la vendetta dei 47 ronin regia di Kenji Mizoguchi Giappone 1941
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la vendetta dei 47 ronin (1941)

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locandina del film LA VENDETTA DEI 47 RONIN

Titolo Originale: GENROKU CHUSHINGURA

RegiaKenji Mizoguchi

InterpretiYoshizaburo Arashi, Utaemon Ichikawa

Durata: h 4.01
NazionalitàGiappone 1941
Generedrammatico
Al cinema nel Luglio 1941

•  Altri film di Kenji Mizoguchi

Trama del film La vendetta dei 47 ronin

Lord Asary resiste ad un attentato da parte di un membro della corte degli Shogun. La sua onestà comunque non può niente contro la corruzione dell'amministrazione…

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Voto Visitatori:   8,93 / 10 (7 voti)8,93Grafico
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Voti e commenti su La vendetta dei 47 ronin, 7 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  12/11/2019 12:25:29
   7½ / 10
Un piccolo diverbio all'interno di un tempio è la scintilla che dara' vita a uno degli episodi piu' conosciuti del Giappone antico, la vicenda dei 47 ronin.
Un film sicuramente difficile da digerire per via della sua durata e dell'assenza di azione. Il regista evita ogni sorta di spettacolarizzazione mettendo fuori scena i fatti piu' importanti della vicenda. Cosa che posso capire ma che non comprendo appieno.
Del resto solo chi conosce la cultura del samurai potra' vivere al meglio la visione.
Malgrado queste difficolta' concettuali il film è pregevole tecnicamente, infiniti piani sequenza, immagini geometriche che sfruttano la povera scenografia.
Sicuramente non lo rivedro' una seconda volta ma il "viaggio" nelle tradizioni Nipponiche ha accontentato la mia curiosita'.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  15/12/2014 19:07:06
   8 / 10
Film giapponese puro, di difficilissima fruizione.
A dispetto della trama, del titolo e delle aspettative (non solo nostre adesso, ma anche dei produttori dell'epoca che avrebbero voluto molta più epicità e azione), "I 47 ronin" è reso invece da Mizoguchi (uno dei luminari del cinema orientale) privo di spettacolarità, lento e pieno di dialoghi. Si parla di tematiche prettamente nipponiche, per questo oggi la visione del film, per quanto affascinante, è incommentabile dalla maggioranza di noi occidentali privi di conoscenze sulla storia giapponese, sull'onore e il bushido.
I movimenti di macchina sono geometrie meditate ed eleganti, la durata, sarà strano, ma non si avverte con così tanta pesantezza nonostante le premesse.
Da vedere solo se si è ben preparati in tutti i sensi.
Non lo ritengo un capolavoro, è troppo distante. Lo era anche all'epoca in un Giappone che stava cambiando (in meglio o in peggio, non saprei).

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  09/12/2014 17:50:23
   8½ / 10
Occorre in qualche maniera arrivare "preparati" prima della visione di questo film. Prima di tutto bisogna avere una certa conoscenza della storia e della cultura giapponese, soprattutto quella che è l'etica samurai espressa nel bushido.
Inoltre c'è da tenere presente che questo film è nato nell'atmosfera esaltata del Giappone all'inizio della Seconda Guerra Mondiale.
Ci sono quindi tutti gli ingredienti per confezionare un film epico, di esaltazione della dedizione completa a ideali e a doveri, sopra qualunque altra considerazione umana o individuale.
Ciò che lo fa "orientale" e così poco "americano" è il fatto che si cerca il più possibile di evitare di rendere la visione spettacolare, per concentrarsi quasi totalmente sui comportamenti e sulle ragioni dei personaggi. Di episodi cruenti ce ne sarebbero in abbondanza (la storia è fatta di vendette e di suicidi imposti), eppure le scene in cui si vede il sangue brillano per assenza. I fatti vengono raccontati più che rappresentati.
La solennità è data soprattutto dal ritmo molto lento e dalle inquadrature per lo più in campo medio o lungo (non ci sono primi piani). Viene adottata un'impostazione molto teatrale, con scene che si svolgono per lo più in situazioni statiche. Per vivacizzare e dare movimento Mizoguchi utilizza abbondantemente il piano sequenza. Insieme a Orson Welles, Mizoguchi è il regista che ha sfruttato al meglio questa tecnica di ripresa, ricercando più che altro la fluidità e l'estensione dello sguardo a partire da punti fermi (a differenza di Welles che cercava la drammaticità e il movimento).
La parte tecnica e formale è senz'altro la parte più bella e suggestiva del film (splendidi i costumi e le ambientazioni).
Per quanto riguarda il contenuto, come detto, risente molto delle pressioni governative nipponiche degli anni '40, volte a esaltare la dedizione cieca all'onore, al dovere e all'ubbidienza. Al sacrificio di se stessi ci si va con allegria e gioia, morire per un'idea, per un codice valoriale collettivo è la meta massima e più alta di una vita umana. Meglio se oltre all'ardore e alla foga si utilizza l'astuzia e il freddo calcolo. La freddezza, la determinazione, la calma, la pianificazione razionale sono le doti di Oishi, il protagonista del film. Le sue intenzioni rimangono nascoste pure allo spettatore, il quale le deve evincere dai suoi comportamenti e dalle sue scelte. E' un approccio distaccato e riflessivo, che mira a farci apprezzare il personaggio con il ragionamento, più che con l'immedesimazione emotiva.
"I 47 ronin" ha il sapore dei grandi film epici e celebrativi. Come detto, lo si apprezza soprattutto per la tecnica e la forma. Infatti non annoia e lo si guarda volentieri nonostante la lunghezza. Il messaggio invece appare fin troppo perfetto per sentirlo genuino. Traspare fin troppo lo scopo "propagandistico", troppo felici e troppo determinati sono i 47 ronin. Certo c'è l'episodio della donna travestita da uomo e del ronin che ne era l'innamorato, ma troppo poco e poco sentito.
Molto bello, ma secondo me non è un "capolavoro".

Gruppo COLLABORATORI bungle77  @  30/03/2014 22:51:09
   9½ / 10
Un film paradossale, un film d'azione senza azione. In cui il climax del film viene narrato in ellisse. Cerebrale, ieratico, solenne, filosofico, un film di una purezza sconvolgente. Mizoguchi ci racconta il bushido (il codice d'onore dei samurai) senza scendere a compromessi! Attraverso una serie di dialoghi e piani sequenza di una belleza sconvolgente.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  15/07/2012 14:05:51
   10 / 10
La vendetta dei 47 ronin è uno degli episodi più famosi della storia giapponese che ha avuto molte trasposizioni sia in campo teatrale che letterario. Contrariamente alle aspettative dello spettatore Mizoguchi opera secondo me una scelta molto coraggiosa asciugando il film da ogni elemento epico, negando lo scontro fisico ad eccezione della sequenza iniziale, fondamentale per capire le motivazioni che stanno alla base di questa storia. I 47 ronin in fondo è il racconto e l'esposizione di una filosofia, la fedeltà assoluta per un codice, portata avanti fino all'annullamento sociale. Ciò che colpisce maggiormente è l'estrema dignità dei personaggi che si miscella perfettamente allo stile scarno, ma allo stesso tempo solenne di Mizoguchi nel sottolineare un'etica votata la sacrificio assoluto in nome di un ideale. Da non sottovalutare come in ogni film del regista le figure femminili, apparentemente in disparte in una pellicola di questo genere molto votata al maschile, ma la vedova Asano, la moglie di Oishi e la fidanzata di Isogai in maniera particolare regalano momenti di estrema intensità emotiva. Personalmente lo ritengo il capolavoro assoluto del regista giapponese.

Schizoid Man  @  10/06/2011 15:04:37
   10 / 10
Ci sono film che da soli riescono ad illuminare l'intera carriera di chi li ha realizzati. E' il caso de "La vendetta dei 47 ronin", diretto da Kenji Mizoguchi nell'anno di grazia 1941. A dire la verità di capolavori il regista giapponese nel corso della sua carriera ne ha fatti tanti: "I racconti della luna pallida d'agosto", "Gli amanti crocifissi", "L'intendente Sansho", giusto per citare i più famosi. Questo film, però, è talmente bello che se anche Mizoguchi non ne avesse realizzato nessun altro meriterebbe comunque un posto d'onore nella storia del cinema.
Siccome è un'opera immensa, "La vendetta dei 47 ronin", ovviamente, comincia subito alla grande: mentre la cinepresa si muove sinuosa nel cortile di un castello, notiamo due samurai che, passeggiando, chiacchierano piuttosto animatamente. Nel momento in cui i due sono impegnati a discorrere, all'improvviso alle loro spalle arriva di corsa un altro samurai il quale, una volta raggiunto chi lo precede, senza esitare un solo istante estrae la sua katana per colpire con tutta la forza che possiede il samurai che un attimo prima abbiamo visto parlare con un suo amico. Una curiosità: questa scena, in quasi quattro ore (tanto dura il film) rimarrà l'unica sequenza d'azione di tutta la pellicola.
Il samurai che è stato aggredito si chiama Kira; quello che l'ha colpito, invece, risponde al nome di Asano; infine, il cortile dove si è verificato lo scontro è quello del castello in cui ha la sede lo shogunato dei Tokugawa. Siamo nel marzo del 1701, in piena era Genroku. Il comando è nelle mani di Tsunayoshi Tokugawa, quinto discendente di una potente famiglia che ha stabilito la sede del proprio comando a Edo ottanta anni prima.
Asano, padrone del castello di Ako, sostiene di aver aggredito Kira perché questi lo ha insultato. L'episodio, naturalmente, ha suscitato grande scandalo nell'ambiente dei samurai. A causa del suo gesto inconsulto, Asano viene condannato a morte; Kira, invece, non avendo reagito all'aggressione, viene ritenuto completamente innocente e non riceve alcuna punizione. Anzi, di quest'ultimo viene elogiato il comportamento esemplare che ha saputo tenere in una situazione tanto delicata quanto quella dello scontro cercato da Asano. Lodi sperticate al suo sangue freddo, quindi: quanti, si chiedono alcuni, al suo posto sarebbero stati in grado di non reagire ad una simile provocazione? Ad Asano, invece, oltre alla condanna a morte che gli è stata comminata, viene confiscato il feudo di cui è proprietario. I suoi samurai, sconvolti e sconcertati a un tempo da quanto accaduto, ritengono eccessiva, oltre che ingiusta, la pena inflitta al loro padrone, e perciò meditano vendetta.
Il luogotenente di Asano, Oishi Kuranosuke, riesce, seppur a fatica, a convincerli alla resa. In realtà, mentre predica la calma fra i suoi uomini, egli desidera vendicarsi tanto quanto loro, se non di più. Per farlo ha però in mente un piano segreto: per prima cosa intende consegnare il castello di Asano allo shogunato senza opporre la benché minima resistenza; dopo di che la mossa successiva prevede che egli chieda il ripristino del casato Asano. Ciò però potrebbe essere molto rischioso: se il casato venisse ripristinato, infatti, la vendetta non sarebbe più giustificabile.
Quello di Oishi, quindi, è senza dubbio un piano pericoloso, al punto che gli si potrebbe ritorcere contro: poiché la vendetta richiede soprattutto coraggio, pazienza e sangue freddo, egli è disposto a correre qualsiasi tipo di rischio pur di riuscire a portare a termine il proprio scopo.
Difficile trovare le parole adatte per descrivere la grandezza di questo film. "La vendetta dei 47 ronin", infatti, è un poema talmente epico, smisurato e appassionato che risulta davvero arduo riuscire a rendere con le sole parole la bellezza che questa opera solenne trasuda da ogni singola scena. Mizoguchi, qui al massimo del proprio genio, tesse un elogio immenso all'onore, alla fedeltà e al coraggio dei samurai, il cui mondo viene descritto quando ormai sta volgendo al crepuscolo; ma prima che tutto sparisca, c'è ancora tempo - sembra dirci il regista - per un'ultima, disperata e folle azione, destinata - proprio per la sua follia - ad essere tramandata nei secoli a venire e rimanere quindi per sempre nella storia del Giappone.
Un'azione che per i protagonisti della stessa rischia di essere un canto del cigno, la cui finalità è quella di dare un senso all'esistenza che i samurai hanno condotto fino a quel momento. Servi fedeli del proprio padrone, i 47 ronin di questa epocale opera sono pronti a vendicarsi con ogni mezzo possibile di chi ne ha causato la morte; se necessario, sono disposti perfino a mettere in gioco la loro stessa vita. Essi sono quindi consapevoli delle proprie azioni, e pertanto il loro gesto è destinato ad assumere una valenza ancora più grande di quella che dovrebbe avere realmente.
Con un'eleganza suprema (stupefacente, come al solito, la mobilità della macchina da presa), nonché con un uso dell'ellissi narrativa semplicemente magistrale - tutti gli eventi più importanti rimangono fuori campo, compreso quello della vendetta, che avrebbe dovuto essere il momento clou della storia - il maestro giapponese ci regala quasi quattro ore di grande cinema: la pellicola dura 223 minuti, ma mai come in questo caso si può dire con assoluta certezza che qui non ci sia un solo minuto che risulti pleonastico. Insomma, uno dei film più belli di Mizoguchi: quindi, "La vendetta dei 47 ronin" è anche uno dei film più belli dell'intera storia del cinema.

Invia una mail all'autore del commento wega  @  20/06/2009 21:10:16
   9 / 10
Ho un certo timore nel commentare "Genroku Chunshingura" del Maestro Mizoguchi, vuoi per la portata in quanto film di costume di un fatto successo veramente (e ripreso svariate volte in altri film e rappresentazioni No e Kabuki), o per l' immensa portata di un linguaggio che non concede nulla alla spettacolarizzazione a cui siamo abituati noi occidentali, un film già di per sè difficile da metabolizzare solo per il fatto che si tratta di tutt' altra cultura, incomprensibile per una persona italiana come me. E mettiamoci pure le quasi 4 ore di durata. "I 47 Ronin" inizia con un ricevimento presso lo Shogun durante il quale il cerimoniere viene minacciato e leso con la spada all' interno del palazzo. L' autore, Kira (me pare), verrà costretto a fare harakiri. I 47 samurai al suo servizio diventeranno Ronin (i samurai senza padrone. Assaperlo), giurandone vendetta. Vendetta che avrò "luogo", nel pieno delle circostanze della lealtà, di una tradizione, di una ideologia, di una filosofia, condannati infine a morte dallo stesso Shogun. E' questo il film, parla di una scelta morale/filosofica tra scelte che hanno a che fare con una tradizione o la legge dell' onore. Ciò che colpisce di più (e che mette a dura prova l' attenzione dello spettatore), non è un modo di fare Cinema come quello di Kurosawa (la vendetta tanto attesa non si vedrà nemmeno e ne verrà letto soltanto un resoconto finale), quello di Mizoguchi è un Cinema di piani-sequenza, spesso trasversali a spezzare come una bisettrice lo schermo, spesso con leggerissime correzioni di inquadratura che è solito vedersi solo nei piani fissi, un modo di fare Cinema distante dai suoi personaggi (mai un primo piano) perché quel che conta è il "luogo", lo spazio, quel che Paulo Rocha definisce "il luogo del piano sequenza" dove tutto è curato nei minimi particolari per essere captato e decifrato, il luogo delle emozioni, delle sensazioni, delle persone/personaggi che ne interpretano altri, insomma il "luogo" del Cinema. Questo mi è parso Kenji Mizoguchi.

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