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Neo laureata in filosofia, la giovane Marta viene assunta in un call center, lavoro precario, alienante e squallidamente competitivo; ma precario è pure tutto quello che le si muove intorno. Solo alla fine troverà soluzione a tanto disagio, recuperando una dimensione più umana di affetti familiari e di onestà.
Sgombriamo innanzitutto il campo da alcuni equivoci: "Tutta la vita davanti" viene presentato come il film sul lavoro giovanile precario, ma non è solo questo. Inoltre, per il cinema di Paolo Virzì si continua a scomodare il termine di "commedia all'italiana" in modo non appropriato e riduttivo.
Il genere "all'italiana" si differenzia sostanzialmente da quello generico della commedia brillante per specifici contenuti di satira del costume e dell'ambiente borghese del suo periodo di auge: a cavallo degli anni '50 /'70, a seguito del miracolo economico e della trasformazione della nostra società da agricolo-industriale a piccolo borghese, indistintamente.
Altra differenza è rappresentata dal contesto locale. La commedia all'italiana classica era in prevalenza un fatto romano come ubicazione, linguaggio e realtà socio-culturale, in una dimensione dove trionfavano possibilismo, pressappochismo e tendenza a "tirare a campà"; dove una giornata "se rimedia", non "si guadagna". Le storie ivi narrate fondavano le radici nell'humus precedente del neorealismo italiano del dopoguerra, pur facendo sorridere.
Nel film in oggetto, invece, l'ubicazione nella Capitale sembra puro caso; anche perché le vicende di fondo sarebbero più facilmente collegabili a un mondo consumistico da capitalismo marchettaro e da TV commerciale, di stampo milanese.
Anche i modi del racconto sembrano ben lontani da una descrizione del reale, impostati invece sul registro di una fiaba surreale, amara e grottesca dell'esistenza odierna. Non "realismo", bensì "reality", inteso nell'accezione più deteriore della peggior TV nazional popolare in cui trionfano improbabili "tronisti" e calciatori e veline la fanno da padroni nei sogni giovanili. Questa desolante situazione viene raccontata formalmente coi modi di una favola, con tanto di voce narrante fuori campo (Laura Morante), come nei film di Don Camillo; film in cui però si scherzava amabilmente sui conflitti paesani, senza proporre esistenze e comportamenti folli come quelli descritti da Virzì.
Il tutto all'insegna disperata e pessimistica di una precarietà assoluta e fatale non solo del lavoro, spunto centrale del film, ma dei sentimenti e dell'esistenza nel suo complesso. In questo mondo surreale ed artificioso stanno tutti male, incapaci di programmarsi "una vita davanti", lasciata nevroticamente al caso; e in questo panorama si muove con inebetito stupore la protagonista (formidabile la semiesordiente Isabella Ragonese), con lo scoramento interiore della piccola "Caterina in città" e di un Candide "nel peggiore dei mondi possibili".
E non resterebbero altre speranze alla giovane se non ricorresse alla sua cultura filosofica, col recupero di valori etici sostanziali, descritti simbolicamente nella scena finale: in cui torna ad una dimensione familiare con una bambina, la madre di quest'ultima e la anziana ospite cui restituisce, per onestà, somme rubate da altri. Una scena apparentemente retorica, ma che è invece indicativa del disgusto di chi vive ancora con un'anima netta ai giorni nostri, al cospetto di comportamenti folli e schizofrenici del "tutti contro tutti" per questioni di denaro e di potere, con modelli di plagio e di indottrinamento perversi come quelli predicati dalla "istruttrice capo" del call center incriminato (una straordinaria Sabrina Ferilli), dove lavora la neolaureata in filosofia.
Per concludere, più che di "commedia all'italiana", per l'ultima opera di Virzì parleremmo di un forte e sarcastico film di denuncia: una riuscita e convincente satira di costume, di impronta surrealistica.
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 10/04/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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