Capita, in un paese come il nostro, che gli attacchi alla cultura vengano perpetrati sempre più spesso dietro una risata, che può essere quella del capo del governo o dell'uomo da bar (in almeno un caso la figura è coincisa) e che nasconde quel subdolo pregiudizio secondo il quale il mestiere artistico non produce nulla e ruba nelle tasche della gente che lavora.
"
Con la cultura non si mangia" è uno dei motti del populismo che dilaga a ondate più o meno decennali in Italia, un populismo pericoloso che sta prendendo piede anche in quel settore che proprio con l'ingegno artistico e creativo dovrebbe arricchirsi di più, la televisione. Succede allora che Sky (non era la televisione dalle belle pubblicità? E cosa sono queste se non frutto dell'ingegno creativo?) mandi in onda uno spot ricamato su alcuni stanchi cliché che negli ultimi anni però hanno colpito a morte la nostra cultura.
I protagonisti di questo spot si calano nelle vesti degli intellettuali da macchietta mentre un loro amico amante dei cinepanettoni sembra essere quello più normale, l'unico di cui fidarsi. Ne ridono, e tutto finisce a tarallucci e vino. Segue poi una serie delle migliori immagini prese dai nostri amati film di Natale che fanno gelare il sangue, e scopriamo così che se infilzi un tacchino con una forchetta può essere che dal culo della povera bestia cucinata esca uno dei due "
Fichi d'India" (il più brutto dei due,
of course). Così con alcune battute di malcelato disprezzo
Kiarostami, Stockhausen e Beckett finiscono per diventare barbosissimi e sorpassati autori appartenenti a un vecchio passato polveroso fatto di barbe e maglioni a collo alto.
Lo spot è agghiacciante sotto certi aspetti, e propaga un'ignoranza che sinceramente ha rotto i coglioni.
La verità è che è stato proprio il "ridici su" a portarci verso il baratro, allo sdoganamento dell'ignoranza come carattere identitario del paese, per questo si dice "si ce lo meritiamo", ma non ci meritiamo un c***o, perché è una punizione che non cura i colpevoli e abbatte i meritevoli. Ci ritroviamo allora a dover commentare l'ennesimo Giovanni Veronesi senza pudore, proprio lui, la firma dei peggiori film italiani di questi ultimi vent'anni, che spara a zero, da povero provinciale qual è, su
Kim Ki-duk senza averne neppure mai visto i film, o a sentire da qualsiasi bocca la battuta decontestualizzata di Fantozzi su "
La corazzata Potëmkin", usata come scusa per la propria pigrizia mentale. Ma è una scusa, solo questo. Perché se mai queste persone provassero a leggerlo Beckett, forse scoprirebbero quante cose ha da dire sulla vita, e certo non esplode il culo ad aprire un libro, e potrebbero anche provare a vederlo il film di Ėjzenštejn, dura anche poco, potrebbe addirittura arrivargli la bellezza di quella storia possente e di quelle immagini che anticipavano, per struttura narrativa e stilistica, il cinema del futuro. Dai, che per i rutti e le scoregge c'è sempre tempo. Non hanno già abbastanza spazio questi prodotti? C'è veramente bisogno di sdoganarli? No, non c'è, perché già dominano il mercato nascondendosi dietro l'alibi dell'incomprensione da parte della critica e della cultura cosiddetta "alta". Un trucco, certamente, una regione in cui conviene stare per avvalersi dell'etichetta "di e per il popolo". Mi dispiace, cari Veronesi, Brizzi, De Sica, ma non siete di nicchia. Voi siete il potere. E il potere non fa mai ridere.
L'arte può essere fastidiosa per il potere, lo sappiamo bene, pensiamo ai casi recenti delle "
Pussy Riot" in Russia che pur senza fare della vera arte sono state umiliate e imprigionate come i peggiori criminali per un canzoncina anti-Putin (sarà che lui stesso è uno dei peggiori criminali del mondo?), o ancora in Bielorussia dove il gruppo teatrale "
Belarus Free Theatre" ha subìto le peggiori angherie per i loro innovativi spettacoli teatrali in favore del libero pensiero. Guarda caso, Berlusconi, Putin e Lukashenko si stimano molto.
Ma quando lo stesso morbo infetta anche le abitudini di uno dei popoli che con l'arte ci ha fatto la propria fortuna, non viene da chiedersi seriamente cosa sia successo?
Siccome si parla sempre di soldi, dal momento che sull'oggettività del bello nell'arte contemporanea ancora si discute e che l'utilità della stessa non è sempre istantanea, proviamo a metterla sul piano economico allora. Pensiamo, dunque, come il settore dello spettacolo e tutto quello che vi è collegato in Italia fornisce lavoro a 250mila persone, pensiamo come una recente mostra romana su Caravaggio abbia fatto guadagnare al Comune della capitale circa 35 milioni di euro o come l'Auditorium "
Parco della Musica" sempre nella stessa città, con la sua sempre crescente offerta artistica, sia una delle pochissime istituzioni pubbliche in attivo.
Ehi! Cosa è successo? Vuoi vedere che questi artisti brutti e puzzoni fanno riempire le tasche dell'unica cosa che sembra interessare veramente, i soldi? E vuoi vedere che investire sulla cultura rende anche felici le persone?
Rubo brevemente un pezzo illuminante pubblicato qualche giorno fa da un ottimo sito di informazione cinematografica e non solo,
fantasymagazine.it, a proposito del nuovo film di Peter Jackon, "
The Hobbit". Ecco cosa viene scritto: "
...già da ora si può affermare che la produzione dello Hobbit è uno straordinario successo economico per il paese. L'industria cinematografica e televisiva della Nuova Zelanda è cresciuta costantemente negli ultimi 5 anni, muovendo circa 3.23 miliardi di dollari nel solo 2011, anno in cui il contributo del settore al prodotto interno lordo nazionale (GDP) è stato di 2.78 miliardi, ovvero l'1.4% del totale. Tutte queste cifre si traducono poi in 21.315 posti di lavoro."
Avete letto? Già, 21.315 posti di lavoro. Accidenti, potrei trovare lavoro anche io da quelle parti!
Noi però continuiamo a distruggere ciò per cui siamo ancora ben visti all'estero, ovvero il nostro intero patrimonio culturale, memoria storica compresa.
Senza addentrarci nel discorso sulle tristi condizioni in cui versano i nostri beni culturali e archeologici, e rimanendo nel nostro campo, si può tranquillamente affermare che siamo in uno stato d'emergenza da cui si rischia di non tornare più indietro, sentiamo l'urgenza di aprire un discorso serio, teso ad aprire qualche occhio, su ciò che viene definito "intellettuale". Intellettuale significa qualcosa o qualcuno che fa riferimento all'intelletto, alla capacità di ragionare ed esprimere pensieri articolati. Se siamo minimamente evoluti e non vogliamo perdere anche l'uso del pollice opponibile, perché in questo povero paese continuiamo a usare questo aggettivo come un'offesa, da dedicare a qualcosa di estremamente noioso e saccente, da abbattere e denigrare, come limitante della propria libertà?
È proprio questo il punto, l'ignoranza non è libertà, essere stupidi non equivale a essere se stessi, come viene fatto credere. Non c'è purezza in questo, non c'è verità. C'è solo menzogna. Una grande enorme menzogna.
In questo caso la colpa è di tanti, non solo di chi comanda, è di chi produce e di chi riceve, c'entra l'accettazione, a volte compiaciuta, a volte rassegnata, di un degrado che potrebbe essere curato, crisi o non crisi. Proprio questa crisi, usata come scusa per la povertà di spirito, dovrebbe semmai insegnare a fare di più, a cambiare, a non continuare con lo stesso comportamento lassista che non tiene conto del fatto che ciò che non si fa oggi tornerà a tormentarci in futuro, in modi e dimensioni ben più opprimenti.
Non sapendo trovare una via di mezzo si rimane sempre degli estremisti rabbiosi, in una guerra degli stupidi che non finirà mai.
Si, ridiamo, certo. Perché no. Se solo quelle battute facessero ridere.
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