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Ispiratosi al famoso romanzo di Agatha Christie "Dieci piccoli indiani", gli sceneggiatori Wayne Kramer e Kevin Brodbin ne pongono solo sette su un'isola deserta. Ma non sono "pellerossa", bensì profiler dell'FBI che l'istruttore Jake Harris (un Val Kilmer sprecato) vuole testare per un ultimo corso di addestramento prima dell'incarico ufficiale. Sulle false scene di crimine allestite per i suoi giovani allievi, tra i quali Christian Later, LL Cool J e Johnny Lee Miller, comincia ad aggirarsi un assassino vero, un serial killer nascosto tra i cacciatori di serial killer.
Partito sulla falsa riga dei thriller di genere, l'ultima fatica di Renny Harlin (che per girarlo ha abbandonato il set di "L'esorcista - La genesi") è un complesso meccanismo ad orologeria, nel senso che il tempo la fa da padrone nell'individuazione e nella speranza di neutralizzare il folle (o i folli?) nascosto tra gli stessi agenti speciali. Harlin, però, pecca di semplicismo e non riesce a mantenere adeguatamente il ritmo e le angoscianti premesse di partenza, anche a causa di una sensazione del già visto e sentito che pervade la pellicola. "Mindhunters", questo è il titolo originale, affronta il tema della conoscenza, o meglio della compulsiva necessità di studiare, indagare e riconoscere i tratti più svariati della mente umana, in questa società dove esistono persone che si schierano al fianco del male. Gli interpreti, a partire da una convincente Kathryn Morris (la vera protagonista), fanno il loro mestiere senza infamia e senza lode, interpretando il ruolo dei profiler, ossia coloro che per lavoro tendono a interpretare il movente di un individuo, gli atteggiamenti di quelli che potrebbero essere o sono dei potenziali criminali, assassini come ce ne sono stati tanti nella storia recente americana ed internazionale. Tra di loro, scelti così perché capaci quanto diversi, si nasconde un morbo, l'efferato responsabile di quello che si tramuterà in un gioco al massacro e che, coinvolgendo emotivamente lo spettatore, trascinerà nel dubbio i sette prescelti sino in fondo al convulso finale.
La storia, di notevole impatto visivo, più che giocare sulle motivazioni del killer o sui sentimenti dei profiler, indugia pericolosamente sul filo della suspence, mettendo in mostra un grosso limite per un film che gioca le sue carte sull'effetto sorpresa e che per tali mancanze rimane nella mediocrità, godibile, ma ben lungi da pellicole di genere come il recente e magnifico "Saw - L'Enigmista". L'impressione che se ne ricava al termine della proiezione, come accade spesso nel cinema odierno, è quella di un film bello a metà, diviso tra una prima parte avvincente, esaustiva ed estremamente dettagliata, dalla seconda fracassona, poco risolutiva (ad esempio in tema di movente) ed eccessivamente breve nel giungere ad una soluzione aspettata. La sensazione di trepida attesa è sicuramente ciò per cui gli spettatori pagheranno il biglietto, ma quando usciranno dalla sala non dovranno pensare che per loro sia tutto sotto controllo, perché come esordisce nel film l'istruttore Kilmer: "è bene affermarlo solamente quando si è tornati a casa".
Il sospetto potrebbe essere tra voi.
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Recensione a cura di Simone Bracci - aggiornata al 07/09/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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