hustle (2022)

Diventato un piccolo cult per gli amanti del basket (provate a chiedere a qualcuno di loro se sanno chi sia Bo Cruz e vi risponderà immediatamente in maniera affermativa) per via dell'argomento trattato e la partecipazione di alcuni giocatori professionisti, tra cui lo stesso Juancho Hernangomez protagonista, è in realtà la tipica commedia leggera alla Adam Sandler, dalla trama buonista e banalotta ma pur sempre divertente (a patto che non vi dia fastidio rivedere una storia già vista mille volte).

Anche se di basket ne capisco poco, il film coinvolge bene. Bravo Sandler.

Che belli i film sullo sport. Riesco a perdonargli tutto: secchiate di retorica, frasi a affetto, la redenzione a volte surreale dei sui protagonisti e tutti i cliché del caso che da sempre accompagnano queste opere. Poi una volta ogni tot anni esce un film come Hustle, che rispetta in pieno tutti questi 'difetti' ma te li vende bene, con uno script solido, un'ottima regia, un cast perfetto e tanta-tanta passione per lo sport. È Rocky ma raccontato dalla parte di Mickey. E poi c'è Adam Sandler, che ha dedicato un'intera carriera a girare porcate demenziali inenarrabili, ma quando recita fuori da certi schemi si trasforma in un attore eccezionale (Punch-drunk love, Reign over me, Uncut gems). Nella decade scorsa la mia ossessione sportiva è stata Moneyball; Hustle pur non raggiungendo certe vette si guadagna il posto sul sedile del passeggero.
Ovviamente chi ama o segue l'NBA riconoscerà una valanga di giocatori, ex giocatori e allenatori tra il cast. C'è dentro un trentennio di basket (sui titoli di coda l'elenco intero).

Un sogno di rivalsa dopo 30 anni di sacrifici fuoriesce dai connotati dei consigli di amministrazione, un sogno di rivalsa altrui che trasfigura il proprio, e lo piega ai meccanismi narrativi di identificazione. Adam Sandler sempre mostruoso in una caratterizzazione costruita per lui. L'ossessione batte il talento, sempre.

Se vi piace il basket lo apprezzerete di più sicuramente.

Il Rocky Balboa del basket...non a caso il film è ambientato a Philadelphia.
Storia per nulla originale, ma basata su fatti reali, capace però di risultare ben calibrata e discretamente coinvolgente dal punto di vista delle emozioni e dei messaggi che vuole trasmettere.
Adam Sandler, il cast di contorno che diventa protagonista nelle scene sul campo da basket, e la regia si danno da fare affinchè il risultato sia soddisfacente per tutti, non solo per sportivi e fans della NBA.

Chi non mastica abbastanza bene le dinamiche del basket Nba farà magari un pò fatica ad entrare nei meandri della draft combine e degli ingaggi alle giovani promesse cestistiche, anche se il film ha il pregio di non perdersi in tecnicismi troppo esasperati. La storia è quella classica di determinazione e riscatto personale, che riprende la lezione di un certo gioco sporco, soprattutto dietro le quinte, dell'"He got game" di Lee ma dal quale riesce a discostarsi puntando su un rapporto non più da recuperare ma da formare che è sempre quello padre - figlio, anche se sui generis. A parte qualche perdonabile colpo di retorica e all'inchino al politically correct ormai imperante dato dalla coppia di coniugi interraziale, la pellicola si muove bene nel costruire il legame tra i due protagonisti, mantenendosi in equilibrio tra il registro comedy e quello drammatico. In quest'ultimo Sandler ormai si è sdoganato e guida le operazioni col pilota automatico; la sorpresa è Juan Hernangómez, non un mostro di espressività ma anche lui ottimamente in parte come lo fu Ray Allen nel film di Lee. Solita parata di volti noti e meno noti del mondo Nba; la fattura realizzativa è eccellente a partire dalla regia ad alto tasso di spettacolarità di Jeremiah Zagar. Per gli amanti di questo sport è un piccolo gioiellino e le due ore di durata volano in un baleno.

Siamo all'ennesima dimostrazione che Adam Sandler non è un pessimo attore, ma, semmai, ha il complesso di Nic Cage nello scegliere i suoi film.
Quindi lui perfetto, mai quanto in Diamanti Grezzi ma siamo ancora su altissimi livelli.
Funziona benissimo il fatto di vedere il backstage del mondo NBA, quanto sia difficile farne parte e il processo di selezione al draft.
Chi segue il basket americano sa come spesso ci siano degli owner particolarmente soggetti a capricci di poco senso.
Così come spesso talenti generazionali si perdano dietro un passato difficile trascorso in strada o a nuovi ozi e vizi che non riescono a gestire.
Personalmente questa è la parte migliore e più realistica di tutta la pellicola.
Non ho apprezzato troppo la regia di Zagar nelle partite, esasperando alcune giocate come fosse lo Space Jam di turno. Nella prima partitella avevo anche accettato questo dualismo con Anthony Edwards (grande mimica facciale il ragazzo che pora è a Minnesota) ma poi si è un pò svaccato.
La scelta di Juancho Hernangomez come nuovo fenomeno ci sta per capacità attoriale, meno per fisico: nella NBA odierna è difficile che un lungo sia così impattante, anche se la cosa viene legittimata facendo dire a tutti il fatto che sia un unicorno, ovvero un giocatore fuori dagli schemi usuali e molto atipico per skills. Forse il fatto di sapere che ad oggi Juancho non sia granché mi ha un pò appannato la vista.
Comunque un prodotto imperfetto, che vuole raccontare tantissime cose e lo fa anche discretamente.

Più che far vedere il palcoscenico della Nba, Hustle è un viaggio dietro le quinte di quel mondo. Non per niente la presenza di tantissimi cameo in questo film lo prova. Essere un talento cristallino è una dote donata da madre natura, l'altra è emergere in un mondo estremamente competitivo che non ammette debolezze perchè i talenti cristallini non mancano. Ne è perfettamente consapevole il suo protagonista, un talent scout che oltre a lavorare sul fisico dell'atleta deve essere maturo con la mente perchè solo il talento non basta. Sandler dimostra che quando vuole riesce a tirar fuori buoni personaggi anche aldifuori delle commedie pure. Il film non presenta novità particolari ed a livello narrativo non si può dire che sia originale, però è un film dalla struttura solida e dai personaggi ben caratterizzati, specialmente il suo coprotagonista, anche lui prestato dalla Nba al cinema, ma integrato bene al tessuto del racconto e funzionale nella sua interpretazione. Un buon film.

Assolutamente nella media. Si puo' vedere senza pretese. Meno emozionante di altri dello stesso tema.

Bel film sulla storia di un talent scout NBA.
Adam Sandler apprezzato anche in un ruolo non totalmente comico (come già fatto in diamanti grezzi).

Roberto.

Film pieno di retorica, con storie di redenzione al limite del credibile. Però è davvero ben fatto. Ottimo cast, buon ritmo e una sceneggiatura solida.
Anche per chi non è appassionato di questo sport resta una valida visione.
Adam Sandler in versione non demenziale è garanzia di qualità.

Racconti di riscatto sportivo: quanti figli cinematografici ha partorito "Rocky"? Una "covata malefica": non solo "Creed" ma or'anche nelle MMA ("Embattled", "Bruised", "Born a Champion") e nell'NBA. Per gl'inguaribili amanti della stessa vecchia storia.

Ben interpretato, la coppia protagonista funziona e mantiene viva l'attenzione del pubblico.

Non funziona la linea banale data alla trama. Forse non essendo esperti o appassionati semplici di questo sport si perdono riferimenti.
Anche con Rocky non si era esperti di boxe e per questo le parti del film più accattivanti sono fuori dal ring. Il riferimento a rocky si capirà vedendo il film.

Anche questo film porta le questioni fuori dal campo gioco. Ci sono rivalsa, allenamento (non poi molto), problemi familiari, ma non riesce ad emozionare perché resta sul filo della commedia non spingendosi realmente in una lettura più drammatica.