Voto Visitatori: | 7,58 / 10 (6 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 7,50 / 10 | ||
Ultimo lungometraggio di Shane Meadows, "Somers Town" è l'ennesima conferma, laddove ce ne fosse ancora bisogno, del talento del regista inglese.
Presentato al Torino Film Festival, ha ricalcato esattamente le orme lasciate dal precedente "This is England", vincitore del premio Speciale della Giuria alla prima edizione del Festival del cinema di Roma. Dopo aver ricevuto apprezzamenti unanimi dalla critica, infatti, è stato, come da copione, puntualmente ignorato dalle case di distribuzione nostrane, privando così il pubblico italiano, per la gran parte abbondantemente colpevole, di una pellicola ben superiore alla media di quelle presenti nelle nostre sale.
La storia è quella di due adolescenti, Tomo e Merek, le cui strade si incrociano in una Londra grigia e assente. Il primo fugge da Nottingham, il secondo, invece, vive nella capitale assieme al padre, immigrato polacco, gran lavoratore e in cerca di stabilità e di un nuovo inizio. Tra i due nascerà una genuina amicizia che li porterà, poi, ad innamorarsi della stessa ragazza.
La semplicità e la naturalezza con cui Meadows racconta i suoi personaggi ed i loro percorsi di vita sono il minimo comune multiplo delle sue pellicole, nonché colonne portanti del suo cinema.
"Somers Town" non fa eccezione; al contrario, è forse il film in cui questi due aspetti assumono un'importanza ancora maggiore. Le ragioni vanno in gran parte ricercate in una sceneggiatura che in questa pellicola, a differenza delle precedenti, non ha alcuna sfumatura che richiami parentesi dal ritmo più sostenuto o che possa tendere ad un colpo di scena o ad una qualsivoglia svolta.
Quest'ultimo lungometraggio del regista inglese altro non è, infatti, che il racconto di un'amicizia, di una passione comune, di una storia, in fin dei conti, tra le più semplici.
Banale potrebbe dire qualcuno. Verrebbe da chiedersi, quindi, cosa di così affascinante ci sia nella semplicità di questo "Somers Town"; cosa ci sia di così efficace da rendere la pellicola in grado di toccare le giuste corde dell'animo di chi guarda.
L'unica risposta a tale quesito è forse anche la più semplice: Meadows non si limita a raccontare la realtà, trascina lo spettatore all'interno della stessa.
Attraverso la sua telecamera non filtra la realtà, si limita a fotografarla in tutti i suoi aspetti, a coglierne tutte le sfaccettature e, soprattutto, a non aggiungerne di nuove, rendendola, per l'appunto, vera.
La realtà di Tom e Merek è quella di due adolescenti in cerca di un nuovo inizio, o in cerca di un modo per affrontarlo. Entrambi senza una loro dimensione e privi di una loro stabilità, troveranno sostegno l'uno nella presenza dell'altro; l'uno nella sfacciataggine e nell'impulsività dell'altro, l'altro nella timidezza e nella gentilezza del primo.
Sullo sfondo Somers Town, zona periferica di Londra che della Londra da copertina ha giusto il nome. La genuinità e le speranze di due adolescenti contrapposte al grigiore di una zona della città che di speranze ne regala ben poche.
Il regista di "Dead man's shoes" – la sua miglior pellicola fino a questo momento – mostra tutta la sua abilità proprio nell'affrontare questo dualismo e nel far convivere lo sguardo vivace di Tomo e Merek e quello spento di Somers Town, nel far convivere spensieratezza e malinconia.
Le scelte di Meadows, in tal senso, sono perfette. A mitigare la vivacità dei due protagonisti, da una parte un bianco e nero gelido che colora la pellicola per quasi tutta la sua durata, dall'altra la realtà lavorativa del padre e il conseguente rapporto di quest'ultimo con Merek, affrontati entrambi in maniera analitica, seppur non fredda, e senza intenzione alcuna di creare una facile breccia nel cuore dello spettatore, benché al termine la pellicola in quel cuore riuscirà non solo ad entrarvi ma ad avvolgerlo con un tepore innegabilmente confortante.
Ad occuparsi di ciò, a far da collante tra questi due aspetti fra loro del tutto distanti, è una colonna sonora delicata e mai invadente che fin dalle prime sequenze, accompagnate da "Raise a Vein" di Gavin Clark e Ted Barnes, delinea questo dualismo: una melodia malinconica per un testo che si concede qualche riga di speranza:
"There's a vein of pure gold in the stone".
La colonna sonora, composta in gran parte da brani voce e chitarra, è in realtà un elemento imprescindibile nel cinema di Meadows, da aggiungersi e da mettere al pari degli altri.
Tra questi anche la direzione degli attori. Thomas Turgoose, già protagonista nel bellissimo "This is England", offre anche in questo caso una prova ottima e Perry Benson, con un accento inglese tutto suo, risulta perfetto nel ruolo di “venditore di qualsiasi cosa si possa vendere”, tanto da riuscire a ritagliare all'interno della pellicola momenti inaspettatamente divertenti e che, nel loro piccolo, contribuiscono alla spontaneità e alla naturalezza precedentemente analizzate.
Anche se la sceneggiatura di "Somers Town", diversamente delle precedenti, è opera di Paul Fraser (comunque collaboratore di vecchia data del regista inglese), Shane Meadows è un autore completo, uno di quei registi che ancora scrive le sue pellicole oltre a dirigerle. Ciò, osservando il suo cinema, lo si avverte chiaramente, si avverte chiaro il respiro della sua Inghilterra.
Che la distribuzione italiana l'abbia ignorato è cosa davvero triste. A chi legge, pertanto, si consiglia di fare esattamente l'opposto.
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Recensione a cura di K.S.T.D.E.D. - aggiornata al 25/09/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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