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Una questione su cui si dibatte molto, ma mai abbastanza, ultimamente è il futuro del cinema, quanto cambierà nei prossimi anni? Quanto sarà diverso da come lo conosciamo oggi? Qualche segnale già si è visto e possiamo fare dei pronostici, alcuni dei quali sono molto cupi, ma non è detto che finisca nel modo peggiore possibile.
Dicevo se ne parla molto, è vero, ma spesso queste conversazioni avvengono tra chi il cinema lo ama, molto raramente avvengono tra chi il cinema lo fa e soprattutto lo condiziona con le proprie scelte. Spesso queste persone, e i giganti della comunicazione, rimangono fermi aspettando che si plachi la tempesta che si è abbattuta sulla loro sicurezza di poter fare guadagni facili senza troppa fatica. Già, ma poi quando si esce dal proprio rifugio quanto di quello che era esposto si ritroverà? Appunto, internet ha dato uno scossone molto forte al cinema, sia in negativo che in positivo. Purtroppo gli Studios non hanno saputo aggiornarsi per nessuno dei due aspetti, finendo per dover reagire nel modo più scomposto. Internet poteva essere una risorsa enorme per il cinema, e invece si è lasciato che avesse la meglio la pirateria incontrollata, finendo col risultato che il cinema è sempre più in mano ai blockbuster che cercano un incasso sicuro. Internet è potenzialmente un mercato distributivo senza limiti, penso soprattutto a quelle migliaia di film indipendenti che una volta prodotti e girati finiscono nell’abisso dei senza distribuzione.
In queste ore, peraltro, la Commissione Europea potrebbe decidere di togliere la cosiddetta eccezione culturale, ovvero la difesa del cinema europeo migliore da parte degli attacchi di Hollywood, ricordiamo infatti che difendere il proprio cinema è come difendere la propria industria, e quindi parte dell’economia di un paese, per questo ci vogliono leggi e un impegno vero dei governi. Non è possibile lasciare una discussione così importante sul futuro di una forma artistica basilare per l’identità europea e su quello dei tantissimi lavoratori del settore a incontri sporadici, a frasi di circostanza, a impegni mai veramente presi, a discussioni formali durante le premiazioni. Ci vuole un impegno concreto, con le decisioni messe nero su bianco. Il cinema non è il capriccio di poche persone che non hanno contatti con la realtà, il cinema è una realtà. L’Europa, già a pezzi così com’è, non dovrebbe piegarsi alle pressioni americane sul libero scambio, non dovremmo lasciare che il nostro mercato venga monopolizzato, se l’Europa esiste anche come comunità di tante culture e persone e non solo come burocrazia ottusa e numeri che faccia qualcosa per proteggersi. Parlarne dopo sarà troppo tardi.
A questo proposito, è significativo che una riflessione sul tema sia stata fatta nei giorni scorsi da due grandissimi cineasti americani, Steven Spielberg e George Lucas, che insieme a Don Mattrick della Microsoft hanno partecipato in occasione dell’apertura dell’edificio Interactive Media a un incontro alla USC School of Cinematic Arts, dedicato al futuro dell’intrattenimento. La loro visione è assai cupa: "[Gli studios]puntano al denaro. Ma questo non funzionerà per sempre. E come risultato il loro punto di vista sta diventando sempre più stretto. La gente sta cominciando a stancarsi. Non hanno intenzione di saper fare nient’altro”, ha spiegato Lucas.
Spielberg ha posto l’attenzione sul fatto che al momento diverse forme di intrattenimento stanno competendo tra di loro, e che gli studio preferiscono spendere 250 milioni di dollari per un singolo film, piuttosto che dividerli per tanti film nuovi, anche sperimentali.
“Alla fine ci sarà un grande tracollo. Ci sarà un implosione in cui tre, quattro o forse anche una mezza dozzina, di questi film con mega-budget, andranno a schiantarsi al suolo e questo porterà a un nuovo cambiamento del paradigma.”
Due registi che sono due istituzioni del cinema americano, e anche di Hollywood certo, ma sono anche due persone estremamente libere e con un pensiero ben preciso su ciò che è il cinema. Negli anni ’70 furono proprio loro, insieme a Coppola, Scorsese, De Palma e tanti altri a rinnovare Hollywood. Sono registi che amano il cinema europeo e si sono spesso schierati in difesa di questo, ma non solo, furono Coppola e Lucas a salvare dal disastro Akira Kurosawa e a produrgli “Kagemusha”, giusto per fare un esempio. Insomma le parole pronunciate da Spielberg e Lucas sulla situazione odierna del cinema non sono affatto scontate né convenzionali, anzi.
Continua Lucas: “ci saranno meno cinema, ma saranno molto più grandi. L’andare al cinema diventerà un’esperienza costosa, e i biglietti costeranno quanto quelli per uno spettacolo a Broadway o per una partita di football, tanto che i prezzi si aggireranno sui 50, 100, 150 dollari al biglietto. Il cinema commerciale sarà composto da film ad alto budget che rimarranno nei cinema per un anno, come gli show teatrali. Tutto il resto verrà prodotto per il piccolo schermo, è già quasi così adesso.“Lincoln” e “Red Tails” sono arrivati a malapena nei cinema. Stiamo parlando di Steven Spielberg e George Lucas che non riescono ad avere i loro film nei cinema.”
Secondo i due registi il cinema più personale non morirà ma migrerà sui servizi di video on-demand, ma questo potrebbe portare alla morte del grande schermo, e con essa la fine di un’era in cui il cinema è stato soprattutto condivisione, emozione collettiva. Si dovrà ripensare il cinema dalle sue basi allora, perché questo va al di là della semplice discussione tecnica. Sempre di più i film indipendenti vengono finanziati in parte o totalmente con il found-rasing, come dimostrano molti festival, tra cui il Sundance, il festival più attento alla realtà indipendente.
Sicuramente è cambiato il modo di agire degli Studios, il cambio di rotta è sotto gli occhi di tutti, ma non è affatto un cambio positivo, anzi è molto più repressivo. Questo è dovuto anche al fatto che le grosse compagnie produttive e distributive badano principalmente a investimenti sul breve termine, e non investono su un cambio del mezzo cinematografico che sia graduale e
controllato. Che le cose cambino è naturale, questo è fuori discussione, il come debbano cambiare, e a favore di chi, invece è tutta un’altra storia. Ovviamente questo non significa che film buoni non esistano o non vengano distribuiti, abbiamo appena assistito a due annate ottime per il cinema, è piuttosto una questione su cosa sarà il cinema domani e su chi deciderà come dovrà essere.
Quanto è fattibile dunque la previsione di Spielberg e Lucas? Alcune cose possono sembrare troppo pessimistiche, è vero, ma a parlare non sono due sconosciuti. Sono persone che in quel sistema ci vivono, e lo guardano dai piani alti. La loro preoccupazione quindi è da prendere molto sul serio. Un altro dato oggettivo è che i siti per lo streaming, molti dei quali illegali, si stanno diffondendo sempre di più, inoltre molti progetti sono esclusivamente pensati per questo tipo di supporti. I film oggi escono su più supporti e un dato di fatto purtroppo è che il supporto materiale (dvd, blue-ray) sparirà, lasciando solamente, per ora, un'indefinita modalità di recupero e conservazione dei film su internet. Insomma, un cambiamento radicale è in corso, siamo in una fase di passaggio molto importante e delicata del nostro vivere (non solo del cinema quindi) e sarebbe opportuno cercare di programmarla. Non è facile prevedere come si evolverà l’industria, ma quello che è certo è che la mancanza di una progettazione realistica e ragionata per il futuro non è la strada migliore.
Riguardavo l’altra sera l’immenso lavoro di
Buñuel in compagnia di alcuni loschi personaggi. Al termine della visione è nata una discussione sul significato del film che in poco tempo è sfociata in una rissa con molteplici morti e feriti, auto in fiamme, bidoni rovesciati e banche fatte saltare in aria. Qualcuno ha anche tentato un rapporto sessuale non protetto con Ronald McDonald. Riuscendoci.
Ma non è questo che ci interessa, sto chiaramente divagando per ottenere qualche parola in più. Il succo di quel discorso era se questo enigmatico e all’apparenza semplice, nella struttura intendiamoci, lavoro del Maestro surrealista fosse o meno ancora attuale, ovvero ci si chiedeva se l’opera avesse detto l’ultima parola artistica su quella misteriosa attrazione che guida un uomo e una donna verso logiche inspiegabili. Il film è sicuramente visto sotto il profilo di un uomo, ma è anche vero che i personaggi di Buñuel non sono da prendere come profili realistici bensì come astrazioni, come raffigurazioni di ideali, culture, classi sociali, virtù (poche) e difetti (tanti). In questo caso abbiamo, oltre a quello che è già stato citato, anche le astrazioni di un uomo e di una donna, come in un Kandinsky o un Mirò del Cinema, che non riescono ad accomunarsi, procedendo così in un’eterna spirale che sa tanto di girone infernale.
Si può inoltre definire “Quell’oscuro oggetto del desiderio” un film romantico? Un film che parla di sentimenti sicuramente, ma è possibile racchiuderlo nell’accezione contemporanea di romanticismo? Secondo il mio poco illustre parere la risposta è si. Il film è, anche con tutti i suoi sottotesti, compresi quelli surreali, un film sull’amore.
Ma si diceva di sottotesti surreali, il mondo che ruota attorno a Don Mathieu è senza senso eppure lui non si accorge di niente, a volte tralascia volontariamente questi avvenimenti preoccupato unicamente della sua storia d’amore con la bella Conchita. Quel mondo è folle, l’unica cosa importante sembra essere la storia, che però è ancora più incomprensibile, è il perno attorno al quale girano gli eventi dissennati e catastrofici che avvengono all’esterno, anzi forse ne è proprio il punto di partenza. È il mondo visto da Mathieu, reso folle da una storia d’amore che sembra impossibile, così come sembrava impossibile che i borghesi dal fascino discreto riuscissero a sedersi a tavola e mangiare in pace. Lo sdoppiamento della protagonista femminile, interpretata di volta in volta da due attrici diverse, è un altro elemento della follia dell’uomo innamorato, che non capisce, non vede, non distingue. È un incubo, è la realtà, è tutte e due le cose. Sembra non esserci fine, né speranza.
Comunque lo si veda è un film romantico, è un racconto di gente innamorata, che come nella vita vera non deve avere per forza un lieto fine, anzi in questo caso non ha neppure una fine. Tutto ricomincia e un’esplosione chiude il film. Quindi si, il film è ancora attuale, perché si ispira alla vita vera, pur rileggendola con gli occhi dell’arte, della trasfigurazione dei personaggi, della non tangibilità degli stessi. Se non ci credete consultate pure lo Scarfotti 2012/2013, tanto è quasi Natale e i bambini si divertono a leggerlo alla luce di una torcia dentro la tenda allestita nella loro cameretta. Un oggetto utile, pratico, comodo, dilettevole, si porta in tram, dà un tono alla casa e talvolta aspira anche la polvere nei punti che sembrano irraggiungibili con una scopa normale.
Capita, in un paese come il nostro, che gli attacchi alla cultura vengano perpetrati sempre più spesso dietro una risata, che può essere quella del capo del governo o dell'uomo da bar (in almeno un caso la figura è coincisa) e che nasconde quel subdolo pregiudizio secondo il quale il mestiere artistico non produce nulla e ruba nelle tasche della gente che lavora.
"
Con la cultura non si mangia" è uno dei motti del populismo che dilaga a ondate più o meno decennali in Italia, un populismo pericoloso che sta prendendo piede anche in quel settore che proprio con l'ingegno artistico e creativo dovrebbe arricchirsi di più, la televisione. Succede allora che Sky (non era la televisione dalle belle pubblicità? E cosa sono queste se non frutto dell'ingegno creativo?) mandi in onda uno spot ricamato su alcuni stanchi cliché che negli ultimi anni però hanno colpito a morte la nostra cultura.
I protagonisti di questo spot si calano nelle vesti degli intellettuali da macchietta mentre un loro amico amante dei cinepanettoni sembra essere quello più normale, l'unico di cui fidarsi. Ne ridono, e tutto finisce a tarallucci e vino. Segue poi una serie delle migliori immagini prese dai nostri amati film di Natale che fanno gelare il sangue, e scopriamo così che se infilzi un tacchino con una forchetta può essere che dal culo della povera bestia cucinata esca uno dei due "
Fichi d'India" (il più brutto dei due,
of course). Così con alcune battute di malcelato disprezzo
Kiarostami, Stockhausen e Beckett finiscono per diventare barbosissimi e sorpassati autori appartenenti a un vecchio passato polveroso fatto di barbe e maglioni a collo alto.
Lo spot è agghiacciante sotto certi aspetti, e propaga un'ignoranza che sinceramente ha rotto i coglioni.
La verità è che è stato proprio il "ridici su" a portarci verso il baratro, allo sdoganamento dell'ignoranza come carattere identitario del paese, per questo si dice "si ce lo meritiamo", ma non ci meritiamo un c***o, perché è una punizione che non cura i colpevoli e abbatte i meritevoli. Ci ritroviamo allora a dover commentare l'ennesimo Giovanni Veronesi senza pudore, proprio lui, la firma dei peggiori film italiani di questi ultimi vent'anni, che spara a zero, da povero provinciale qual è, su
Kim Ki-duk senza averne neppure mai visto i film, o a sentire da qualsiasi bocca la battuta decontestualizzata di Fantozzi su "
La corazzata Potëmkin", usata come scusa per la propria pigrizia mentale. Ma è una scusa, solo questo. Perché se mai queste persone provassero a leggerlo Beckett, forse scoprirebbero quante cose ha da dire sulla vita, e certo non esplode il culo ad aprire un libro, e potrebbero anche provare a vederlo il film di Ėjzenštejn, dura anche poco, potrebbe addirittura arrivargli la bellezza di quella storia possente e di quelle immagini che anticipavano, per struttura narrativa e stilistica, il cinema del futuro. Dai, che per i rutti e le scoregge c'è sempre tempo. Non hanno già abbastanza spazio questi prodotti? C'è veramente bisogno di sdoganarli? No, non c'è, perché già dominano il mercato nascondendosi dietro l'alibi dell'incomprensione da parte della critica e della cultura cosiddetta "alta". Un trucco, certamente, una regione in cui conviene stare per avvalersi dell'etichetta "di e per il popolo". Mi dispiace, cari Veronesi, Brizzi, De Sica, ma non siete di nicchia. Voi siete il potere. E il potere non fa mai ridere.
L'arte può essere fastidiosa per il potere, lo sappiamo bene, pensiamo ai casi recenti delle "
Pussy Riot" in Russia che pur senza fare della vera arte sono state umiliate e imprigionate come i peggiori criminali per un canzoncina anti-Putin (sarà che lui stesso è uno dei peggiori criminali del mondo?), o ancora in Bielorussia dove il gruppo teatrale "
Belarus Free Theatre" ha subìto le peggiori angherie per i loro innovativi spettacoli teatrali in favore del libero pensiero. Guarda caso, Berlusconi, Putin e Lukashenko si stimano molto.
Ma quando lo stesso morbo infetta anche le abitudini di uno dei popoli che con l'arte ci ha fatto la propria fortuna, non viene da chiedersi seriamente cosa sia successo?
Siccome si parla sempre di soldi, dal momento che sull'oggettività del bello nell'arte contemporanea ancora si discute e che l'utilità della stessa non è sempre istantanea, proviamo a metterla sul piano economico allora. Pensiamo, dunque, come il settore dello spettacolo e tutto quello che vi è collegato in Italia fornisce lavoro a 250mila persone, pensiamo come una recente mostra romana su Caravaggio abbia fatto guadagnare al Comune della capitale circa 35 milioni di euro o come l'Auditorium "
Parco della Musica" sempre nella stessa città, con la sua sempre crescente offerta artistica, sia una delle pochissime istituzioni pubbliche in attivo.
Ehi! Cosa è successo? Vuoi vedere che questi artisti brutti e puzzoni fanno riempire le tasche dell'unica cosa che sembra interessare veramente, i soldi? E vuoi vedere che investire sulla cultura rende anche felici le persone?
Rubo brevemente un pezzo illuminante pubblicato qualche giorno fa da un ottimo sito di informazione cinematografica e non solo,
fantasymagazine.it, a proposito del nuovo film di Peter Jackon, "
The Hobbit". Ecco cosa viene scritto: "
...già da ora si può affermare che la produzione dello Hobbit è uno straordinario successo economico per il paese. L'industria cinematografica e televisiva della Nuova Zelanda è cresciuta costantemente negli ultimi 5 anni, muovendo circa 3.23 miliardi di dollari nel solo 2011, anno in cui il contributo del settore al prodotto interno lordo nazionale (GDP) è stato di 2.78 miliardi, ovvero l'1.4% del totale. Tutte queste cifre si traducono poi in 21.315 posti di lavoro."
Avete letto? Già, 21.315 posti di lavoro. Accidenti, potrei trovare lavoro anche io da quelle parti!
Noi però continuiamo a distruggere ciò per cui siamo ancora ben visti all'estero, ovvero il nostro intero patrimonio culturale, memoria storica compresa.
Senza addentrarci nel discorso sulle tristi condizioni in cui versano i nostri beni culturali e archeologici, e rimanendo nel nostro campo, si può tranquillamente affermare che siamo in uno stato d'emergenza da cui si rischia di non tornare più indietro, sentiamo l'urgenza di aprire un discorso serio, teso ad aprire qualche occhio, su ciò che viene definito "intellettuale". Intellettuale significa qualcosa o qualcuno che fa riferimento all'intelletto, alla capacità di ragionare ed esprimere pensieri articolati. Se siamo minimamente evoluti e non vogliamo perdere anche l'uso del pollice opponibile, perché in questo povero paese continuiamo a usare questo aggettivo come un'offesa, da dedicare a qualcosa di estremamente noioso e saccente, da abbattere e denigrare, come limitante della propria libertà?
È proprio questo il punto, l'ignoranza non è libertà, essere stupidi non equivale a essere se stessi, come viene fatto credere. Non c'è purezza in questo, non c'è verità. C'è solo menzogna. Una grande enorme menzogna.
In questo caso la colpa è di tanti, non solo di chi comanda, è di chi produce e di chi riceve, c'entra l'accettazione, a volte compiaciuta, a volte rassegnata, di un degrado che potrebbe essere curato, crisi o non crisi. Proprio questa crisi, usata come scusa per la povertà di spirito, dovrebbe semmai insegnare a fare di più, a cambiare, a non continuare con lo stesso comportamento lassista che non tiene conto del fatto che ciò che non si fa oggi tornerà a tormentarci in futuro, in modi e dimensioni ben più opprimenti.
Non sapendo trovare una via di mezzo si rimane sempre degli estremisti rabbiosi, in una guerra degli stupidi che non finirà mai.
Si, ridiamo, certo. Perché no. Se solo quelle battute facessero ridere.