accetta di buon grado le istruzioni strategiche della madre e appare teneramente afflitta dalla separazione netta e improvvisa che le viene imposta. Marie Antoinette sembra sempre estranea alle situazioni e agli eventi, da cui si lascia trasportare passivamente e con immatura noncuranza: prende i fatti per come le vengono mostrati senza che si porga ulteriori domande o si fermi a rifletterci autonomamente. Più volte viene mostrata la sua accezione infantile: abbraccia affettuosamente la "Gran Maestra della Casa della delfina" , si manifesta spontaneamente in situazioni in cui viene richiesto più contegno e non si manca di mettere in evidenza il suo essere bambina anche in una scena del matrimonio in cui si mostra la firma di Luigi XVI affiancata alla sua, visibilmente infantile, con tanto di macchia d'inchiostro finale. Tutte queste accortezze della sceneggiatura denotano l'intenzione della Coppola (sia regista che sceneggiatrice) di tendere a spiegare il comportamento della protagonista in merito alle vicende storiche che la videro colpevole verso il popolo francese.
La noncuranza di Marie Antoinette si scontra con le rigide tradizioni di Versailles: Marie Antoinette dirà «Tutto questo è ridicolo!» quando affronterà per la prima volta la cerimonia della vestizione della delfina, in cui le donne dei ceti più alti hanno l'onore di vestirla, in un rimando tragicomico di onorificenze e doveri. Questo è senza dubbio un passaggio poco esplorato nel genere pseudo-storico, e la protagonista appare più vicina al disappunto e allo stupore dello spettatore che non ai suoi contemporanei.
Appare evidente in numerose sequenze, grazie anche alla bravura dell'attrice, come la protagonista soffra della sua inadeguatezza senza sapere però come mutare la situazione. L'immaturità e la poca educazione alla vita hanno reso Marie Antoinette inguaribilmente acerba alla vita stessa. La ragazza sente gravare sulle sue spalle il peso politico della maternità senza però percepirlo come un problema intimo, ed in questo Marie Antoinette non appare mai donna, ma sempre bambina, ingenua e irrimediabilmente fuori dal mondo. Il suo estraniamento, quasi totale, alle vicende "terrene" e pratiche che le ruotano attorno inizia qui. La sua frustrazione, mal compresa persino da se stessa, viene anestetizzata dalle ricchezze e dalla possibilità di poter vedere esaudito ogni suo capriccio.
Si amplia così il divario tra la realtà e il mondo incantato di Versailles, in cui lei si rifugia fino ad illudersi che il mondo stesso non può che essere così. Dando libero sfogo ad ogni desiderio (rapportato ai tempi), Marie Antoinette, che si ritrova regina di Francia a soli diciotto anni, esprime appieno la natura frivola e spensierata di un'adolescente. Lo sfarzo dei vestiti e delle acconciature, la passione per il gioco d'azzardo,le feste e lo champagne diventano un'evasione perenne ai problemi e alle depressione da donna e da regina.
Nei momenti di assoluta lucidità Kirsten Dunst mostra lo strazio e la disperazione della solitudine di Marie Antoinette: rifiutata dal marito, invisa a molti a corte, lontana da tutto ciò che le era familiare. Quando in una sequenza correrà verso le sue stanze per poi chiudersi dentro a piangere, appare tangibile la desolazione che prova. Intorno ai fasti e alla bellezza di un mondo artefatto esplode la disperazione di Marie Antoinette, completamente sola con se stessa, spaesata e raggomitolata in se stessa.
L'immagine più singolare che viene data di Marie Antoinette è comunque quella in cui la si può scorgere immersa nella natura. La fotografia che si ferma a catturare insetti, scoiattoli e i movimenti del vento sui prati appare molto suggestiva e poetica, volta a mettere in risalto la pace e la semplicità dell'isolamento di Marie Antoinette con lo sfarzo e la soffocante eccentricità della corte a cui era sottoposta obbligatoriamente. E' sicuramente la prospettiva più intimistica e più toccante della Marie Antoinette di Coppola. Poetica e ovviamente inventata. Ma si può comunque apprezzare la sensibilità della regista che pone l'attenzione sulla voce della protagonista accompagnata da immagini bucoliche ben articolate.
Sofia Coppola illustra quindi, una Marie Antoinette intima, dandoci l'occasione di conoscere una possibile verità su un'esistenza controversa, immersa nell'eccentricità ma amante della semplicità, superficiale ma anche profondamente angosciata dalla sua solitudine. Coppola si rivolge con dolcezza alla figura di Marie Antoinette, evitando perfino di portarla sino al patibolo del ghigliottina, preferendo sfumare sull'addio della regina alla reggia di Versailles. L'approccio è insolito ma a dir poco azzeccato. La psicologia del personaggio si mimetizza con l'immagine leggendaria. Marie Antoinette è ritratta come un'adolescente di oggi con le possibilità di un'arciduchessa di ieri. Nelle movenze, nelle scelte di vestiti e scarpe, nei suoi atteggiamenti nelle feste e nelle situazioni pubbliche c'è freschezza, originalità, e sicuramente onestà. E' infatti improbabile che si possa essere esatti nella riproduzione, non tanto di luoghi e abbigliamenti, quanto di modi e costumi sociali, che spesso vengono mostrati nei film storici come riproduzione precisa degli originali. La gestualità, l'etichetta e il gergo non può essere in alcun modo riprodotto fedelmente, checché se ne dica, quindi appare onesto (e sbrigativo), oltre che gradevolmente innovativo far assumere un atteggiamento "attuale" a personaggi e situazioni lontani da noi più di due secoli, con conseguente empatia per le circostanze messe in scena.
A conferma di ciò alcuni esempi. La prima immagine che si presenta suggerisce la piega che prenderà il futuro di Marie Antoinette, che stona completamente con il preludio innocente che introduce la storia. L'istantanea di presentazione pare una copertina di Vogue che mischia rock a retrò-chic: la giovane regina è completamente abbandonata su un divanetto mentre riceve le attenzioni di una serva ai suoi piedi, circondata da sontuose impalcature di dolciumi. Per un attimo posa lo sguardo alla telecamera e fa un cenno di arrogante sufficienza volto ad ignorare le critiche. Il tutto con in sottofondo Natural's not in it dei Gang of Four, dove si dice "I tuoi rapporti sono di potere, tutti noi abbiamo buone intenzioni, ma con tutti i vincoli imposti" in cui si critica apertamente la società che non ci fa essere noi stessi e ci rende schiavi dell'economia. Così come fu Marie Antoinette.
Altrettanto originale risulta la scena nella quale Marie Antoinette si abbandona ad un'avventura con l'uomo di cui poi si innamora, il conte von Fersen: una sexy Marie Antoinette, vestita di sole calze (pertinentemente "alla parigina") e coperta da un ventaglio, ammicca maliziosamente al conte Fersen. A inquadrare la scena c'è Kings Of The Wild Frontier degli Adam & Ant, che meglio asseconda il pathos del momento rispetto ad una musica contemporanea.
Molti saranno coloro che storceranno il naso di fronte ad un simile azzardo stilistico. Ma il connubio fra musica New Wave e Rock e scene in costume rende più coerente il taglio che la regista ha voluto dare alla biografia di Marie Antoinette: inserita negli eccessi del suo tempo ma come un'adolescente di oggi in grado di poter fare tutto ciò che le salta in mente. L'intento principale è quello di indurre empatia verso il soggetto, quindi l'immediatezza del risultato è data dall'immedesimazione. L'unico modo per rendere vicina una regina di Francia di fine Settecento con il mondo attuale è ribaltare la visuale degli avvenimenti in chiave moderna.
Altra scelta contestabile è quella della lingua inglese con accenni casuali di francese. La produzione è americana, gli attori anche, ma si potevano forse evitare di mettere in evidenza l'imprecisione di comodità infilandoci battute nella lingua storica d'appartenenza. La regista, oltre a ripetere la volontà di non voler essere fedele alla storia della vicenda, ha anche precisato di non ritenere questa scelta un problema. Sofia Coppola ha chiamato in causa l'episodio in cui la bambina di due anni scelta per interpretare Marie Thèrese, che non parlava inglese, viene sorpresa dalla regista mentre parla tra sé dei fiori di campo; la scena, meravigliosamente spontanea e tenera, non poteva essere cambiata ed effettivamente non stona minimamente con l'inglese parlato nella stessa sequenza dalla Dunst.
Il cast intorno alla protagonista emerge poco, se non si fa eccezione per Jason Schwartzman (cugino della regista) che interpreta Luigi XVI, più che consono ad indossare i panni del goffo ed intimidito ragazzo alle prese con doveri troppo seri per le sue possibilità, e per Asia Argento, che impersona l'amante di Luigi XV, Madame Du Barry. Quest'ultima, in genere poco avvezza a rendere credibili i personaggi a lei affidati, riesce in questo caso a sembrare più convincente, forse anche per il ruolo impacciato e fuori dal coro della donna, una cortigiana di natura completamente contraria alla protagonista. Gli altri attori eseguono il perfetto ruolo di corte invisibile, compreso il bel Jamie Dornan, alias conte Fersen, che infatti passa praticamente inosservato.
La fotografia invade, a beneficio dell'opera, e ammalia più di ogni altro aspetto. I dettagli, perfettamente focalizzati, prendono il posto dei coprotagonisti al fianco di Kirsten Dunst, in una vivacità e varietà di colori capaci di rimanere fortemente impressi nella memoria dello spettatore. Dai dolciumi alle scarpe, dalle sale regali alle panoramiche, fino alle macro su animali e vegetali, non si è mai sazi di una tale corte di forme e variazioni. Particolarmente suggestive le numerose scene in cui la regina appare isolata nelle gallerie d'archi e vetrate della reggia o quando passeggia impensierita nei giardini. Da notare anche l'anacronistica ma suggestiva istantanea del conte von Fersen immaginato nella mente della regina su un cavallo bianco in ambientazione battagliera: la posizione e l'espressione stessa ricordano il celeberrimo ritratto di Napoleone eseguito dal Jacques-Louis David.
A fronte della scelta, poco attinente alla verità storica, attuata da Coppola, si può comunque apprezzare l'inserimento di dettagli fondati alla storia personale della regina di Francia. Le frasi di Maria Antoinette, storicamente attestate, vengono riportate nella biopic: «Non dimenticherò mai che voi siete il fautore della mia felicità!» rivolta al duca di Choiseul per le trattative del matrimonio; l'unica volta in cui la regina rivolse la parola a Madame Du Barry; le parole di gioia per la nascita della sua primogenita che, appunto perché femmina, non sarebbe appartenuta allo stato ma solo alla madre. Le imprecisioni non mancano, ma era, d'altronde inevitabile, visto l'approccio biografico scelto; così che, tra altre imprecisioni, l'intima amica Yolande de Polignac viene congedata dalla regina per non essere linciata dal popolo francese, quando invece fuggì vigliaccamente.
La biografia di Marie Antoinette vuole essere un diario sulla vita privata della regina; non è un documentario storico sul capro espiatorio della Rivoluzione Francese, ma una visione intimistica, moderna e poetica di una vita. In questo ritratto s'intravede il disinteresse di Marie Antoinette per gli affari di Stato e per la politica, ma questo non è comunque l'oggetto dell'attenzione della regista. Coppola ha cercato di rendere umana una figura spesso demonizzata o idolatrata, tracciando i lineamenti di una fragilità incompresa che ne suggerisce pregi e difetti, senza distinguere troppo gli uni dagli altri. C'è la volontà di capire Marie Antoinette, non di prenderla per forza in simpatia. Particolare ed elegante, ricco e poetico, Marie Antoinette ha un approccio fresco verso una storia usurata dal tempo e dalla leggenda.
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Recensione a cura di ele*noir - aggiornata al 29/07/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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