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L'ultima zampata del vecchio leone non manca di lasciare il segno.
Si alzerà dalle donne il grido di ribellione dell'Africa oppressa. E sarà una ribellione pacifica, senza strepito né violenze, soprattutto senza violenze, visto quelle che hanno subito e subiscono fin da prima ancora di Cristo e di Maometto – come sottolinea il regista Sembène nell'ultimo film girato prima di morire – le donne del suo paese, il Senegal, ma anche le donne del Burkina Faso, dove si trova il villaggio di Djerisso in cui è ambientato "Moolaadé", e dell'intera Africa.
È una storia semplice e di grande efficacia quella raccontata dal film, che porta alla luce rendendola palese, la realtà drammaticamente attuale del rito dell'escissione, letto come purificazione, tra le bambine in età pre-puberale presso le tribù dei paesi africani a maggioranza musulmana.
In un ambiente di stampo patriarcale le donne non hanno alcun diritto di scegliere e di decidere per sé del loro destino. E quando lo fanno, accade quello che accade a Collé Ardo in "Moolaadé": vengono prima additate e considerate alla stregua di mentecatte anche dalle loro stesse compagne, salvo poi venire riabilitate quando dimostrano di avere coraggio e di essere nel giusto.
I fatti: Collé, seconda di tre mogli di un mercante assente dal villaggio per qualche giorno, accoglie in casa quattro bambine in fuga dalla salindé (l'escissione), offrendo loro asilo secondo l'antica usanza del "Moolaadé", simboleggiato da una corda di fili intrecciati di diverso colore (giallo, rosso e nero) tesa davanti all'ingresso, a impedire idealmente il passaggio a qualsiasi estraneo alla famiglia tenti di entrare.
Chiunque trasgredisca a questa usanza, si tirerà addosso disgrazie e malocchio.
Le bambine sembrano quindi al sicuro, ma non così Collé, che dovrà subire le percosse del marito, istigato dal fratello perché le faccia abbandonare l'insano proposito di impedire il rito della purificazione.
È però ormai troppo tardi. Il seme della rivolta, alimentato nelle donne dalla consapevolezza della propria forza d'animo e dell'inutilità di una tradizione barbarica e fuori dal tempo, complice la radio che tutte quante ascoltano e che le ha aiutate a uscire dal loro stato di arretratezza, sta per dare i suoi frutti, quando tutte assieme nel finale, inneggiando all'abbandono della sua pratica, tolgono i coltelli alle salindini (le tagliatrici) e proclamano la fine della salindé.
Non basterà agli uomini riuniti in assemblea ardere su un rogo tutte le radio di Djerisso per fermare il progresso arrivato inesorabile con la televisione, portata appresso dal figlio del capo-villaggio di ritorno dalla Francia.
Con il suo atto di rivolta contro il padre che vuole impedirgli di sposare una ragazza impura perché non escissa, la figlia di Collé Ardo, Amsatou, egli sancisce esplicitamente che è tramontata un'epoca, che gli uomini dell'Africa nuova riconoscono alle donne il loro diritto a essere madri e mogli senza dover subire le ordalie di una tradizione arcaica.
Anche se per arrivare a questo sono dovute morire, nel nome di Allah, tre bambine (una a seguito di emorragia da escissione, due altre per essersi gettate in un pozzo per sfuggire al "taglio") e un uomo, il coraggioso Mercenaire, venditore ambulante che si era alzato in difesa di Collé e per questo pagherà con la vita.
D'altronde, lo suggerisce Sembène stesso con il suo film: non esistono giuste cause senza i loro martiri.
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Recensione a cura di Severino Faccin - aggiornata al 14/12/2010 11.36.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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