Rispettivamente classe '31 e classe '29,
Paolo e
Vittorio Taviani si possono certamente definire registi con una onorata carriera alle spalle. Certo non sono i primi nomi che vengono in mente in un'ipotetica classifica dei migliori cineasti italiani di sempre, ma è indubbio che la loro carriera non è stata avara di soddisfazioni, in primis la Palma d'oro a Cannes per
Padre padrone.
Ad ottant'anni suonati dopo una carriera di tutto rispetto, cosa ti combinano? A dispetto di chi li considerava "bolliti" (e anche chi scrive ci si mette, facendo pubblica ammenda), lasciano la classica pellicola per passare al digitale e con una troupe scarna ma perfettamente funzionale all'ambientazione, dirigono quello che probabilmente è stato il miglior film italiano della precedente stagione cinematografica:
Cesare deve morire.
Con l'ausilio fondamentale di Fabio Cavalli, vero e proprio tramite tra gli attori carcerati e i Taviani, il carcere di Rebibbia diventa l'immenso palco della tragedia shakespiriana in cui gli orrori del proprio passato sono esorcizzati entrando nei personaggi della piece teatrale e creando una forte empatia tra spettatori e film. Una pellicola che coinvolge e sconvolge. Documentario, teatro e cinema sono fusi in maniera perfetta. Il carcere rimane il luogo di punizione per eccellenza, ma può essere il luogo della redenzione dello spirito umano. La scoperta dell'Arte, assorbirla, può lenire gli orrori di un passato fatto di scelte sbagliate ed errori a volte non più riparabili. Una speranza di rinascita all'interno delle sbarre.
E' notizia di poco tempo fa che Cesare deve morire ha ricevuto tre canditature agli EFA europei (miglior film, miglior regia, miglior montaggio). Altre piccole soddisfazioni per i fratelli di S.Miniato. La concorrenza tuttavia è fortissima,
Amour di Haneke in primo luogo, il grosso riscontro perlomeno dal punto di vista commerciale di
Quasi amici della coppia Nakache/Toledano,
Il sospetto di Vinterberg,
Shame di McQueen e l'outsider Barbara di Christian Petzold.
Concorrenza che si ripresenterà insieme ad altri rappresentanti degli altri continenti per ciò che riguarda la successiva notte degli Oscar.
Cesare deve morire è stato scelto per rappresentare i colori italici alla prossima parata di stelle di Los Angeles nella categoria del miglior film straniero. Speranze? Non molte ed in fondo, a livello personale, vado anche di scaramanzia considerato che l'Italia è ancora scottata dall'esperienza negativa di
Gomorra, Gran Premio Speciale della Giuria a Cannes (ad ex aequo con
Il Divo di Sorrentino) e dopo aver fatto incetta di premi proprio agli EFA europei. Risultato: Gomorra non è entrato nemmeno nella cinquina finale creando un certo stupore, visti gli altri componenti di quella cinquina.
Con il film dei Taviani è consigliabile volare basso. Arrivare alla vittoria dell'Oscar sarebbe un risultato quasi miracoloso, fare parte della cinquina finale per aggiudicarsi la statuetta sarebbe già un successo.
Certamente con questa pellicola troverebbero pane per i loro denti (e lo era anche per Gomorra) tutti coloro che periodicamente accusano il cinema italiano di eccessivo provincialismo.
Un'accusa che in qualche caso è talmente risibile che, prendendo in esame certa stampa ed esponenti del cinema estero, ci vedono ancora al livello di pizza e mandolino.
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