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Il film girato nel 1986, è da considerarsi uno dei gioielli della cinematografia italiana degli ultimi anni.
Dalla regia di Pupi Avati sempre puntuale e precisa all'interpretazione asciutta e lineare di ogni singolo attore tutto può considerarsi semplicemente perfetto.
Il titolo gioioso potrebbe far pensare a chi non conosce Avati ed il suo stile a uno di quei filmetti facili natalizi che hanno visto la luce proprio in quegli anni (pensiamo a "Vacanze di Natale" di Carlo Vanzina) invece il film è malinconico ed a tratti persino crudele e non ha davvero nulla a che fare con la festività religiosa.
Interessante versione italiana dei poker movies, il film, basato non sull'azione ma sull'inquadramento psicologico di ogni personaggio, è soprattutto una storia di solitudini e di amicizia tra uomini quasi al crepuscolo della vita e delle illusioni di gioventù, tematica questa spesso presente nella cinematografia avatiana (pensiamo ad esempio all'ultimo "Ma quando arrivano le ragazze?" anch'esso caratterizzato da un leit motiv a basso profilo, con un continuo bilanciamento tra quello che è e quello che sarebbe stato o anche a "Una gita scolastica", splendido caleidoscopio di illusioni giovanili sciolte nel corso di una giornata).
Solo è l'avvocato Santelia (un grandissimo e sempre misurato Carlo Delle Piane consacrato qui attore avatiano per eccellenza), ammiratore delle belle donne e amante del gioco delle carte, unico compagno dopo una vita passata da personaggio secondario. Solo è Ugo (Gianni Cavina), con alle spalle un matrimonio fallito, rifiutato anche dai suoi figli la vigilia di Natale e ridotto a fare l' imbonitore nelle televendite di una squallida emittente locale e solo è anche Franco perso nel ricordo di una storia passata che lo ha spento per sempre (Diego Abatantuono, qui nel suo primo ruolo serio reduce dagli splendori e dalle miserie di "Eccezziunale veramente" e "Il ras del quartiere").
Natale è solo nello sfondo, nell'albero realizzato - nel giardino della villa presa in affitto - da una donna di servizio non a caso acida ed arcigna, resa cinica dalla cinica esistenza, il resto è delusione, ricordi, voglia di rivincite.
La festa e il suo significato profondo non esistono affatto, scompaiono nell'egocentrismo dei protagonisti, nella loro finta amicizia, nella loro chiusura che li porta a considerare solo le proprie miserie morali.
Tra una mano e l'altra di poker passano sbiaditi i flashback della gioventù di Franco e Ugo divisi ed uniti dall'amore per una stessa donna, unica figura femminile importante dell'intera storia.
Su tutto una musica di sottofondo triste e malinconica e i grotteschi personaggi di contorno, dal giornalista fallito che sogna di scrivere un libro su John Ford (Alessandro Haber, sempre perfetto nei ruoli di personaggio meschino e un po' cialtrone e sottovalutato dalla vita e dal prossimo) al proprietario di palestre gay, sorprendentemente misurato e più equilibrato rispetto agli altir del gruppo (George Eastman).
La partita di poker, la grande co-protagonista, è giocata negli sguardi, nei primi piani, nelle parole.
Il film deve molto alle frasi, ha uno stampo molto teatrale e cosente ad ogni protagonista di lanciarsi in una gamma vastissima di sfumature che li consacra definitivamente attori di razza.
Avati ha voluto realizzare un film basato sulla voglia di rivalsa, sulla spietatezza di chi gioca per la vita ma soprattutto ha realizzato un film sull'amicizia ed è per questo che è riuscito a colpire nel segno aiutato dagli ottimi interpreti che gli hanno permesso di vincere la sua partita.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 12/07/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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