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La "paura di amare" deve essere sentimento ben diffuso, se è vero che nel giro di due sole generazioni troviamo ben tre film con questo titolo, e sempre con grandi interpreti (Bette Davis nel '35 e Jean Simmons con Jean Pierre Aumont nel '56); in aggiunta al film qui presentato con Al Pacino e Michel Pfeiffer del 1991.
In realtà la cosa sta in termini molto diversi, legata alle esigenze della commercializzazione nostrana che non smetteremo mai di esecrare. Per motivi biecamente commerciali si cambiano normalmente i titoli originali, snaturando l'"intenzione" di partenza, andando a evocare sentimenti banali e consueti per fruire di una più facile presa sul pubblico; anziché impiegare il generico "Dangerous" del '35, o i nomi propri dei protagonisti ("Hilda Crane", o "Frankie and Johnny") dei due rimanenti.
Col risultato di non raccontare la semplice storia di singoli individui, ma di esprimere in modo più allargato significati simbolici estensibili ai più. Niente di male, comunque, se la vicenda ha sufficiente respiro e la storia una adeguata articolazione; come davvero potremmo dire del film qui presentato, che, per essere stato da noi scoperto alla TV, ha costituito una gradita sorpresa.
In effetti, con questa storia, il regista americano sa "suonare" due registri diversi: quello del semplice racconto individuale (da cui il titolo orignale di "Frankie and Johnny"), e quello più ampio, di buon spessore psicologico, della paura e del senso di inadeguatezza di ogni essere umano, quando affronta l'amore o altre prove della vita. E, va detto, sa fare entrambe le cose con gusto e misura, miscelando dabbene le due componenti, sviluppandole entrambe in parallelo e separatamente.
Dunque la "parte racconto" è varia e articolata, con lo scontro-incontro dei due magnifici protagonisti, che dipanano man mano la difficile matassa della propria interiorità per arrivare a proporsi "a carte scoperte" al futuro partner della vita. Mentre altrettanta cura ed attenzione viene prestata ai personaggi di contorno, tutti interessanti e credibili; vivi e convincenti perché anche le loro storie lo sono, come risulta dalla recitazione e dai dialoghi di bella intelligenza.
E intorno alla storia d'amore del cuoco (professionalizzatosi in carcere), già separato con figli (abbandonati pragmaticamente, senza alcuna retorica sentimentalistica), e della cameriera (una meravigliosa Pfeiffer) choccata da precedenti rapporti con gli uomini, si muovono tantissimi personaggi di contorno non meno validi e stimolanti, scolpiti a tutto tondo nella loro semplicità di persone comuni, ma indubbiamente vere (grande recitazione per tutti... onore alla regia!).
Questo per la vicenda in sé: diciamo per "Frankie and Johnny"! Ma, come premesso, mettiamo pure in rilievo la "Paura d'amare" sotto l'aspetto psicologico. Anche se legato a motivi commerciali, il titolo ci collega davvero ad una categoria fondamentale della psiche umana, e, della nostra esistenza: come vuole una grande scuola di pensiero psicologico, la causa basilare delle nostre nevrosi, e dunque del nostro disagio nel vivere, sta proprio nei sensi di paura e di inadeguatezza nell'affrontare le situazioni che ci si presentano; per lo più derivanti da complessi di inferiorità maturati nella prima infanzia.
Da cui le storie del cuoco che si rifà alla condizione primitiva di orfano abbandonato, o della camerierina che stenta a superare il ricordo delle precedenti storie giovanili (a lei gli uomini... hanno fatto male da adulta, non prima...!). Come è pure vera, psicologicamente, la storia dell'ingenuo truffatore finito in carcere per una bravata, che trova ragione di vita e di speranza solamente col nuovo lavoro di cuoco; riacquisendo così l'autostima necessaria per progettare il futuro e cimentarsi nelle prove della vita con coraggio e determinazione.
E qui va chiuso il cerchio sulla "Paura d'amare", ricordando come allo stato nascente dell'amore, nella fase cieca dell'innamoramento, si accompagni uno stato di profonda insicurezza che invoglierebbe a tentare la fuga: tradotto per gli uomini nelle note forme di "ansia da prestazione" e paura delle responsabilità; per le donne nel timore ansioso di non essere veramente amate... e per sempre!
Niente di nuovo a pensarci, déjà vu! Ma nel film è detto molto bene, in modo convincente e commovente.
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 05/06/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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