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La sanità privata di per sé è una contraddizione in termini ed un'aberrazione. La salute di ogni singolo cittadino con questo meccanismo perverso è alla mercé delle compagnie di assicurazione, le cui decisioni possono essere una vera e propria condanna a morte per il malcapitato che si trova di fronte a delle cure per una qualsivoglia malattia che non vengono coperte dalla polizza. Il principio pubblico di una sanità che possa permettere a tutti di curarsi viene di fatto sottoposto alle esigenze di profitto di compagnie private, che invece di rispondere del proprio operato alla collettività in primo luogo, rispondono innanzitutto ai propri consigli di amministrazione e agli azionisti di tali società.
Temi che sono stati già trattati in documentari, il più famoso sicuramente "Sicko" di Michael Moore, che ne descrivevano i meccanismi perversi e l'assurdità di vedersi negare l'accesso a cure che potevano significare la guarigione di un malato, decretandone in svariati casi la morte dello stesso, in ragione della negazione a tale accesso. L'unico modo per usufruirne è pagare le spese di cura di tasca propria senza la copertura dell'assicurazione, ma non tutti ovviamente, anzi la maggior parte delle persone, possono permettersi di pagare cure che molte volte sono estremamente costose e capaci di affondare i bilanci di molte famiglie.
Pla sceglie di costruire una storia di finzione che vuole essere di denuncia di fronte ad un sistema visto appunto come un mostro dalle mille teste, dalle dinamiche sfuggenti e dalla difficoltà di approccio abbastanza evidenti, considerando l'enorme disparità che può intercorrere fra una grande compagnia di assicurazioni ed il singolo individuo che decide di interloquire per le vie normali.
Come ne "La Zona", il film più famoso del regista messicano, siamo di fronte a due mondi perfettamente distinti, nel quale il contesto dominante (il quartiere dei ricchi o la compagnia d'assicurazione) agisce in maniera autoreferenziale, senza curarsi delle conseguenze rispetto al proprio modo di agire.
Ma se ne "La Zona" il contrasto sociale era molto più marcato ed evidente, nel mostro dalle mille teste il contesto sociale è certamente differente. Sonia e la sua famiglia non si può dire che appartengano ad una classe povera o indigente. Già dalle primissime inquadrature dell'interno della casa lo fanno certamente intuire. Un'abitazione più vicina al ceto medio che rende più efficace l'intento di denuncia del regista messicano. Di fronte ad una malattia che lentamente sta divorando la salute del marito di Sonia, molte persone e relative famiglie possono essere potenzialmente delle vittime di un sistema perverso come questo.
Nelle prime fasi del film, Pla sceglie un approccio quasi documentaristico. La protagonista infatti sceglie la modalità di comunicazione normale come per qualsiasi mutuato. La sua è una corsa contro il tempo per convincere il suo medico di base a far accettare dalla compagnia una cura che negli Stati Uniti si è dimostrata efficace per far regredire il cancro che sta uccidendo il proprio marito.
Sonia quindi affronta la trafila di call center, appuntamenti con il medico di base, il quale rifiuta di riceverla ogni volta dopo interminabili ore di attesa e le risposte gentili (di facciata) ma ferme delle segretarie della compagnia. Tale approccio normale serve a sottolineare come il mostro riesce ad essere impermeabile a queste richieste che rimangono inefficaci, mentre la vita dei malati si sta esaurendo. Quindi i normali canali di comunicazione dimostrano di non saper funzionare.
L'approccio deve essere modificato profondamente, specialmente dopo l'ennesima ed inutile attesa dove Sonia aggredisce verbalmente e fisicamente l'impiegata che nega per l'ennesima volta il ricevimento da parte del medico di base.
Con il cambio di approccio da parte di Sonia cambia anche il tono del film di Pla. Da documentaristico diventa un thriller in piena regola. La donna, messa alle strette dalla compagnia assicuratrice, decide di farsi strada con un metodo più radicale ed estremo: alla documentazione sanitaria del marito ed accompagnata dal figlio, Sonia porta con sé una pistola.
Il ritmo del film si fa più serrato, la regia di Plà scruta il volto disperato di una donna in corsa contro il tempo per salvare il marito. Attraverso un mezzo coercitivo come una pistola, Sonia ha trovato la chiave per penetrare all'interno di un sistema altrimenti impenetrabile attraverso canali ufficiali.
Intervallato dalle voci fuori campo degli attori di tutta questa vicenda, la donna percorre nella maniera più lineare possibile la scala gerarchica di questa società. Dal medico di base, sequestrato in casa propria fino agli alti dirigenti della compagnia, scopre le storture di un metodo che conduce alla malasanità vera e propria, alla negazione completa del diritto alla salute delle persone in nome della vecchia logica basata sul profitto. I colletti bianchi di questo mostro vivono in case e studi lussuosi, frequentano circoli sportivi esclusivi e sono troppo lontani o troppo disinteressati dalla gente comune che Sonia simboleggia. Disumanizzati a loro volta da regole e da una burocrazia che è il vero cuore marcio pulsante di questo mostro.
Pla implicitamente fa intuire che alcuni di questi colletti bianchi, come rimarcato anche dalle voci fuori campo degli stessi protagonisti, pur non parteggiando in maniera aperta nei confronti di Sonia, ammettono che la donna stessa si trovava in una condizione disperata. C'è quindi la probabilità che agendo da singoli individui il corso degli eventi poteva essere diverso, ma le direttive del mostro sono al di sopra della volontà e della coscienza stessa di quelle persone che lavorano al suo interno. Sono semplici ingranaggi di un meccanismo che può permettersi la loro sostituzione senza problemi.
Tutto la vicenda descritta da Pla è il resoconto del processo che si celebra nei confronti della donna. Le voci fuori campo esprimono anche punti di vista di una serie di eventi che Pla ci ha messo di fronte. La donna è stata infine catturata dalla polizia (alquanto lenta nel suo agire a dimostrazione di una sceneggiatura non priva di qualche forzatura eccessiva). Poco prima della cattura una telefonata della sorella le comunicava la morte del marito dovuta alle complicazioni della malattia poco dopo il suo ricovero in ospedale.
"Un monstruo de mil cabezas" termina in maniera sospesa. Il giudice entra in aula e la sequenza si interrompe prima della lettura del verdetto. Anche lo spettatore è giudice di questa vicenda. Pur nella forte empatia che si prova nei confronti di questa donna, essa ha commesso dei crimini e secondo la legge probabilmente sarà punita per questo.
Fra le tante riflessioni alle quali la pellicola ci induce una potrebbe essere questa: avrebbe agito in quel modo se le fosse stato riconosciuto un diritto invece di essere trattata ingiustamente? E pur in presenza di una colpa certa, le attenuanti possono essere superiori alla colpa stessa?
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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 17/11/2015 16.01.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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