lo zio boonmee che si ricorda le vite precedenti regia di Apichatpong Weerasethakul Thailandia 2010
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lo zio boonmee che si ricorda le vite precedenti (2010)

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locandina del film LO ZIO BOONMEE CHE SI RICORDA LE VITE PRECEDENTI

Titolo Originale: LOONG BOONMEE RALEUK CHAT

RegiaApichatpong Weerasethakul

InterpretiThanapat Saisaymar, Jenjira Pongpas, Sakda Kaewbuadee, Natthakarn Aphaiwonk, Geerasak Kulhong, Kanokporn Thongaram

Durata: h 1.54
NazionalitàThailandia 2010
Generedrammatico
Al cinema nell'Ottobre 2010

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Trama del film Lo zio boonmee che si ricorda le vite precedenti

Affetto da una grave disfunzione renale, zio Boonmee ha scelto di passare i suoi ultimi giorni in una casa di campagna, circondato dalle persone che ama. Lì, gli appare il fantasma della moglie morta anni prima, che inizia a prendersi cura di lui. E il figlio da tempo perduto fa il suo ritorno a casa in una forma non umana. Riflettendo sulle ragioni della sua malattia, Boonmee attraversa la giungla con tutta la famiglia, diretto verso una misteriosa grotta in cima a una collina: il luogo dove è nato per la prima volta...

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Voto Visitatori:   6,06 / 10 (16 voti)6,06Grafico
Voto Recensore:   8,00 / 10  8,00
Palma d'oro
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Palma d'oro
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Voti e commenti su Lo zio boonmee che si ricorda le vite precedenti, 16 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  22/10/2010 19:03:56
   7½ / 10
Ho trovato il film splendido, probabilmente il mio voto sarebbe più alto se pensassi che la sua linea teorica sia felicemente compiuta. Non del tutto, secondo me. Conosco marginalmente quest'autore dal nome impossibile, e mi limito a ricordare l'esperienza (assai più impegnativa) del precedente "Syndrome and a century", che raccontava di una clinica. Opera sperimentale a tutti gli effetti, giocato su un'avanguardia metafisica e metaforica spiazzante, pochi dialoghi e immagini nitide, statiche.
Lo accantonai come il "solito" orientale innamorato di Antonioni (non è vero) però qualcosa mi era rimasto.
Ora "Lo zio Boonmee" non vince il festival di Cannes per puro caso. E' un film dal codice linguistico ostico, ma io non l'ho trovato affatto noioso, anzi i 114 minuti sono trascorsi molto velocemente.
Credo si debba riconoscere che se A. è ritenuto universalmente uno degli autori più innovativi, è proprio per la sua capacità di essere complesso e al tempo stesso molto semplice nella sua ricerca.
Non è necessario che lo spettatore occidentale conosca i monaci Zen o la loro filosofia, credo sia sufficiente addentrarsi nell'enigma della vita e della morte per sentirsi affettuosamente plasmare dal suo "sortilegio". E il film, soprattutto nella prima parte, penetra nella nostra psiche fagocitando tutti quegli strumenti amorevoli della vita eterna (riferimento al concetto di morte come vita, in quanto sopravvive nel ricordo delle persone).
Lo zenith massimo si raggiunge davanti all'incantevole sequenza della principessa che ritrova il fedele e amato servitore, davanti all'acqua rigogliosa che è simbolo di vita, e di abluzione temporale.
Credo sia giusto parlare di cinema "primitivo" per questo film di immagini nitide e allucinate, dove i fantasmi e gli elementi terreni si fondono in un equilibrio di magico fascino.
La metafora ricorda sicuramente più il grande giapponese Shohei Imamura che la metaforica visione di Tsai-Ming Liang.
Si veda il personaggio del figlio defunto di D., diventato uomo-lupo dopo la permanenza nella foresta.
Questo contesto riguarda la feroce repressione operata dai contadini contro il governo cinquant'anni fa, una pagina amara della storia della Thailandia, e la fuga dei sopravvissuti nei boschi.
E' necessario conoscere almeno questi eventi raccontati dal regista per apprezzare a fondo questo film.
L'immaginario di A. costruisce a modo suo la realtà.
Arrivando anche a esperienze (indirette) di Obaa (quando il corpo esce dalla sua dimensione fisica e mentale), come l'esistenza del villaggio, dominato da una fugace (occasionale) ironia e un grande senso di pudore mentale

2 risposte al commento
Ultima risposta 04/11/2010 19.22.57
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arturo  @  17/10/2010 12:34:12
   2 / 10
Incomprensibile, e comunque noiosissimo. E per di più snob e supponente. Erano una trentina d'anni che non mi annoiavo così al cinema, dai tempi dei cineforum universitari dove ci massacravamo voluttuosamente gli zebedei con pellicole ostiche. Ma erano altri anni, era un altro cinema, e soprattutto eravamo giovani, con fegati ben funzionanti. Ieri sera ho rischiato il coma. Tim Burton andrebbe interdetto dalle giurie di festival per tutta la vita, accidenti a lui! Ma se gli piace tanto 'sto cinema, perché poi fa film completamente diversi? cazzotto ipocrita

14 risposte al commento
Ultima risposta 09/01/2012 11.56.40
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Crimson  @  21/06/2010 23:26:59
   4 / 10
Premetto che è stato difficile guardare il film, figuriamoci scriverne a riguardo.

Credo che a Cannes non accadesse dai tempi del contestatissimo 'Sotto il sole di Satana' (1987) che la Palma d'Oro venisse assegnata ad un'opera così indecifrabile. Ma a differenza del film di Pialat, che qualcosa di valido aveva da comunicare, in questa pellicola tailandese regna sovrana la pochezza dei contenuti.

Il problema non è la mancanza pressochè totale di una sceneggiatura; ci sono molti film in grado di comunicare un messaggio, di suscitare una riflessione, anche quasi esclusivamente attraverso l'aspetto visivo. Non è il caso di questa pellicola impronunciabile, che fatta eccezione di un paio di sequenze particolarmente suggestive (nella grotta) si disperde continuamente, disorienta lo spettatore con passaggi criptici e soprattutto alterazioni spazio-temporali. E' un film di una cultura totalmente differente da quella occidentale, ma non ho più voglia di sentirmi suggerire ciò come alibi: il film è orrendo, a mio avviso, punto e basta.

Sappiamo solo che quest'apicoltore ha sensi di colpa per azioni commesse nell'esercito nel passato della sua vita attuale; ma giusto perchè ce lo dice lui in una scena del film.
Successivamente ci vengono mostrate foto che lo ritraggono da giovane con la divisa dell'esercito assieme ad altri militari e a uomini-scimmia in posa.
Perchè, e questo è l'aspetto più singolare, il figlio del protagonista alcuni anni prima si è suicidato (?) nella foresta, decidendo di accoppiarsi con un uomo-scimmia, ed è divenuto anch'esso un uomo-scimmia.

Come se non bastasse, questo quadro astruso viene arricchito dalla tematica zoofila anche in una scena di apparente regressione ad una vita precedente, non si capisce di chi, probabilmente del protagonista (il titolo a tal proposito ci viene in soccorso): una principessa si specchia in un laghetto ai piedi di una cascata, conversa con un pesce palla e ci si accoppia (?!). Sì sì è andata esattamente così.

Ho avuto il piacere di assistere alla proiezione con un'amica appassionata di filosofia orientale, che è rimasta esterrefatta quanto me (e al pari del 95% del pubblico in sala, credo). Al termine ha provato a illustrarmi più nel dettaglio le teorie sulla reincarnazione, ma ci stiamo ancora chiedendo chi fosse il pesce palla, e una volta stabilita l'identità nella vita successiva, cosa ciò potesse significare alla luce di ciò che teoricamente accade.

Il finale, col doppio personaggio di non si sa chi, che esce e va in un locale e resta a guardare la tv allo stesso tempo (dopo essere stato ripreso per circa due minuti mentre fa una banalissima doccia), non ha alcun nesso (logico, temporale, spaziale, causale) con tutto il resto. O forse c'è, ma vi assicuro, non è comprensibile secondo codici cinematografici dei comuni mortali. Forse la comprensione di quel nesso pertiene solo a Tim Burton, che a quanto pare ha capito il film.

6 risposte al commento
Ultima risposta 22/10/2010 19.22.06
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