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Voto Recensore: | 9,00 / 10 | ||
Questo splendido ed indimenticabile film di Bunuel, oggi di difficile reperimento, esce nel 1961, in una Spagna ancora povera e teatro di molte superstizioni religiose.
Si avverte nel Paese la mancanza di un corso politico nuovo capace di mettere in moto un processo verso la democrazia; la nazione è egemonizzata da un cattolicesimo pigro, autoritario, non del tutto autonomo da una dittatura borghese sempre più aggressiva e decisa a dettare condizioni e regole di vita. La Spagna agli inizi degli anni '60 è un Paese molto arretrato, la gerarchia ecclesiastica si sostiene su una tradizione vetusta che ostacola il nuovo portando i giovani predicatori a gravi crisi di identità; è proibita qualsiasi libera manifestazione di idee politiche innovative o pensieri legati ad un mondo più astratto, artistico, e l'isolamento della Spagna dall'Europa più democratica e civile è pressoché totale.
In questo difficile e triste contesto storico Bunuel produce un film scandalo, di grande efficacia provocatrice, basato sulla descrizione e rappresentazione letteraria di un percorso di fede in una donna, Viridiana, sul punto di entrare in convento; la novizia monaca, sospinta dal proprio passato e da eventi sfortunati, si trova a percorrere suo malgrado i sentieri più ambigui e stranianti della mondanità laica.
Il personaggio protagonista del film, Viridiana, ha un nome che ricorda una santa italiana vissuta ai tempi di San Francesco; la donna sembra posseduta da una fede ferrea, il suo sguardo è spesso assente, rapito, a volte estasiato, tale da far pensare a una scelta religiosa radicale.
Alla vigilia dell'investitura la madre superiora informa la donna dell'arrivo di una lettera dallo zio, l'anziano Don Jaime (Rey), che chiede di vederla.
L'uomo un tempo si era preso cura di Viridiana permettendole di studiare e di farsi una dote; ha avuto una vita difficile, perchè rimasto vedovo già dalla prima notte di nozze. Viridiana non è contenta della notizia: non nutre affetto per lo zio, con cui ha avuto un solo incontro molto tempo prima, ma la madre superiora, ricordandole l'importanza cristiana della riconoscenza, la convince a far visita per alcuni giorni a Don Jaime.
All'arrivo nella dimora dello zio, Viridiana nota che il podere è alquanto trascurato, spoglio, privo di ogni attività, tale da far credere alla donna che l'uomo a cui fa visita sia in crisi.
Don Jaime predilige una vita estetica e contemplativa: ama la musica, i libri, gli oggetti d'arte, ed è affetto da alcune forme di nevrosi che si manifestano periodicamente con sintomi feticistici, impulsi irrefrenabili durante i quali accarezza il vestito da sposa e le scarpe da cerimonia della moglie defunta immergendosi in un'atmosfera ritualistica di adorazione-ricordo per l'amata, una rievocazione struggente che si confonde con il delirio. Don Jaime vive ossessionato dalla scomparsa della bella consorte, e a causa della nevrosi che lo tormenta vede in Viridiana, simile nel viso e nell'andatura alla defunta, l'occasione per sostituirla.
Nella conversazione con Don Jaime, la novizia monaca conferma il suo disinteresse affettivo per l'uomo e l'intenzione, una volta adempiute le tipiche formalità della visita di cortesia, di rientrare al convento.
La donna durante il soggiorno deve far fronte ad una strana richiesta dello zio, che la vorrebbe vedere con indosso gli abiti da sposa della moglie; Viridiana, ricordandosi dei cospicui aiuti ricevuti dallo zio, decide di assecondarlo, ma stordita dai suoi periodici deliri mistici trascura di capire fino in fondo le reali intenzioni dell'uomo.
Come promesso, Viridiana si presenta una sera nel lussuoso salotto dello zio vestita da sposa; Don Jaime dopo averla ammirata in tutto il suo splendore la convince a bere un liquore in cui è stato sciolto un potente sonnifero che dopo pochi istanti la fa crollare inerme sulla poltrona. Don Jaime adagia la nipote nel vecchio letto coniugale con il proposito di possederla; la bacia delicatamente sulle labbra, le apre con un certo pudore il corsetto, le sfiora i seni con le dita e, all'improvviso, pensando alle gravi conseguenze del suo gesto, si ferma, esita e si allontana inorridito dalla stanza.
Al risveglio della donna lo zio mente ad arte su quanto accaduto, fcendo credere alla donna di averle usato violenza, sperando così di costringere Viridiana a rimanere ed a sposarlo, allontanandola definitivamente dal convento, ma l'espressione di orrore che compare all'improvviso sul volto di Viridiana costringe Don Jaime a dirle tutta la verità.
Viridiana ora disprezza lo zio e decide di ripartire subito per il convento con l'intenzione di separarsi definitivamente dall'uomo; nel momento di salire sull'autobus, però, una macchina della polizia giunge a piena velocità nei pressi della stazione di partenza. Dal mezzo scende un gentile commissario che la invita a seguirlo nella tenuta dello zio dove è accaduta una disgrazia, Viridiana ritorna ansiosa nel podere e scopre il corpo senza vita di Don Jaime, impiccatosi ad un albero con una corda da gioco che i bambini usano di solito per saltellare.
Viridiana eredita così i beni di Don Jaime insieme al figlio dello zio Jorge (Rabal), un giovane pieno di energie e progetti di lavoro, aggressivo, seduttore, decisionista, simbolo della nuova borghesia spagnola.
Viridiana inizia così una nuova vita ma non abbandona la fede cristiana; il senso di colpa per quanto accaduto sembra suggerirle inconsciamente un'espiazione di tipo evangelico, un impegnativo e sofferto progetto di carità che la porta ad accogliere nella sua grande casa alcuni miserabili vagabondi della zona, dando loro cibo e ospitalità in cambio di preghiere e di un impegno a rispettare il prossimo.
I miserabili non cambieranno più di tanto il loro vecchio modo di comportarsi; l'odio e l'invidia per le ricchezze di Viridiana e di Jorge prendono presto il sopravvento riportandoli a una gestualità rozza e brutale, sprezzante e irrisoria verso ogni forma di carità proposta dal mondo borghese. Viridiana subisce inoltre un tentativo di stupro architettato da due ospiti, venendo però salvata da Jorge.
I vagabondi approfittano un giorno dell'assenza dei padroni di casa e organizzano una cena orgiastica, dal sapore blasfemo, una sorta di dissacratoria parodia dell'ultima cena di Gesù, dove viene diffamata gran parte della simbologia eucaristica dei vangeli.
Viridiana, stanca e delusa per ciò che accade, sente la fede cristiana incrinarsi, ed il dubbio prende sempre più spazio; decide così ad un certo punto, ancora sotto l'influsso del trauma subito, di aprire il suo cuore alle ambigue proposte del cugino Jorge. Scioglie davanti allo specchio i suoi lunghi capelli, stende con le mani la pelle del viso, e dopo aver assunto un aspetto più sensuale va a trovare il cugino nella stanza.
Ora l'integrità psichica di Viridiana sembra venir meno: si insinua in lei l'idea della praticabilità del peccato alternata ad un fragile e oscuro bisogno di credere, la sua fede non è più una costante, chiara certezza d'amore verso Dio, ma un sentimento nuovo, misterioso, impregnato di laicità, un complesso processo di pensieri, irto di difficoltà, non ordinabile, dove il dubbio si avvicenda al credere a seconda delle situazioni del quotidiano.
Il film accompagna le trasformazioni avvenute in Viridiana con un brano allegro di musica leggera, somigliante al cha-cha-cha degli anni '60.
Viridiana è una pellicola che oltre a formulare coerentemente quelle che sono da sempre le difficoltà pratiche della predicazione cristiana, riesce a comunicare aspetti molti significativi del credere e del desiderare presenti nella famiglia borghese spagnola degli anni '60; magistrale a tale proposito è la rappresentazione del contrasto tra una cultura permeata di simbologia medievale, che richiama l'immobilismo delle idee e l'assolutismo presenti nelle vecchie credenze religiose, ben incorniciate dalle bellezze del mondo colto e istruito, ed il formarsi all'orizzonte di un'altra cultura, di origine neoborghese, impregnata di idee dinamiche, contemporanee, protesa senza riserve verso il futuro, in procinto di scontrarsi duramente con le idee conservatrici della dittatura franchista.
Il fallimento della predicazione di Viridiana (Silvia Pinal) e l'orgiastica cena dei balordi fanno pensare non tanto ad un'offesa al messaggio cristiano, come pensavano i portavoce del Vaticano del tempo, quanto, paradossalmente, ad una riconferma della sua validità; infatti la cena dissacrata non fa altro che confermare le ingrate conseguenze a cui va incontro la carità cristiana, aspetto già ampiamente previsto dai quattro vangeli. Bunuel sembra quindi interpretare efficacemente anche il senso più profondo dei vangeli mostrando la realizzazione di alcune profezie degli apostoli.
Il film, in bianco e nero, ideato da Bunuel in Messico e girato poi in Spagna, segna il ritorno in patria del geniale regista spagnolo dopo una lunga odissea negli Stati Uniti, in Francia ed in Messico a seguito della sconfitta dei repubblicani nella guerra civile del '39.
Luis Bunuel con questo film d'autore rimane fedele al suo stile di artista dall'indole creativa, originale nelle idee ed inventivo nello stile, caparbio nel raggiungere certi obiettivi culturali, orgoglioso e tenace nel perseverare in analisi etiche, religiose ed esistenziali di grande portata provocatoria.
A Bunuel non interessa tanto contrapporsi, da non credente, al mondo cristiano impregnato di metafisica, quanto studiare, attraverso il comportamento etico dei protagonisti che vivono quel mondo, i risvolti pratici di alcune scelte di fede, alcuni dettagli di costume della vita di quelle persone, certe passioni riposte e improvvise, oscure, qualcosa cioè che sottolinei in qualche modo la complessa natura umana, sempre intrisa di storia da decifrare.
"Viridiana", alla sua uscita, ha suscitato numerose reazioni: da una parte giudizi di stima, soprattutto dai critici laici e di fede cristiana non integralista, dall'altra perplessità e sdegno dalla critica moralista e benpensante per le presunte dissacrazioni della simbologia eucaristica avvenute in alcune scene.
Il film conquistò la Palma d'oro a Cannes ma fu proibito nella cattolica Spagna e duramente criticato dal Vaticano attraverso il suo giornale, "L'osservatore romano", che riteneva blasfema la scena dell'Ultima cena perché mostrava, in atteggiamento orgiastico, gli avidi vagabondi al posto dei dodici apostoli.
La pellicola di Buñuel venne stroncata senza possibilità d'appello e definita un "insulto alla religione cristiana". Buñuel rispose con serenità e garbo alle accuse dell'Osservatore Romano: "Non ho inteso dire nulla contro la religione".
Le dure vicende vessatorie subite dal film di Buñuel smascherano le menzogne del regime franchista che solo apparentemente era proteso verso la liberalizzazione dell'espressione artistica. Il generale Franco, all'uscita del film, licenziò il direttore nazionale del cinema spagnolo per aver concesso il nulla osta alla produzione del film di Buñuel.
Per ironia della sorte, ma anche a dimostrazione di una totale assenza di pregiudizi degli autori del film verso i principi cristiani, la sceneggiatura del film risulta scritta da Buñuel in collaborazione con il cattolico Julio Alejandro de Castro. I due, in diverse interviste, hanno dichiarato di aver desiderato rappresentare senza compromessi con il senso comune o il potere politico cose che sentivano come autentiche.
L'opera di Buñuel, sul piano più filmico, formale, è complessa e di lettura poliedrica, interpretabile da più angolazioni, come d'altra parte tutte le espressioni artistiche basate sul linguaggio surrealistico e psicanalitico classico (freudismo anni '60) di quegli anni.
Il film può anche essere inteso come una riuscita metafora letteraria del difficile percorso della fede cristiana nell'inconscio dei fedeli; un itinerario molto particolare che si snoda nei meandri tortuosi e contradditori del rimosso, in cui si formano passioni travolgenti alimentate dal dovere conscio di contenere e razionalizzare pulsioni incontenibili ritenute dal cristiano non conformi alla sua morale.
La pellicola, per come formula il complesso problema delle scissioni psichiche legate alla fede e al sacro, al dualismo corpo e spirito, rimane una pietra miliare nella storia del cinema; gli argomenti sono trattati in modo incisivo ed inedito grazie all'applicazione del metodo letterario-psicanalitico, che pur sacrificando per l'approfondimento tematico parte dello spettacolo filmico convenzionale riesce in compenso a procurare straordinarie emozioni di vero.
Da sottolineare ancora l'attenzione delle inquadrature di Bunuel verso il movimento dei piedi e delle gambe degli attori: numerose sono le riprese che mettono a fuoco l'andatura ed il gioco degli arti inferiori, mostrandone particolarità che danno una sensazione di completezza descrittiva dei personaggi.
Di notevole interesse anche il gesto compiuto da Viridiana in uno stato da sonnambula, quando dopo aver gettato nel fuoco alcune matasse di lana raccoglie le ceneri e le cosparge sul letto di Don Jaime, quasi a prefigurare la tragedia che sta per accadere e l'assenza nella casa del pentimento cristiano.
Le musiche della colonna musicale principale sono di Händel ("Il Messia", l'"Alleluia"), Beethoven ("Sinfonia N. 9") e Mozart ("Requiem").
La pellicola in DVD non ha subito restauri e mostra qualche piccola smagliatura; nonostante questo, per nitidezza e contrasto la qualità del video è buona.
L'audio si limita al mono italiano.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 28/04/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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