Voto Visitatori: | 7,83 / 10 (3 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 8,50 / 10 | ||
"Sotto le bombe" è un film che si racconta da sé, senza bisogno di orpelli o di richiami contro la violenza e contro la guerra o di messaggi di pace e di mutua comprensione. È un film crudo, mai feroce né cruento ma schiettamente realistico, dove le emozioni prevalgono portando in superficie il meglio della natura umana.
La storia è presto detta: una donna, Zeina, in arrivo da Dubai attraverso la Turchia approda nel Libano martoriato dagli attacchi israeliani dell'estate del 2006, per cercare il figlio che aveva affidato alla sorella residente nel villaggio di Kherbet Selem nel sud del paese, del quale non ha più notizie da una settimana. Appena sbarcata nel porto di Beirut si mette alla ricerca di qualcuno che l'accompagni verso Tiro, trovando in Tony, un tassista cristiano della capitale, l'unico disposto a portarla.
L'esperienza del viaggio è un'odissea attraverso i paesaggi suggestivi di una terra rigogliosa a cui gli interpreti, con un atto d'amore che trasuda da ogni gesto, e il regista stesso grazie alle sue riprese, sono legati in modo viscerale. Ai paesaggi si succedono a intermittenza immagini di distruzione (strade divelte, cumuli di macerie, abitazioni sventrate) accompagnate dagli scoppi delle bombe israeliane sopra i villaggi e la popolazione inerme, in barba al «cessate il fuoco» proclamato d'intesa con le Nazioni Unite. Spezzoni di repertorio – fra bombardamenti e manifestazioni di Hezbollah – assieme ai notiziari ascoltati alla radio nel tormentato percorso verso sud, portano lo spettatore direttamente dentro la cronaca di quei giorni e, mano a mano che i due interpreti si scambiano pensieri e confidenze (dapprima con una certa diffidenza, soprattutto da parte di Zeina) si accresce la speranza di trovare ancora vivi la sorella e il figlio di Zeina, Karim.
Giunti finalmente a Kherbet Selem, il primo duro colpo si abbatte inesorabile sulle speranze di Zeina quando scopre che la casa della sorella è stata distrutta e lei è morta sotto le macerie. La sua composta dignità e la disperazione che l'affligge sono la cifra di questo film, che lascia intendere come un intero popolo riesca a rassegnarsi a un destino ineluttabile che lo vuole periodicamente colpito dalle guerre, ma che a queste reagisce con una ferma volontà di ricominciare ogni volta a vivere.
Animati dallo stesso spirito, Zeina e Tony riprendono il viaggio alla ricerca di Karim. Intanto il legame tra loro si è fatto più intenso e fraterno (Tony lo vorrebbe addirittura intimo). E finalmente, grazie all'incrociarsi di informazioni da più parti che coinvolgono l'ambasciata francese, le forze Unifil, i giornalisti francesi, Zeina riesce a rintracciare il figlio e a parlargli al telefono (senza ottenere da lui alcuna risposta). Durante un tragitto periglioso in piena notte attraverso le montagne, sotto il costante pericolo dei missili israeliani e degli spari di Hezbollah, assieme a Tony riesce a raggiunge verso mattina il convento dov'è nascosto Karim. Nella foga e nell'eccitazione del momento si precipita nella stanzetta del bambino.
Il dolore, lo sconforto, l'angoscia le attanagliano le viscere: non è Karim, ma il suo amico Alì. La scoperta che Karim è morto Sotto le bombe di Kherbet Selem toglie a Zeina anche l'ultima illusione. Nella scena finale, il lungo abbraccio con Alì, rimasto orfano, lascia sperare (forse) che sapranno trovare insieme la voglia di ricominciare.
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Recensione a cura di Severino Faccin - aggiornata al 13/06/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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