gang regia di Robert Altman USA 1974
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gang (1974)

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locandina del film GANG

Titolo Originale: THIEVES LIKE US

RegiaRobert Altman

InterpretiKeith Carradine, Shelley Duvall, John Schuck, Bert Remsen, Louise Fletcher, Ann Latham

Durata: h 2.03
NazionalitàUSA 1974
Generedrammatico
Al cinema nel Novembre 1974

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Trama del film Gang

Evasi da un campo di lavoro, tre condannati all'ergastolo si rifugiano da un parente dei tre che vive con la figlia Keechie. Individuati dalla polizia, riprendono la fuga, ma solo uno riesce a scamparla e si rifugia con Keechie in una casa nei boschi, la libertà però durerà ancora per poco..

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Voto Visitatori:   7,50 / 10 (14 voti)7,50Grafico
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Voti e commenti su Gang, 14 opinioni inserite

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VincVega  @  18/02/2022 19:00:09
   7½ / 10
Dopo il successo di "Gangster Story", molti film hanno preso quella strada. "Gang" è uno di questi, anche se l'ho trovato migliore rispetto al film di Arthur Penn (che personalmente non amo), perchè quello di Altman è più intimista e cerca meno la spettacolarità. La provincia americana con la sua tranquillità è il sogno impossibile della coppia Bowie-Keechie, ragazzi che si sono ritrovati in un mondo d'adulti fatto di scorribande e violenze ma che non riescono ad uscirne. Alone di fatalità sempre presente fino al finale di forte impatto.

kafka62  @  10/02/2018 19:41:23
   9 / 10
Asserire che Gang è, prima di ogni altra cosa, un film sulla coca cola può forse apparire un'iperbole o una provocazione, ma è l'unica maniera per non travisare il suo significato più profondo ed autentico. E' quasi pleonastico ricordare l'impatto che la popolare bevanda (ma lo stesso potrebbe dirsi per prodotti come Marlboro, Brooklyn, ecc.), con le sue campagne pubblicitarie e le sue sponsorizzazioni miliardarie, ha avuto sull'immaginario collettivo moderno, e la sua straordinaria diffusione planetaria, la quale fa sì che sia possibile trovarla in un minuscolo villaggio del Sud-Est asiatico come in una sperduta fazenda della Terra del Fuoco. A un secolo dalla sua invenzione, la coca cola ha potuto così assurgere a simbolo incontrastato della odierna società dei consumi di massa. Ebbene, Robert Altman, non nuovo ad operazioni del genere (basti pensare al bellissimo I compari), ci parla proprio della coca cola, e con essa del conformismo mass-mediologico e dell'omologazione imposta da modelli di comportamento di derivazione prettamente commerciale, ambientando il suo film addirittura agli albori dell'era consumistica, gli anni trenta in America, e soprattutto inserendolo all'interno di un genere molto codificato, quello gangsteristico. Si tratta di un'operazione molto raffinata, che permette di leggere il film a diversi livelli, diegetici ed extra-diegetici. Se il primo livello, più immediato ed evidente, è la tragica vicenda di Bowie Bowers e della sua compagna Keechie Mobley, punteggiata dalle consuete, irridenti notazioni sarcastiche, che fin dai tempi di M.A.S.H. permettono al regista di prendere criticamente le distanze dai suoi soggetti (può essere interessante a questo proposito confrontare Gang con il film che Nicholas Ray aveva tratto nel 1947 dallo stesso romanzo di Edward Anderson), il secondo è appunto quello più propriamente sociologico. Pur non essendoci, all'interno delle singole sequenze, alcun elemento che contribuisca a mettere in risalto il significato dei piccoli atti quotidiani dei personaggi, alla fine il senso del discorso altmaniano risulta chiarissimo. La ripetizione ossessiva di un gesto (*) (i personaggi sono sempre con una bottiglia di coca cola in mano) smaschera alla perfezione, senza bisogno di sottolineature didascaliche, il meccanismo perverso con cui la pubblicità crea un bisogno indotto e lo radica nel consumatore, provocando in lui una sorta di assuefazione all'uso.
Il potere persuasivo della società dei consumi trova una importante conferma in questa considerazione: i personaggi del film sono completamente ignari e inconsapevoli di essere, per dirla con una terminologia tipicamente marxista, delle vittime del capitalismo moderno, essi non hanno cioè alcuna coscienza critica o di classe. Ecco la grande trovata di Altman: quella di fare di Bowie e Keechie dei veri e propri anti-eroi. Persino in Gangster story di Arthur Penn, che pure aveva revisionato profondamente il filone gangsteristico, c'era un epos, sia pure scanzonato e divertito, che conferiva a Bonnie e Clyde un'aura alla Robin Hood (Clyde, presentandosi, dice con orgoglio: "Noi rapiniamo banche"). In Gang, invece, Bowie e i suoi compagni sono dei disadattati, rapinano le banche perché non sanno fare altro (anzi, starebbero volentieri dall'altra parte, come fa capire T-Dub quando dice: "Avrei dovuto fare il medico, l'avvocato, il commercialista, e rapinare la gente col cervello e non con la pistola"), hanno mediocri aspirazioni piccolo-borghesi (il matrimonio per T-Dub, giocare in una squadra di baseball per Bowie). Essi non rivestono alcun ruolo ribellistico e anti-sociale, neppure inconsciamente, anzi essi contribuiscono inconsapevolmente alla diffusione dei miti della società di massa, capovolgendo in una normalizzazione conformistica e reazionaria la loro possibile funzione "altra".
Le sequenze finali del film illustrano molto bene queste tesi. Ignara del fatto che la polizia ha fatto circondare il motel di Mattie, Keechie, in attesa del ritorno di Bowie, si allontana per andare a bere un'ennesima bottiglia di coca cola, ed è proprio questo gesto a salvarla dall'agguato in cui invece cade vittima il suo compagno. Il supino e acritico adeguamento alla forza suggestionante e adescatrice della Merce la preserva insomma da una morte quasi certa e in cambio di ciò la costringe a sparire, a farsi letteralmente ingoiare, nell'ultima scena alla stazione ferroviaria, da una folla anonima e silenziosa.
Se si fa eccezione per quest'ultima inquadratura, in Gang manca paradossalmente ogni aggancio con la realtà sociale. L'apologo di Altman è infatti talmente ingegnoso e sottile da poter fare a meno degli aspetti più "esteriori" e visibili della società americana dell'epoca. Mentre ne I compari, il film che ideologicamente assomiglia di più a Gang, il capitale era rappresentato da uomini d'affari e killers senza scrupoli, i quali si opponevano con la violenza a McCabe, qui apparentemente non è rimasto più nulla. Tutto avviene fuori campo, e il bersaglio della critica altmaniana, anziché mostrarsi con immediatezza, è – se così si può dire – nascosto nell'etere. La radio, infatti, simboleggia, con la sua ossessiva presenza (è sempre accesa, anche quando i personaggi parlano tra loro), quell'invadenza dei mass media che è la causa prima di quel lento ma inesorabile stravolgimento dei modelli di comportamento di cui si è finora parlato. Se in alcuni casi la radio è solo un contrappunto ironicamente enfatico alle azioni dei protagonisti (la serie radiofonica sulla lotta tra g-men e gangster, il discorso del presidente Roosevelt sulla sicurezza e tranquillità dei cittadini), in altri momenti essa è vista con occhio più critico, come perversa instillatrice di forme coatte di consenso, di falsi valori e di un'ortodossia ideologica ovviamente gradita al Sistema. Nella sequenza in cui Keechie e Bowie fanno l'amore, la radio trasmette una riduzione di Giulietta e Romeo, e la naturalezza del rapporto tra i due giovani, i loro giochi infantili, le loro parole banali ("Mi vuoi bene? E quanto mi vuoi bene? Cento sacchi pieni?"), stridono con il fraseggiare aulico degli eroi shakespeariani, generando senza darlo troppo a vedere un sensibile scarto tra vita reale e vita ideale, scarto che è un potenziale produttore di insoddisfazione e sofferenza.
Anche se è ambientata negli anni trenta, l'operazione critica di Altman è attualissima. Il potere della pubblicità e dei mass media è anzi amplificato proprio dalla distanza che separa la vicenda narrata dall'oggi. Quando vediamo la rustica ragazzotta che pubblicizza la coca cola girando su un rudimentale camioncino per i piccoli paesi del Sud non possiamo non pensare per contrasto alle ben più gigantesche e martellanti campagne promozionali dei nostri giorni. E la radio rimanda perentoriamente alla televisione, assai più pericolosa per il suo potere ipnotico e subliminale, per le sue capacità di assuefazione e di obnubilamento delle coscienze. Insomma, non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: Altman parla proprio del nostro tempo, e lo fa per di più con un pessimismo agghiacciante e senza speranza. La situazione paleo-capitalistica degli anni della depressione americana è solo un pretesto, un modo come un altro per farci riflettere sul cammino a ritroso che l'umanità ha compiuto in questo ultimo mezzo secolo.
Per ottenere questo, Altman non usa simbolismi o metafore, piuttosto mette in atto un'operazione allegorica estremamente fedele alla "lettera", cioè ai dati visibili del film. Eludendo le aspettative di spettacolarità insite nel genere, il regista smorza l'azione (si ha a tratti l'impressione che nel film non succede nulla, dal momento che non vediamo mai in primo piano né rapine né poliziotti), rinuncia a uno stile appariscente (se si eccettua l'uso insistito dello zoom, vera e propria costante stilistica del film), mette in scena un ambiente e un décor anonimi (campagne fangose, strade connesse, squallidi motel, porte cadenti, frigoriferi arrugginiti, ecc.), utilizza una fotografia lividamente realistica che ricorda i colori delle vecchie foto d'epoca e disegna personaggi che non sono mai all'altezza del ruolo che si trovano a ricoprire (per immaturità, rozzezza o semplice distrazione). Altman è in sostanza l'opposto di un Peckinpah: dove questi enfatizza Altman sfuma, preferendo ricorrere alla forza metalinguistica di un sottotesto incredibilmente stimolante. In Altman, soprattutto, manca la tragedia. Il suo sguardo è troppo distaccato e indifferente alle passioni umane perché i suoi personaggi possano ispirarci una qualche pietà. Anche se la sparatoria finale (ironicamente anticipata dallo scoppio dei petardi del piccolo Alvin) è violentissima, interminabile e volutamente eccessiva, risulta molto più emblematica e aderente allo spirito del film la scena finale della folla che si allontana al rallentatore sulle scale della stazione: essa è l'immagine di una società incamminatasi passivamente e ottusamente verso l'alienante condizione dei nostri giorni. Senza apocalissi, certo, ma con un senso straziante (perché privo di ogni consolazione nostalgica) della profonda crisi morale dell'uomo moderno.

(*) L'iterazione è del resto una costante di Gang cui può essere attribuito un senso più lato, quale quello di caratterizzare psicologicamente un personaggio (si consideri ad esempio il vezzo di T-Dub di attribuirsi un numero di rapine che cresce esponenzialmente nel corso del film senza alcun rapporto con la realtà).

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Angel Heart  @  12/06/2016 00:08:31
   7½ / 10
Con "Gang" il regista focalizza l'attenzione sulla quotidianeita' dei protagonisti rapinatori tra ogni colpo anziché sulle rapine vere e proprie (lasciate alla radio cronaca); una scelta particolarmente indovinata che permette ad Altman di tratteggiare alla perfezione gli squarci lasciati su un paese sconsolato e disilluso mettendo completamente da parte qualsiasi cenno di velleità spettacolari (il che potrebbe far storcere il naso di quelli in cerca di movimento).
È un film lento e parlato, ma con un senso, specie considerandone gli attori (ottima come sempre Shelley Duvall... le basta uno sguardo riflesso sullo specchio per farti capire l'intero personaggio).

Merita.

DogDayAfternoon  @  21/08/2015 13:44:42
   7 / 10
Regia e attori sopperiscono alla generale piattezza e apatia della trama, che lascia da parte l'azione per concentrarsi maggiormente nel rapporto tra Keechie e Bowie, interpretati da Shelley Duvall e Keith Carradine i quali formano una coppia molto strana ma altrettanto affascinante (grazie anche alle ottime interpretazioni dei due).

La storia è la solita del rapinatore in fuga, non moto originale, ma ciò che è diverso dal solito è il modo in cui è raccontata, concentrandosi appunto più sulla vita e le emozioni/paure dei protagonisti piuttosto che sugli avvenimenti. Anche perché ogni volta che la situazione si fa un po' più movimentata (vedi il finale), sorgono alcune macchie e punti di domanda su ciò che accade


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Non un film imprescindibile per l'epoca d'oro del cinema, ma comunque un valido prodotto. Tra l'altro probabilmente finanziato dalla Coca Cola vista l'abnorme quantità di riferimenti alla celebre bevanda, tanto che in alcune parti sembra di assistere ad un lungo spot pubblicitario.

Filman  @  30/03/2015 16:44:37
   7½ / 10
Dramma di espressione umana, romantica e filo-democratica, THIEVES LIKE US racconta con amara simpatia lo sventurato destino di tre ergastolani rapinatori di banche attraverso lo sguardo imparziale e critico di Robert Altman, il quale si trova al centro di un personale periodo di continua e ininterrotta produzione filmica, che non risparmia tuttavia la qualità tecnica, a volte anche sperimentale e rinnovativa, e la serietà tematica imposte a questa pellicola, così come alle altre.
La cupa vicenda, raccontata con un'oggettività tale da avvolgere i protagonisti in un alone di fatalità, sembra essere, così come l'autore, cinematograficamente avanti nel tempo nel genere gangster, senza inoltre risparmiarsi nella sua personale critica sociale, quasi comprensiva nei riguardi di chi, per scelta o per mancanza di alternative, si ritrova a dover fronteggiare l'istituzione per sopravvivere.

2 risposte al commento
Ultima risposta 30/03/2015 19.09.22
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento pompiere  @  01/06/2013 13:50:04
   6 / 10
Scorcio tipicamente altmaniano, "Gang" racconta di tre evasi che rapinano banche durante il periodo della Grande Depressione americana. Caustico, monotono, a tratti inesorabile, soffre di un'esilità narrativa che va oltre i limiti dell'essenziale.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  24/04/2012 18:17:36
   7 / 10
Sull'orlo della grande depressione Americana vengono raccontate le vicissitudini di tre evasi tra rapine e omicidi...le vite dei tre protagonisti sono al centro della storia rispetto al loro "lavoro" che quasi mai viene visto dal pubblico.
Altman non cerca certo di rendere spettacolare la vicenda,tutto quello che dobbiamo sapere lo ascoltiamo dalla radio o lo si legge sui giornali mentre per strada impervia la pubblicita' della "coca cola"!
Un bel film introspettivo e malinconico sull'impossibilita' di avere una vita normale e ordinaria in anni difficili...

Beefheart  @  26/09/2011 12:18:04
   6 / 10
Certamente non uno dei migliori film di Altman ma nemmeno dei peggiori. L'impronta del regista c'è e si vede, anche se, senza dubbio, meno pesante e caratterizzante di altre più felici occasioni.
Anche se annacquata, la tipica alternanza tra ironia e dramma c'è anche qui. La texanità bifolca c'è anche qui. La brutalità e l'ignoranza non mancano.
Il cast non è male e, tutto sommato, se la cava anche egregiamente se non fosse che il maestro, nell'occasione, era forse un po stanco, vuoto di idee e meno incisivo del solito.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR foxycleo  @  23/01/2010 10:25:13
   7 / 10
Film del 1974 di Altman, tratto da un romanzo di Anderson, è ambientato in America durante la Grande Depressione. Il film narra la storia di tre evasi che per sopravvivere non conoscono altri metodi che le rapine e gli omicidi. Un gangster movie movimentato che riesce a ritrarre varie sfaccettature di un’epoca, in cui non manca nemmeno la storia d’amore.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  09/08/2009 22:21:17
   8 / 10
Questo è un film che trasmette un profondo senso di vuoto opprimente nella sua voluta antispettacolarità, dove i momenti di suspence vengono semplicemente tralasciati per concentrare l'attenzione sulla quotidianietà molto banale dei personaggi, accompagnati ossessivamente dalle parole della radio e da pubblicità invasive che lentamente fanno breccia sullo stile di vita di una società che non cerca miti o romanticismi, ma solo una rassicurante quotidianeità, Assolutamente da non vedere se si cerca spettacolo e azione, da vedere per conoscere o riscoprire un film di Altman un po' misconosciuto.

LoSpaccone  @  13/06/2009 14:21:05
   7½ / 10
Film distaccato e volutamente freddo che umanizza la figura del bandito rapinatore di banca, mitizzato invece in altri film usciti più o meno negli stessi anni (Dillinger, Gangster's story). I protagonisti sono brutti, poco sicuri di sè e senza grandi aspirazioni; l'ambiente è quello della provincia americana, misero, fatto di emarginazione. Insomma, film senza la minima tendenza alla romanticizzazione e alla nostalgia ma efficace come ritratto nudo e crudo. Non lo consiglio a chi da film come questi si aspetta solo ritmo, sparatorie e battute ad effetto.

2 risposte al commento
Ultima risposta 16/06/2009 20.43.44
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dgarofalo  @  01/04/2007 23:05:21
   8 / 10
un bel film diverso dagli altri pur essendo dello stesso genere
un mix di drammaticita e romanticita
un film da vedere

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  13/08/2006 15:38:25
   8 / 10
Meno romanticismo e piu' violenza rispetto a un modello dichiarato come "Gangster's story - bonny § clyde" di Penn, è un film eccellente che trasmette un senso di disagio e opprimenza, fino all'apoteosi finale.
Indimenticabile Keith Carradine: se avesse avuto maggior capacità di affrontare la sua carriera di attore, oggi sarebbe all'altezza del piu' celebrato fratello (David)

1 risposta al commento
Ultima risposta 14/08/2006 14.20.43
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Scarface92  @  25/06/2006 19:05:23
   9 / 10
Probabilmente il film meno conosciuto di Altman ma di sicuro non il peggiore.Da vedere a tutti i costi per gli amanti del cinema segreto.

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