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E' risaputo che, nell'esalare l'ultimo respiro, il pensiero di un soldato in guerra vada alla madre, non alla moglie o alle amanti: spirando, la sua ultima parola è "mamma". A lei l'estremo ricordo, quasi per ricongiungersi, con estremo suggello, al miracolo della nascita.
Donna, dunque, come madre -nutrice - salvatrice, immagine essenziale del femminile nella psicologia maschile di sempre, ma che in realtà la donna emancipata dei nostri tempi tende a rimuovere (e su questo punto non insistiamo perché porterebbe troppo lontano).
A questa concezione simbolica della funzione salvifica della donna, è ispirato nella sostanza il complesso film di Jean Pierre Jeunet, con la storia di una giovane ragazza che non si arrende alla perdita del fidanzato, dato per disperso nella prima guerra mondiale. Tanto prova e tanto fa, ricercandolo, che alla fine la poverina riuscirà davvero a ritrovarlo vivo, ancora privo di memoria.
Ma la storia non va considerata per la vicenda in sé, che la ricondurrebbe inevitabilmente a un filone romantico-sentimentale, come alcuni hanno detto. Ma per il respiro decisamente più elevato di tratteggio universale della condizione umana, col fronteggiarsi archetipico di maschile e femminile: donna-madre-nutrice-salvifica-portatrice di vita, a cospetto dell'uomo, aggressivo-violento-cinico-distruttivo-portatore di morte.
Opera complessa, dicevamo in apertura, perché sull'asse portante qui delineato, vanno ad aggiungersi una miriade di altri elementi, in effetti... tutti quelli dell'umano: il contesto familiare dei genitori adottivi della giovane, le reminescenze infantili della malattia che l'avrebbe minorata,
il tratteggio dei caratteri socio-psicologici dei vari personaggi maschili, le ministorie individuali dei poveri disertori condannati a morte, il racconto dell'amore infantile col compagno di giochi, tradottosi nel tempo in una passione fatale. In aggiunta, poi, l'intreccio complesso delle storie dei compagni di sventura della trincea..., quasi tutti morti nel corso della battaglia, ma ancora drammaticamente vivi nella memoria dei parenti superstiti.
Quanto narrato, poi, trova una chiave di lettura simbolica più ampia, come sempre avviene nella grande letteratura, e nell'arte in genere: la "terra di nessuno" a cavallo tra le linee difensive degli eserciti nemici, può essere vista come il limbo della nostra coscienza (o del conscio), l'azione vindice della moglie còrsa, contro gli assassini del marito, suona di anatema biblico e legge del taglione, l'incendio fatale di un dirigibile nell'ospedale dei soldati feriti, ha il taglio della tragedia greca, dove tutti pagano ineluttabilmente, per cecità del destino. Mentre molti personaggi emblematizzano "maschere" caratteristiche dell'umano: l'intrigante che commercia anche nelle trincee, il bilioso che uccide un compagno legittimato dal cinismo delle istituzioni, il crapulone superficiale, che occulta la grazia del Presidente Poincaré, come l'astuto investigatore, sembrano i personaggi tipici di quella grande "commedia dell'arte" che è la vita.
Il tutto inscenato e presentato come in un maestoso affresco, dove c'è spazio per scene di ogni genere, e dove ogni centimetro di tela rappresenta un racconto a sé : proprio come nella Cappella Sistina, o, meglio, come nel grande romanzo ottocentesco europeo, dove va in scena a tutto tondo l'universo intero.
E indubbiamente la capacità di racconto di Jeunet non può non ricollegarci ai grandi romanzieri dell'ottocento francese, dalla Comédie Humaine di Balzac a Victor Hugo, dai Rougon Macquart di Zola a Flaubert, a Stendhal e ad altri grandissimi.
E come nella recherche Proustiana, i personaggi del film sembrano scaturire dalla lente del tempo perduto; proprio come succede a tutti noi quando guardiamo le vecchie foto dei nostri nonni, evocatrici di ricordi ed emozioni ancestrali. Così è la fotografia del film, altro vero punto di forza, per i sapienti cromatismi oleografici e la minuziosa ricerca espressiva, che punta sulla drammaticità di tante scene e sulla rara incisività di personaggi e intepreti, tutti estremamente a fuoco. Poi, come in tutti i capolavori, dal disegno generale dell'opera, emergono ancora dettagli specifici, degni di vita propria. E ne citiamo due soli, la delicatissima storia d'amore "pilotata" tra la moglie di un soldato ed un compagno d'arme, e le scuse sommesse della madre adottiva per non avere concesso sufficiente approvazione alla figlia: due perle delicate su cui, volendo, si potrebbero costruire film interi. Proprio come succedeva abitualmente nel romanzo ottocentesco; ad esempio con la "Monaca di Monza".
Un'ovazione sincera dunque al maestro francese, per un'opera superlativa come regia, sceneggiatura, fotografia, scene, intepretazione e colonna sonora; in un'atmosfera di rara poeticità.
E in aggiunta un invito ai giovani registi "televisionari" del cinema nostrano: prima di mettersi alla macchina da presa, facciano letture approfondite, magari di romanzi ottocenteschi E vadano a vedere film come questo, per imparare da un vero maestro, come forse ha fatto la brava Jodie Foster, presente in una semplice particina. Così, prima di mettersi alla guida di un jet... avranno l'umiltà di... prendersi prima un brevetto da pilota!!
E quando vedranno l'immagine iniziale del crocifisso dilaniato, invece di pensare alla canzone de "I Nomadi", capiranno principi fondamentali della drammaturgia e della comunicazione, come quello essenziale di un ingresso in medias res!
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 22/02/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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