Recensione sherlock holmes regia di Guy Ritchie Gran Bretagna, USA 2009
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Recensione sherlock holmes (2009)

Voto Visitatori:   7,11 / 10 (403 voti)7,11Grafico
Voto Recensore:   7,50 / 10  7,50
Miglior attore in un film commedia o musicale (Robert Downey Jr.)
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
Miglior attore in un film commedia o musicale (Robert Downey Jr.)
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locandina del film SHERLOCK HOLMES

Immagine tratta dal film SHERLOCK HOLMES

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Immagine tratta dal film SHERLOCK HOLMES
 

Nella Londra vittoriana fra scoperte scientifiche, innovazioni tecnologiche, paure di fine secolo, magia ed esoterismo, l'investigatore privato Sherlock Holmes (Robert Downey Jr.) e il dottor Watson (Jude Law) si trovano ad indagare su una serie di misteriosi omicidi il cui artefice sembra essere il defunto Lord Blackwood (Mark Strong), assassino seriale, dedito a pratiche esoteriche, acciuffato, processato e giustiziato tramite impiccagione.

Il nuovo film diretto da Guy Ritchie non solo si discosta enormemente dal genere di film che hanno reso celebre l'artista, ma è anche la sua prima opera cinematografica di cui non abbia firmato la sceneggiatura.
Il regista inglese era reduce da una serie di flop commerciali. Dopo l'enorme successo riscosso da "Snatch" (2000), aveva diretto Madonna, all'epoca sua moglie, nel disastroso "Travolti dal destino" ("Swept Away", 2002) remake di "Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto"(1974) di Lina Wertmuller, cui hanno fatto seguito alcune opere alimentari di scarso successo quali "Revolver" (2005) e "RockNRolla" (2008), oltre alla parentesi televisiva del buon "Suspect" (2007), che però non era stato scritto da Ritchie, ma dall'esperto Ed Zuckerman.
Con queste credenziali potrebbe sorprendere che una produzione che ha investito novanta milioni di dollari abbia voluto affidare la regia di "Sherlock Holmes" (2009) al regista britannico. Tuttavia, Ritchie aveva dimostrato in tutte le sue opere precedenti maestria, perizia tecnica e una grande visione d'insieme dell'opera. Non era dunque la sua professionalità di regista ad essere messa in discussione, bensì la sua qualità di sceneggiatore.
E così la sceneggiatura di questo blockbuster è stata affidata a tre autori. Il primo è l'esordiente Michael Robert Johnson, che è l'autore della storia e cosceneggiatore; il secondo è Anthony Peckham, già autore di sceneggiature di thriller; il terzo è il giovane Simon Kinberg, esperto nello sceneggiare pellicole di azione.
L'intenzione dei produttori risulta dunque evidente. Essi hanno affidato i personaggi nati dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle alle mani di tre autori con differenti specializzazioni nel campo dei generi cinematografici, affinché costruissero un film capace di miscelare tutti quegli elementi che resero imprescindibile l'opera del grande scrittore (e medico) scozzese.
E così il film "Sherlock Holmes" è una rilettura dell'universo immaginifico creato da Conan Doyle rielaborato in chiave moderna pur conservando l'ambientazione d'epoca e mantenendone le atmosfere gotiche.

"Sherlock Holmes" è un film che non comincia e non finisce, almeno non nel senso canonico dei termini.
La vicenda prende avvio con la conclusione di un'indagine di cui lo spettatore saprà poco o niente: gli omicidi rituali compiuti da lord Blackwood di cui l'ultimo viene sventato da Holmes all'inizio del film.
L'evoluzione narrativa è destinata alla caratterizzazione dei personaggi, alla creazione delle atmosfere e, soprattutto, all'intrattenimento del pubblico.
L'epilogo è costruito appositamente per introdurre una nuova avventura.
Risulta evidente che la storia sia sostanzialmente priva di una cristallina collocazione temporale nella cronologia delle avventure di Holmes (anche se si parla del 1891) e sia presentata come un episodio a cui si lascia presupporre che ne siano preceduti moltissimi altri (un chiaro ed evidente riferimento all'enorme numero di trasposizioni cinematografiche e televisive delle opere scritte da Conan Doyle) e al quale ne seguiranno molti altri.

La sceneggiatura sviluppa una storia originale che non è trasposizione cinematografica di nessun racconto di Conan Doyle. E qui è bene fare una precisazione: Sherlock Holmes è protagonista di soli quattro romanzi, ma di ben cinquantasei racconti.
Il film diretto da Ritchie si presenta alla stregua di un nuovo racconto. Accanto ai personaggi canonici troviamo quello di Irene Adler, donna affascinate e seducente per la quale Holmes nutre una profonda ammirazione, poiché si tratta della sola persona che sia mai stata capace di ingannarlo. Nell'opera di Conan Doyle, Irene Adler compare solo nel racconto "Uno Scandalo in Boemia" cui si fa più volte riferimento nel corso del film.
Gli autori della sceneggiatura danno per presupposta, e si tratta di una giusta presupposizione data la fama mondiale raggiunta dal personaggio di Holmes nel corso di un secolo e mezzo, la conoscenza dell'opera di Conan Doyle, quindi hanno infarcito la sceneggiatura di riferimenti e di rimandi non sempre facilmente riconoscibili, ma quasi del tutto ininfluenti rispetto alla trama del film.
Stupisce, anche se solo parzialmente, il fatto che, nonostante la palese volontà di modernizzazione, non si mostri mai l'assunzione di droghe, in particolare l'iniezione in vena di cocaina, del personaggio letterario. Il solo rifermento in tal senso è una battuta pronunciata dal dottor Watson che rimprovera Holmes perché "quello che sta bevendo si usa in chirurgia oculistica". La cocaina infatti era utilizzata come anestetico nella chirurgia oculistica.
Questa scelta è in un certo senso comprensibile sia per quanto concerne il pubblico, sia per ragioni distributive. Il film, infatti, è destinato tendenzialmente a un pubblico giovane ed è il primo film di Ritchie a non essere stato vietato ai minori (di diciotto o di sedici anni a seconda dei Paesi), se vi fosse stata introdotta una scena in cui il protagonista si iniettava in vena della cocaina, sicuramente la censura statunitense e anche quella britannica avrebbero imposto dei limiti.

Gli elementi con cui giocano gli sceneggiatori sono molteplici e tutti efficaci: personaggi ben caratterizzati, ma piuttosto stereotipati; una storia d'amore litigarello; avventura e azioni rocambolesche; un indagine blanda e tutt'altro che cervellotica; magia nera, occultismo e massoneria mescolati nella solita ottica del complotto di stato; la manipolazione dell'apparenza sensibile finalizzata alla manipolazione delle masse; l'eterna dicotomia fra il razionale, rappresentato dal metodo logico deduttivo e dal metodo scientifico, e l'irrazionale, rappresentato dalla magia, dall'occultismo e dalle paure individuali e collettive.
È tuttavia sconcertante come questi argomenti siano trattati all'acqua di rose e come il loro sviluppo si traduca piuttosto in un mancato sviluppo.
Gli sceneggiatori commettono anche una vasta serie di errori, probabilmente dovuta a una certa mancanza di documentazione storica e alla confusione fra la cultura britannica e le usanze americane di derivazione anglosassone. Ad esempio tutta la cerimonia dell'impiccagione di lord Blackwood è decisamente all'americana a partire dal cappio, assai in voga per le impiccagioni nel West, ma non utilizzato nella più civile Londra ottocentesca dove si ricorreva ad un semplice nodo scorsoio, al cappuccio del condannato a morte che era rigorosamente bianco, e l'impiccagione avveniva con il metodo (che infatti è stato utilizzato anche dagli sceneggiatori) cosiddetto Standard Drop (poi migliorato con il Long Drop a partire dal 1878, che evitava la decapitazione studiando le proporzioni fra il peso del condannato e la lunghezza della corda) che uccideva non per asfissia, ma attraverso la rottura del collo. In tale ottica appare paradossale che il dottor Watson nel diagnosticare la morte di Blackwood non verifichi il dislocamento delle vertebre cervicali. Allo stesso modo, anche se si trattava di un lord, il cadavere di Blackwood avrebbe dovuto essere sepolto nella calce viva all'interno del carcere così come era sancito dalle leggi dell'epoca per gli assassini come condanna accessoria ed infamante. Questi sono solo alcuni esempi di errori, ma di incongruenze e di vuoti narrativi ve ne sono molti: per esempio non si spiega come, durante la ricostruzione finale degli omicidi elucubrata da Holmes, questi sia capace di ricostruire la dinamica di un omicidio cui non ha assistito e che certo i presenti hanno voluto tacere.

Il personaggio di Sherlock Holmes viene riscritto ed reinterpretato con una certa originalità che opera attraverso la destrutturazione dell'immagine fino ad oggi trasmessa, ma quello che fra i due è maggiormente adattato alla concezione cinematografica moderna è il personaggio di Watson. Questi si trasforma da mero relatore, testimone stupefatto delle gesta dell'investigatore, ad amico complice e compartecipe delle avventure del protagonista. Watson è spogliato di qualsiasi passività ed assume un ruolo attivo e tanto autonomo da consentirgli di guardare con rabbia e con sdegno, anziché con ammirazione, la natura trascurata, irritante e tendenzialmente autodistruttiva di Holmes fino a sferragli anche un bel pugno sul naso in segno di protesta e di indignazione.
Il rapporto fra i due protagonisti è assai più simile a quello cui siamo stati abituati dai vari film d'azione come ad esempio la serie di "Arma Letale", piuttosto che a quello descritto da Conan Doyle. Si perde l'iconografia dell'eroe solitario, geniale e tormentato, e la si sostituisce con il più moderno concetto di eroi complementari, legati da un rapporto inscindibile di amicizia e di solidarietà. Si tratta di un cliché narrativo tipico delle serie televisive ed importato solo successivamente nel cinema. Si tratta anche di uno schema molto utilizzato nel cinema italiano a partire dagli western di Sergio Leone fino a tutti i film con la coppia Bud Spencer e Terence Hill.

I dialoghi in alcuni casi potrebbero risultare verbosi e sostanzialmente privi della sagacia e della vera efficacia che dovrebbero avere. Tuttavia, essi sono consoni ai personaggi e regalano al pubblico non pochi momenti di ilarità.

La parte più claudicante dell'intera struttura narrativa è quella concernente lo svilupparsi dell'indagine. Non vi sono indizi da seguire, né enigmi da risolvere. Tutto è assai palese e molto, forse troppo, raccontato. Lo spettatore è guidato senza troppi colpi di scena né vere sorprese in un'indagine dagli esiti e dai risvolti scontati. Non si indaga come sarebbe stato opportuno, sulle dinamiche di una società cosmopolita quale era la Londra vittoriana di fine secolo. Si trascura la naturale ricerca della magia, del soprannaturale, di una riscoperta spirituale, proprie di una società che subisce enormi e veloci mutamenti grazie al progresso scientifico applicato nella medicina, nella fisica, nella chimica e nelle attività produttive. E benché la paura, il terrore di massa, sia considerato come uno degli elementi preponderanti della vicenda narrata, gli sceneggiatori non le accordano mai il giusto rilievo e la rendono un qualcosa di asettico e di non percepibile. Sostanzialmente si riduce ad una fantasia delirante che vive solo nelle parole di Blackwood anziché in un qualche cosa di concreto e, come ci insegna la storia dei nostri giorni, di facilmente insinuabile in seno ad una società che presenta dicotomie ampie e profonde.

A catturare l'attenzione ed a divertire sono invece i rapporti fra i personaggi ed il loro sviluppo.
L'indagine principale relativa a lord Blackwood risulta essere poco più che un pretesto o un mero espediente narrativo per tastare il polso del pubblico e per riproporgli un personaggio celeberrimo rielaborato ed adattato ad una concezione moderna del cinema di intrattenimento.
Complessivamente l'opera costruita dagli sceneggiatori è efficace: intrattiene senza troppe pretese e senza indurre al pensiero speculativo. I ritmi sono piuttosto serrati e l'alternanza fra azione, indagine, rapporti personali e scene umoristiche è ben dosata. La superficialità della trama e la sua assoluta mancanza di pathos sono in assoluto contrasto con lo stile della regia e con la scenografia che con i suoi colori cupi e con le sue atmosfere gotiche suggerisce un mistero, un dramma intenso, un sentimento di angoscia e di paura che invece sono del tutto assenti.
Indiana Jones è invecchiato, come ha tristemente testimoniato la sua avventura con i teschi di cristallo. Un nuovo Sherlock Holmes è ormai pronto a prendere il suo posto.

La regia di Guy Ritchie è l'aspetto più interessante, unitamente all'ottima prova degli attori, di questa pellicola. La macchina da presa non si ferma un istante e si lancia in un susseguirsi di continui piani sequenza relativamente brevi, alternati a soggettive.
Ineccepibile il piano sequenza iniziale che suggerisce un inseguimento fra auto della polizia piuttosto che delle carrozze in corsa.
Anche la scelta di inquadrare i personaggi da una prospettiva che non sia quasi mai all'altezza della testa e dello sguardo, offre alla pellicola dinamicità e una capacità descrittiva ottima.
Le panoramiche a trecentosessanta gradi sono spettacolari e il veloce susseguirsi di campi medi e lunghi, con l'alternarsi di inquadrature dall'alto e inquadrature dal basso antitetiche e piuttosto angolate, regalano un piacevole coinvolgimento visivo.
È interessante anche la scelta operata da Ritchie di scomporre in blocchi temporali a differente velocità alcune momenti di azione pura, quali i combattimenti o gli stratagemmi escogitati da Holmes. Il regista dimostra efficacemente come il pensiero sia più veloce di qualsiasi azione. Questa scelta comunque non è una innovazione. Si pensi per esempio al film "L'Amante" ("Le Choses de la Vie", 1970) di Claude Sautet in cui la dinamica dell'incidente stradale che coinvolge Michel Piccoli è costruita con questa medesima tecnica.
Complessivamente la regia sposa i ritmi frenetici e convulsi dell'azione spettacolare, senza però trascurare una capacità visiva capace di valorizzare enormemente le scenografie, sia che si tratti dei decori degli interni, sia che si tratti delle ricostruzioni esterne della Londra ottocentesca.
Anche la descrizione e la caratterizzazione dei personaggi raggiungono direttamente lo spettatore attraverso la macchina da presa, piuttosto che attraverso i dialoghi o la progressione narrativa imposta dagli sceneggiatori.
Guy Ritchie si dimostra un artista dalle ottime capacità e la sua tecnica di regia è così forte da sopperire anche alle molte carenze di sceneggiatura, donando a questo film unità e struttura, ritmo e vigore, seduzione visiva e qualità d'immagine.

Bravo Robert Downey Jr. nel dar vita ad un personaggio scanzonato e carismatico.
Eccellente la prova di Jude Law, che rivoluziona completamente la figura del dottor Watson.
Piacevole Rachel McAdams nei panni dell'incostante e attraente Irene Adler.
Ottimo Mark Strong nel ruolo di Balckwood. Egli dà al proprio personaggio una parte di quello spessore e una parte di quel carisma che la sceneggiatura gli ha negato.

"Sherlock Holmes" è sostanzialmente un film di puro intrattenimento, non certo perfetto, ma complessivamente assai riuscito. Si tratta di una pellicola che vuole divertire e che non lascia nel pubblico assolutamente niente se non la certezza che presto potrà assistere ad un suo seguito con gli stessi personaggi scaraventati in una nuova avventura.
Fortunatamente gli sceneggiatori si sono ben guardati dall'introdurre quella frase, ormai storica, che Sir Arthur Conan Doyle non ha mai scritto, altrimenti avremmo dovuto concludere questa recensione con il solito:

"Elementare, mio caro Watson".

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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 12/01/2010

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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