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Le riprese del nuovo film di Margherita (Margherita Buy) sono complicate dalle bizze dell'attore americano scritturato per il ruolo centrale (John Turturro) e da vicende personali: una storia d'amore che finisce, un rapporto difficile con la figlia adolescente (Beatrice Mancini) e su tutto la malattia della madre (Giulia Lazzarini), che si aggrava improvvisamente e la porta inevitabilmente a riflettere su se stessa.
Nanni Moretti è sempre stato in grado di bilanciare una spiccata vocazione per la commedia con un registro intellettuale molto personale (non a caso non ha fatto scuola, né ha seguito esplicitamente alcun maestro ), confezionando opere sempre ricche di contenuti e spunti, spesso esponendosi in prima persona. Come accaduto per Il "Caimano" (nel quale, pur scegliendo un ruolo marginale, chiudeva il suo "rapporto artistico" con Berlusconi iniziato in "Aprile", con l'immedesimazione della profetica sequenza finale) e per "Habemus Papam", anche in "Mia Madre" decide invece di farsi da parte e lasciare a Margherita Buy un personaggio stavolta evidentemente ispirato a se stesso, il regista importante in crisi lavorativa e personale. "Rompi almeno uno schema", suggerisce Moretti stesso, nei panni del fratello Giovanni, a Margherita, cioè a se stesso.
La mossa riesce solo in parte perché sebbene la prova della Buy sia encomiabile, l'assenza di Moretti, così capace di interpretare se stesso, si sente eccome, un po' come accaduto con Woody Allen che negli ultimi anni si è lasciato sostituire (più per ragioni anagrafiche che drammaturgiche) di volta in volta da alter-ego bravissimi (da Colin Firth a Owen Wilson e Kenneth Branagh) ma non sempre in grado di colmare il vuoto.
Come sempre in un film di Nanni Moretti, in "Mia Madre" c'è molto, ma sembra mancare la solita scintilla che dia al film dignità di grande riflessione. I temi del dolore e del confronto con la morte (e con la maturità) non sono sufficientemente approfonditi e non aggiungono molto a quanto visto ne "La Stanza del Figlio", che pure era un modo di esorcizzare una paura e non il racconto di un'esperienza vissuta (Moretti ha perso la madre durante la lavorazione di "Habemus Papam"). I personaggi secondari (il fratello, l'attore americano) hanno le medesime difficoltà ad affrontare le proprie responsabilità serenamente, ma le loro vicende restano sullo sfondo, moltiplicando senza nulla aggiungere l'esposizione dei problemi di Margherita. I fatti inerenti alla lavorazione del film e il decorso della malattia sono giustapposti, ma non sembrano parte dello stesso film. Ci sono bellissimi momenti di puro cinema, come la scena della fila infinita davanti al cinema e l'ultima, bellissima, scena, ma sono momenti che ancor più sottolineano quanto il resto sia fuori fuoco. Sebbene lo stesso Moretti abbia negato un esplicito riferimento a tale tema, la morte della madre (professoressa di lettere) sembra essere anche la storia della perdita di un'era culturale e di una generazione in grado di vivere di certezze e di valori morali indiscutibili. Le tre generazioni rappresentate nel film hanno il loro centro di stabilità nella figura dell'anziana madre e nonna, anche nel periodo in cui la lucidità inizia a mancare, mentre Margherita, come madre, sembra avere molte meno certezze da trasmettere alla figlia adolescente che si chiede a cosa serva il latino. Moretti sembra ammettere una sconfitta generazionale, sembra arrendersi ad un'insicurezza scoperta con la scomparsa della figura materna. L'interpretazione di Giulia Lazzarini è un piccolo capolavoro di delicatezza: in un film che fatica a trovare un centro e un significato, il suo personaggio ci riporta sempre a qualcosa che (ri)conosciamo e di cui non possiamo discutere l'autenticità.
L'espediente del film nel film non è nuovo nella filmografia di Moretti, ma stavolta non funziona come le altre. In "Aprile", come ne "Il Caimano", il film fittizio era mezzo per raccontare qualcosa di complementare alla storia principale, aggirando la grammatica cinematografica, mentre in Mia Madre è solo l'ambiente lavorativo che Moretti conosce meglio e in cui può far muovere il suo alter-ego, non senza la consueta dose di autoironia.
A un prima visione (perché non possiamo non essere cauti) sembra che a "Mia Madre", rispetto agli ultimi due film del regista romano, manchi un'urgenza. Non c'è sintesi e non c'è quello in cui, a parere nostro, Moretti ha sempre eccelso, ovvero puntarsi la macchina da presa addosso e riuscire a parlare di tutti. Ne "Il Caimano" e in "Habemus Papam" era riuscito nello stesso intento anche senza mettersi al centro del film, ma forse le riflessioni sull'Italia contemporanea sono state esaurite con quei due film o forse Moretti si è stancato e, come in "Aprile", ha optato infine per qualcosa di personale e basta.
Anticipando critiche come questa, Moretti fa dire a Margherita : "tutti da me si aspettano delle risposte ma la verità è che io no ci capisco più niente". Sarà deluso chi lo aspettava ancora al varco con la clava già pronta: Mia Madre è un film intimo, che racconta per una volta un'esperienza personale reale senza la pretesa di allargare l'orizzonte della riflessione al di fuori di sé. Non ci saranno presto altri film ( perché nessuno ha voglia di farli) su una vecchia madre che muore, lasciando figli adulti ma ancora confusi perché incapaci di pensare serenamente al domani e quindi ancora una volta Moretti va per una strada che nessuno segue, nel bene e nel male.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 22/04/2015 11.47.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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