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È indiscusso che il proletariato ha offerto al regista inglese Kean Loach, cantore della classe operaia e dei drammi del lavoro, parecchi motivi di riflessione per le sue opere, perchè tutto ciò che è avvenuto nel campo dell'organizzazione del lavoro e delle categorie produttive è avvenuto a spese di lavoratrici e lavoratori subordinati.Precariato; privatizzazioni; flessibilità del lavoro; repentino, sistematico smantellamento dei diritti dei lavoratori; attacco devastante alla struttura del lavoro; azzeramento delle conquiste del movimento operaio e sindacale ottenute con le lotte e imposte con gli scioperi e le manifestazioni di piazza, tendenti a contenere e ridurre lo strapotere padronale (diritto di sciopero, libertà sindacali sul posto di lavoro, libertà di manifestazione del pensiero, tutela contro i licenziamenti illegittimi, diritto alla rappresentatività sindacale).
Ogni cosa è stata sperimentata e applicata sulla pelle del soggetto più debole della complessa struttura lavorativa.
Il tutto in un panorama che vede i complessi industriali in gran parte smembrati, venduti, abbandonati.
Proprio delle privatizzazioni e degli effetti perversi delle nuove politiche economiche basate sulla flessibilità parla "Paul, Mick e gli altri", il film che Kean Loach ha girato nel 2001, datandolo nel 1995, ai tempi dell'ultima, grande privatizzazione statale, quella delle ferrovie, attuata dal governo conservatore di John Major a completamento della politica ultraliberista di Margaret Tatcher.
Siamo nel 1995, a Sheffield, nello Yorkshire, quando un gruppo di amici, tutti operai delle ferrovie (the navigators, gli sterratori, cioè gli addetti alla manutenzione dei binari, traversine e massicciata) si trova a dover fronteggiare gli effetti perversi della privatizzazione delle British Rail e a confrontarsi con il nuovo mercato del lavoro, fatto di licenziamenti (incentivati o solo subiti) e lavoro interinale.
Da un giorno all'altro gli inconsapevoli ferrovieri vedono la loro vita mutare completamente, quando la società per cui lavorano cambia improvvisamente nome e impone nuove regole di lavoro, dettate dal libero mercato e dalla concorrenza.
All'inizio del turno di lavoro vengono a sapere, da un cartello frettolosamente compilato ed esposto in bacheca, che le ferrovie sono state liberalizzate e che da quel momento lavoreranno per una società privata, la East Midlands Infrastructure.
Da quel momento, per loro, tutto cambia e nulla sarà più come prima. I nuovi dirigenti hanno una concezione privatistica del lavoro, gli accordi sindacali vengono considerati obsoleti e di ostacolo alla competitività.
Le nuove regole da ora in poi sono emulazione, produttività, efficienza, flessibilità, fine del posto fisso, contratti a tempo indeterminato, pensionamenti anticipati per chi non accetta le nuove regole, licenziamenti dei lavoratori in esubero, impegno a mantenere le morti sul lavoro "entro limiti accettabili".
Si deve abbassare il costo del lavoro ed essere competitivi con gli antagonisti.
E allora via l'assistenza sanitaria, via le ferie, via le spese per la sicurezza.
Paul, Mick e gli altri si scoprono privati dei diritti acquisiti dopo anni di duri sacrifici e di battaglie sindacali, scoprono che fare il proprio lavoro non basta più, che occorre ottenere contratti e battere la concorrenza, scoprono, soprattutto, che non c'è più la coesione e lo spirito di gruppo che li motivava ad andare avanti.
Pressati dalle difficoltà economiche, ben presto si rendono conto di essere costretti ad accettare le proposte dei nuovi padroni: lo stipendio proporzionato alla produttività, la parcellizzazione del lavoro, la competitività con i colleghi che fino ad ieri erano amici. Ma la beffa più odiosa riguarda l'incentivo a licenziarsi, con la promessa di un'allettante (e aleatoria) indennità speciale, per poi farsi riassumere e tornare alle stesse mansioni per conto di ditte private.
Tornano così ad essere disoccupati in cerca di lavoro, sballottati nei nuovi uffici di collocamento e nelle nuove agenzie per il lavoro interinale, senza più la certezza di uno stipendio fisso a fine mese, sottoposti a turni di lavoro massacrante, senza più la certezza di un fondo di previdenza e malattia, senza più le ferie pagate. È così, prendere o lasciare. Chi non ci sta, viene licenziato.
E Jerry non ci sta. Prima della privatizzazione era il responsabile sindacale del gruppo. Era lui che difendeva i diritti dei lavoratori, era lui che guidava le battaglie sindacali.
Ora è lui ad opporsi con maggior fermezza ai diktat dei nuovi datori di lavoro.
Ma tutto è vano, sono ormai degli sconfitti. Qualunque cosa pensino, qualunque mossa facciano, sono ormai dei perdenti. Sia che rifiutino le nuove norme, sia che li accettino complessivamente, è comunque una sconfitta per ognuno di loro. Ciò che rimane loro è soltanto la dignità e il senso di solidarietà di gruppo.Almeno fino ad un certo punto, fino a quando non accade il fattaccio, fino a quando non ci scappa il morto.
Si lavora di notte, lungo la strada ferrata, si deve fare in fretta e le norme sulla sicurezza sono di intralcio alla massima efficienza lavorativa.
Passa un treno e travolge un operaio. E allora il senso di solidarietà collettivo va a farsi benedire.
Si deve ricostruire l'incidente e qualcuno propone di camuffarlo da incidente stradale, per non correre il rischio di essere licenziati.
La proposta lungamente dibattuta alla fine viene accettata: i compagni racconteranno agli inquirenti un'altra versione dei fatti, a coronamento massimo della loro umiliazione.
A rendere il tutto ancora più deprimente c'è la loro vita privata, che Kean Loach non dimentica di documentare quasi puntigliosamente. Una vita triste e amara da disoccupati, resa viepiù miseranda dalle peripezie economiche, affrontate per poter far vivere onorevolmente le famiglie.
C'è Paul, per esempio, separato dalla moglie, e ospite provvisorio nella casa di Mick. Tenta insistentemente, per amore delle figlie, una improbabile riconciliazione con la ex moglie, ma questa non gli fa incontrare le ragazze e gli rende la vita difficile, più di quanto non lo sia già.
Pressato dalle esigenze economiche accetta di "dare le dimissioni", accetta cioè di licenziarsi per poter intascare l'incentivo promesso, e dare così una boccata d'ossigeno alla sua vita. Con il risultato di ritrovarsi senza lavoro e senza soldi, costretto a scegliere tra una cronica disoccupazione o un lavoro a ore secondo le esigenze e l'arbitrio dei nuovi padroni.
Sarà lui il testimone del tragico incidente del compagno, lungo i binari, di notte, e lui che, nel corso di un colloquio con Mick, prende atto dello "scacco matto" di cui parlava Jerry, il sindacalista.
Gli ingredienti del cinema di Kean Loach ci sono tutti in "Paul, Mick e gli altri": i problemi della classe operaia, le difficoltà delle fasce subalterne della società, l'analisi sociale e politica della collettività, i drammi del lavoro (e della mancanza di lavoro) e le situazioni complicate senza via d'uscita.
Ogni suo nuovo lavoro sembra l'aggiornamento di un lungo, drammatico film di denuncia, che racconta di quel misconosciuto microcosmo di lavoratori assolutamente ordinari, quasi l'ultima ruota del carro, e dei loro problemi quotidiani, nell'era dello smantellamento dello stato sociale.
Un microcosmo di uomini, con i loro codici e le loro regole, il loro lessico e il loro humour, i loro tratti salienti e le loro traversie.
Non c'è momento del film che non ce li ricordi, non c'è ricostruzione dell'ambiente e dei personaggi che non li documenti.
Sembra di assistere al flusso disperato di vite senza speranze, dove non c'è più posto per i valori, dove la precarietà spinge ad accaparrarsi il lavoro a qualunque costo e a qualsiasi compromesso. E non importa se si ruba il posto ad altri. E non importa se i soldi sono pochi e maledetti. Importa solo sopravvivere anche al di là del proprio io, convinti che l'amicizia maturata in anni di esperienze comuni possa sopravvivere nonostante tutto.
Altro grande merito della pellicola è quello di non sbilanciarsi mai verso il melodramma o il drammone sociale, ma di virare spesso verso momenti distensivi, se non addirittura ironici.
Tracce di questa ironia, lieve ma desolata, sono riscontrabili alle prime apparizioni del "nuovo ordine lavorativo", quando viene proiettato il filmato "didattico" per i dipendenti; quando, dapprima in modo sarcastico, poi man mano sempre più tetro, il regista si occupa della parte privata della storia (gli amori impacciati, le crisi domestiche, i goffi tentativi di recuperare precari rapporti coniugali, ormai definitivamente in crisi). Torna infine l'ironia nella caratterizzazione di certi personaggi (tipico il caso dell'uomo delle pulizie, che non riesce a fare un discorso senza infilarci una sequela interminabile di "fuck"; o quello del capocantiere, schernito dagli operai che lo chiamano ironicamente "candeggina").
Tuttavia questi lampi di ironia lasciano ben presto il posto ad una cocente amarezza: quando i protagonisti saranno (e noi con loro) costretti a scoprire l'avvilimento del lavoro precario, la mortificazione dei licenziamenti selvaggi, l'umiliazione delle difficoltà economiche, la cancellazione dei diritti faticosamente conquistati, spazzati via dalla reazione rabbiosa dei padroni delle industrie; o quando, per non rischiare di perdere il posto, camuffano da incidente stradale la morte sul lavoro di un compagno; infine, quando lasciano al solo Jerry il compito di riportare alla madre gli effetti personali del figlio morto.
È il crollo di qualsiasi valore umano, è la perdita definitiva dell'orgoglio e della stima di sè, è l'accettazione incondizionata dei compromessi morali, è il disfacimento della solidarietà di gruppo, è la consapevolezza che nulla sarà più come prima, è la presa d'atto di quella situazione di scacco matto di cui parlava Jerry, il sindacalista.
Opera moralmente fondamentale di Kean Loach, "Paul, Mick e gli altri" è la rappresentazione perfetta del mondo, a lui tanto caro, della classe operaia, e pur non essendo, forse, la sua opera migliore, è un'eccellente mix di tragedia e commedia, curata nei dialoghi e nei dettagli dei luoghi di lavoro e degli ambienti domestici, con una serie di operai-attori straordinari, capaci di esplicitare anche il non recitato, costituiti da veri ferrovieri, attori e comici locali, scoperti da Loach nella stessa Sheffield.
Questo film sembra un atto di premonizione dei tempi che stiamo vivendo, sembra precorrere gli avvenimenti che stanno accadendo, soprattutto nel nostro paese, dove si assiste ad una serie di atti di arroganza antisindacale e di violazione delle regole e dei principi democratici, che sono alla base degli equilibri sociali.
Il rischio concreto è di vedere peggiorare le condizioni contrattuali e professionali, e l'aggravamento dei problemi legati alle norme legislative dei lavoratori.Con la scusa che le aziende devono restare competitive vengono messi in discussione diritti legalmente acquisiti, il lavoro, di fatto, diventa una merce, viene distrutta qualsiasi idea di mediazione sociale, si afferma che la sola logica che deve esistere, a cui tutta la società deve sottomettersi e conformarsi, è il profitto.
Peccato che a pagare siano sempre e solo i lavoratori.
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Recensione a cura di Mimmot - aggiornata al 14/10/2010 11.43.00
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