tremila anni di attesa (2022)

Miller firma una bizzarra rivisitazione del mito del genio della lampada,una pellicola che si colloca a metà strada tra il fantasy e il romantico, praticamente impeccabile dal punto di vista visivo meno convincente per quanto riguarda la narrazione un po' troppo frammentaria ,penalizzata anche da un ritmo piuttosto sonnolento.
Bravo sia Elba che la Swinton,una pellicola certamente imperfetta e non del tutto riuscita ma che certamente è una riprova del talento tecnico e visivo di questo autore,se vi capita a tiro concedetegli una possibilità.

Una lunga favoletta da seguire.
Passatempo.

Anche se può sembrare un film di transizione nella carriera del regista Miller, nonostante introduca scelte narrative/attori che vedremo anche nel recente "Furiosa", il film è un'ennesima dimostrazione dell'abilità e conoscenza nel saper adattarsi a tempi cinematografici diversi con lo stesso talento di sempre. Questa volta tocca al fantasy di matrice sentimentale, tutto elaborato attraverso l'estetica della magia orientale ambientato tra viaggi nel tempo narrativo nella vecchia Costantinopoli fino ad arrivare alla moderna Londra. Perfetta Tilda nel ruolo dell'emarginata spostata-geniale-di talento-solitaria e di conseguenza spicca come controparte Idris Elba che fa il belloccio-misterio-magico-divino. Viene messe alla prova la capacità dello spettatore di saper sognare o di comprendere il valore che vi è dietro alla fantasia, come un vecchio racconto da "Mille e una notte" la variabile dell'amore fa sempre capolino immancabilmente, un cinema vecchio stampo ma anche dannatamente moderno nel linguaggio e nell'uso delle tecniche cinematografiche di ripresa come negli effetti speciali.

Curioso fantasy che merita una visione per la suggestivi atmosfere delle storie da "mille e una notte" raccontate dal genio.

Come in "Wishmaster" il genio racconta di desideri finiti molto male, ma qui ovviamente non siamo di fronte ad uno stupido horror ma ad un fantasy di qualita' che mostra un buon ritorno di Miller al cinema dopo il remake di "Interceptor".

Poi possiamo anche credere che una persona non abbia desideri? non ne sono sicuro...

George Miller dopo l'epico reboot di "Mad Max" e sette anni di attesa cambia sostanzialmente genere con un fantasy dai risvolti romantici che rivisita la favola del genio della lampada. Tilda Swinton ed Idris Elba sono bravi nell'interpretare la studiosa di letteratura "Alithea Binnie" che entra fortuitamente in possesso dell'antica boccetta ed il "Djinn" in cui vi è intrappolato che dovrà convincerla ad esaudire i tre desideri per poter essere finalmente liberato. Messa in scena molto sfarzosa dove la prima parte è incentrata sui racconti del genio ed il suo passato nel corso dei millenni e la seconda in cui la vicenda prende una piega molto più malinconica approfondendo il rapporto tra i due personaggi. Il ritmo abbastanza lento non sarà gradito a molti ed il flop al botteghino è fuorviante, a me non è dispiaciuto.

Nonostante fosse un fantasy/surreale, ed in effetti un buon 70% del film son storie fantastiche, in una sorta di mille e una notte contemporaneo, è molto introspettivo e centrato sui dialoghi tra i protagonisti. Insolito e particolare, si segue con piacere fino alla fine.

Affascinante fiaba, ben diretta da Miller e ben interpretata da Tilda Swinton e Idris Elba.

"Il difetto di questo film è che non ha alcun desiderio da esprimere per soddisfare il pubblico". Lungometraggio festivaliero (6 minuti d'applausi a Cannes) giustamente snobbato dagli spettatori fin dall'anteprime. Nel "mythos-logos debate" Miller sa già da che parte stare, reinventatosi creatore/narratore di mondi fantastici. Eppure, anche se ispirato a "Le mille e una notte", le singole storie sul passato del Genio/Djinn non sono emozionanti, entusiasmanti, interessanti, coinvolgenti, l'elogio dell'affabulazione narratologica non diventa visionarietà e i racconti sembrano essere più letti che raffigurati fra i due protagonisti in accappatoio seduti in una stanza d'albergo. Il film stesso sembra affrettato e un po' sconnesso, e i concetti filosofici e psicologici sulla solitudine, il desiderio e ciò che vorremmo sono rilevanti ma esplorati con superficialità.

Interessante questo film di Miller che miscela la visionarietà del cinema attraverso il potere affabulatorio della parola, perchè sono i racconti del genio, del suo peregrinare millenario ad affascinare l'accademica che si trova di fronte ai famosi tre desideri da esprimere. Due solitudini a confronto tra la difficoltà di scandagliare se stessa nel proprio profondo per esprimere ciò che si vuole veramente e la malinconia di un genio affascinato e allo stesso tempo timoroso delle sfaccettature dell'umanità. Un Miller decisamente più riflessivo, ma non banale.