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Non è certamente facile fornire un'interpretazione univoca dei contenuti di questa convincente opera prima del giovane attore russo Liev Schreiber, stante la commistione di elementi eterogenei, di forma e di sostanza. Il film mescola infatti la tessitura drammatica, legata al precedente storico della persecuzione nazista contro gli ebrei, alla componente iperreale di una sorta di strano viaggio nello spazio e nel tempo, ad opera di personaggi assai curiosi; scolpiti e caratterizzati a tutto tondo, come nel teatro delle maschere, e legati tra loro da un crescendo affettivo continuo, che li porta dalla primitiva conoscenza a profondi sentimenti di amicizia nel finale. Un processo che non lascia immune nemmeno il simpaticissimo cagnolino "meticcio" del vecchio nonno russo, che passa progressivamente da atteggiamenti ringhiosi ed isterici ad una calorosa "amicizia" col giovane ebreo americano protagonista del racconto.
Complessa la sostanza, il film è pure multiforme negli aspetti formali, coniugando elementi lirici, cromatismi inediti, paesaggi simbolici fiabeschi, in un'atmosfera onirica e surreale che ricorda non poco il cinema e, soprattutto, il teatro orientale, principalmente giapponese. Quel tipo di racconto dove si confondono sempre realtà e sogno, verità e finzione; come era, se vogliamo, tutto il teatro dei tempi più antichi. Come sia riuscita un'operazione del genere al giovane autore americano del testo, anch'egli all'opera prima, non è facile dire; forse perché ebreo lui stesso, e dunque fortemente stimolato dal suo soggetto. O più probabilmente grazie alla reinterpretazione fattane dal giovane attore neo regista Schreiber, che sembra essersi preso grandi licenze poetiche, soprattutto nelle parti conclusive. Per saperlo bisognerebbe aver letto il libro del giovane esordiente, Jonathan Safran Foer, acclamato dalla critica letteraria non meno dello stesso film. Singolare che il nome vero dell'autore sia pure quello del protagonista del film, il giovane collezionista ebreo che parte per l'Ucraina in cerca delle sue radici; in pratica del personaggio femminile che tanti anni prima aveva sottratto il nonno alla repressione nazista, salvandogli la vita. Il tutto in un paese apparentemente scomparso, che pare mai esistito, nella memoria dei contemporanei, uno dei tanti villaggetti cancellati dalla storia nell'ultima guerra, dal criptico nome di Trachimbord.
Dove il problema sostanziale, centro effettivo del film e della vicenda, diventa appunto quello della memoria, come sottintende il titolo stesso. In effetti la frase "Ogni cosa è illuminata" continuerebbe, come detto nella presentazione, proseguendo in "dalla luce della memoria": vista questa come il terreno naturale della nostra esistenza, a livello spirituale e psichico Dove nulla esiste se non attraverso il filtro dei nostri ricordi sovrapposti, mattoni portanti dell'edificio che noi costituiamo; della casa individuale che rappresenta ognuno di noi col suo portato di amicizia, amore, passioni e segreti mai scoperti, in quel lungo viaggio nel tempo e nello spazio che è la nostra vita.
Ecco, sì, il film che raccontiamo sta proprio a rappresentare la metafora del nostro vivere individuale, dove entriamo a contatto con gli altri disseppellendo gli scheletri nascosti col sorridere agli altri (se è vero che il vecchio nonno russo finge cecità per non raccontare il suo passato; il nipote accompagnatore si affeziona al ricercatore americano cammin facendo, mentre questo finisce per innamorarsi del piccolo cane sospettoso). Il quale viaggio nel tempo e nello spazio, a bordo di una Trabant da leggenda, è qui narrato con toni lirici soavi, in un'atmosfera di sogno utopico (tipica di quel genere di racconti), rallegrato in modo impareggiabile dall'elemento in più dell'ironia e dell'umorismo. Dove in effetti sta la vera grandezza del film, che sa fondere in modo armonioso gli elementi del tragico, del drammatico e del comico, che accompagnano l'intera esistenza umana. Ma che in effetti gli autori non dipingono mai nell'insieme, privilegiando invece un registro rispetto agli altri, con opere di un tipo e o dell'altro.
Pochi sanno miscelare questi ingredienti ad altissimi livelli! Per intenderci solo dei geni incomparabili, come ad esempio succedeva al compianto Massimo Troisi ne "Il Postino".
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 12/12/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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