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Voto Recensore: | 7,50 / 10 | ||
Dopo essersi lasciato sedurre dalle ammalianti sirene di Aurelio De Laurentis che voleva trasformare il cinema di Carlo Verdone in un surrogato primaverile dei suoi dimenticabili cinemepanettoni, il ritorno in sala del regista romano, pur continuando il sodalizio con la Filmauro, questa volta non delude le aspettative.
In "Posti in piedi in Paradiso" Verdone sembra aver ritrovato quello smalto perduto in una serie di pellicole non proprio memorabili come "Il mio miglior nemico" o "Bianco, grosso e Verdone".
Non la solita commedia che cerca a tutti i costi di strappare un sorriso, ma finalmente una storia ben articolata seppur caratterizzata da poche ma riuscitissime gag. Sembra di aver ritrovato il suo cinema degli anni '90 degli "A lupo a lupo", di "Maledetto il giorno che ti ho incontrato" o "Perdiamoci di Vista", un cinema amaro ma di riflessione che non cerca il lieto fine a tutti i costi.
Ed eccoci nell'Italia di oggi dove tre uomini sbandati, chi per il vizio del gioco, chi per aver mischiato vita professionale e sentimentale e chi perché troppo legato al suo passato, si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto condividendo gioie (poche) e dolori (tanti).
La struttura del film è molto semplice, in realtà non esiste una vera evoluzione narrativa, ma più che altro la storia si concentra sul racconto dell'improbabile convivenza dei tre protagonisti in un contesto del tutto surreale fatto di personaggi molto marcati e situazioni al limite del grottesco. Eppure il punto di forza nel film sta proprio nell'attualità del racconto che nonostante sia esasperato, forzato e in alcuni punti anche mutuato secondo cliché dei film del genere, riesce ad essere pungente.
Verdone mantiene la sua innata abilità di saper leggere l'Italia nelle sue fasi storiche e riproporre l'ipocrisia e i paradossi della cultura borghese del nostro paese. E se il borghese medio degli anni '80/'90 era un disilluso impiegato, ingabbiato in situazioni familiari opprimenti ("Stasera a casa di Alice", "Compagni di scuola", "Perdiamoci di vista", "Maledetto il giorno che ti ho incontrato") quello di oggi è il solito professionista, che si è liberato di quelle gabbie familiari ma che non riesce a sostenere il peso delle sue separazioni.
Il borghese di oggi è l'intellettuale che non ha i soldi per la benzina, che non può permettersi il fitto di una casa propria e che è continuamente oberato dagli oneri economici delle precedenti famiglie. Questa situazione determina che il racconto del film, sebbene viri sull'iperbole, risulta essere molto attuale nel raccontare di un'Italia vera e di una crisi che non è fatta solo di numeri ma anche di persone.
Ad ogni modo è inutile negare che la verve comica di Verdone è sempre ad altissimi livelli nonostante spesso si abusi di cliché classici del cinema comico come: la casa diroccata con metropolitana incorporata, l'improbabile furto con l'obiettivo sbagliato o la Ramazzotti che gioca oramai da innumerevoli film con lo stesso personaggio. Eppure la spontaneità delle situazioni, le bellissime interpretazioni - soprattutto di Giallini e Favino - rendono la visione del film piacevole e divertente.
Un prodotto interessante e riuscito che ci restituisce il Verdone degli anni '90 abbandonando il suo declino commerciale che ha caratterizzato l'ultimo decennio con pellicole più o meno riuscite ma sempre molto ruffiane.
L'unico appunto che si può fare a questo film risiede nella mancanza di una prospettiva futura del cinema di Verdone che, nel migliore dei casi, guarda al passato mentre il presente si traduce in sole innovazioni da botteghino. Interessante notare che, sebbene abusato, il paragone con la carriera registica di Alberto Sordi è quanto mai appropriato e alcune similitudini sono interessanti.
Il cinema di Sordi degli anni '80 è una riproposizione di vecchie idee e schemi delle grandi pellicole del decennio precedente e decisamente crepuscolari e molto attente al botteghino (come l'imbarazzante serie de "Il tassinaro") di un attore-regista che non aveva più nulla da dire e verso la fine della sua carriera visse di rendita mettendo in scena pellicole tutt'altro che memorabili.
Il Verdone degli ultimi anni sembra aver imbroccato la stessa strada, sebbene i suoi film restino sempre godibili, manca innovazione e si ripropone in contesti diversi la stessa formula vincente.
Si teme che oramai la via intrapresa sia irreversibile e che tutto sommato ci troviamo al cospetto di un regista che non ha più nulla da dire. Forse la vera svolta ci sarebbe se Verdone rinunciasse a se stesso nei film, al suo appeal e al suo personaggio sempre divertentissimo ma sempre tremendamente uguale in ogni film.
Sarebbe veramente interessante nonché una scelta coraggiosa, coraggio che ahimè manca a tutto il cinema italiano da quasi vent'anni.
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Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 - aggiornata al 06/04/2012 16.08.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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