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Il vaso di Pandora, secondo la leggenda greca, è il raccoglitore di tutti i guai e le sofferenze del mondo. Fu donato a Pandora da Zeus il quale si raccomandò con la donna di non aprirlo ma lei, curiosa, non indugiò a dischiuderlo liberando così tutti i mali in esso raccolti.
Il mondo diventò un territorio deserto e abbandonato fino a che Pandora non aprì nuovamente il vaso per fare uscire l'unica cosa che era rimasta sul fondo, la Speranza.
E la Speranza che rimane allo spettatore, dopo aver visto questo secondo capitolo delle avventure dell'eroina Lara Croft, è quella di non aprire più vasi di Pandora che coinvolgano nuovamente questo personaggio.
Anche stavolta Angelina/Lara è alla ricerca di un "reperto archeologico", il vaso di cui sopra, che fu nascosto da Alessandro Magno (non chiedeteci di fare ricerche storiche in tal senso, per favore) nella "Culla della vita" (e, se avete visto qualche documentario di Piero Angela, non faticherete a scoprire dove mai possa trovarsi). La mappa per giungere al vaso è in una sfera luminosa che diventa la causa dello sbattimento di Lara e di un paio di altri personaggi (un malavitoso cinese e un bio-terrorista) che prendono la rincorsa e si gettano a capofitto in questa nuova (?) avventura.
Come potrete intuire dalle premesse, parlare della storia del film diventa superfluo. Se agli ideatori di questo capitolo "videogammaro" non manca certo la fantasia per inventarsi situazioni astruse, location recondite e ammalianti condite da un ritmo costante e frenetico, a fare difetto è la tensione.
Grossolanità in stile 007 e idiozie di sceneggiatura si alternano a non finire: eloquente è il cazzotto in faccia allo squalo assestato dalla Croft e il conseguente congiungimento alla sua pinna dorsale per sfuggire agli inseguitori... Non mancano neppure mezzi di trasporto improbabili e avveniristici che volano o nuotano sott'acqua, salti millimetrici col paracadute, telefonini funzionanti in piena savana. A far respirare aria di casa agli affezionati del videogioco ci sono, almeno, gli oggetti, i vestiti e le armi riprodotte con una certa fedeltà: i bengala luminosi, la muta subacquea e le due amate pistolone.
La regia di Jan De Bont è inconsistente e poco appassionante.
L'approssimazione domina, la macchina da presa è posizionata a casaccio, con fare distratto e si fa uso di immagini concitate per nascondere le pecche (soprattutto nelle scene di azione e combattimento). Affidandosi agli esercizi e alle coreografie di ju- jitsu, kick-boxing, bungee jumping e a un'altra palata di arti marziali l'unico problema sembra essere stato quello di mantenere intatto il rimmel sugli occhi della Jolie.
Il montaggio in post-produzione è stato realizzato in cinque minuti; si vedono addirittura troncare, senza alcun riguardo e costrutto, le inquadrature sui personaggi che stanno parlando!
Lara, sempre avvolta da ambientazioni remote e impolverate, è aiutata nella sua ricerca da Terry Sheridan (Gerard Butler), l'uomo per il quale un tempo è stata innamorata. In questo episodio pare finalmente che la presunta frigidità di Miss Croft venga meno e si sia lasciato un po' di spazio ai sentimenti e all'Amore, ma è solo un'illusione.
Tutto quello che descrive la tresca romantica viene rappresentato con scorazzate in moto sulla Grande Muraglia e qualche dialogo simpatico non scevro da schermaglie di corteggiamento; tutte cartoline da un viaggio di nozze mai fatto. Lara Croft e Terry Sheridan sono, in fondo, le facce opposte di una stessa medaglia. Entrambi sono bombe sexy che non esplodono mai perché cinici e un po' bastardi.
La Jolie, nonostante sia il personaggio principale e quasi esclusivo del film, si muove senza un minimo di garbo e assomiglia sempre più a una bambola gonfiabile. La sua figura che dovrebbe risultare attraente e magnetica sembra invece imbalsamata da un'espressività univoca: ogni tanto non gli avrebbe fatto male cambiare faccia...
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Recensione a cura di pompiere - aggiornata al 28/04/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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