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Nel suo precedente film "La Terra" il regista Sergio Rubini raccontava una storia del sud, popolare e verista, rifacendosi alla sua anima pugliese; sarebbe a dire con cognizione di causa, senza divagazioni eccessive né l'ambizione esagerata di dipingere un affresco globale dell'umano esistere, a 360°.
Al contrario, con "Colpo d'occhio" sembra si sia fatto prendere la mano proprio in questo senso: con la pretesa di raccontare l' eterna vicenda dell'incontro /scontro uomo-donna, il dramma della gelosia, la preminenza del lavoro nella psicologia maschile, il tradimento dell'amicizia, l'ambivalenza del rapporto critici/artisti, il problema della genuinità dell'opera dell'ingegno e della dialettica basilare tra lavoro manuale e cultura verbale.
Troppo, forse, per andare a fondo di tutti i problemi, rimanendone alla superficie con difficili operazioni di sceneggiatura, sovente artificiosa e non credibile, come ad esempio nella scena finale dell'omicidio del fascinoso Scamarcio, iniziata con toni e modi da tragedia greca, in un giusto contesto di anfiteatro antico, ma finita indecorosamente con una pantomima da serial televisivo alla tedesca.
Curiosa anche l'insistenza sul tema della genuinità dell'invenzione artistica e sul plagio delle opere da parte del nostro Rubini; che da un canto va affermando di rendersi conto solo ora che il suo titolo "Colpo d'occhio" sia l'esatta traduzione di "Eyes wide shut" di Kubrick, mentre il cartellone stesso di presentazione risulta una scopiazzatura evidente del capolavoro "Arancia meccanica".
Da Kubrick, poi, Sergio Rubini sembrerebbe personalmente influenzato per una vena di cattiveria e crudeltà quasi diabolica; un "vizietto" individuale che già ne "La Terra" lo portava a ricoprire il ruolo dell'usuraio del paese, destinato a morire tragicamente; mentre in "Colpo d'occhio" gli fa assumere le sembianze di un perfido Mefistofele, che subdolamente cerca di vendicarsi del giovane rivale, promettendogli l'eternità artistica.
Se la vicenda del giovane scultore Scamarcio avrebbe dovuto rappresentare il vero clou del film, con il "narcisismo ferito" di ogni creativo, va detto che il profilo del personaggio nulla aveva del nobile "Tormento ed estasi" dell'artista puro, ma odorava semmai del velleitarismo piagnone e nevrotico di tanti giovani "tronisti" di oggi, che vorrebbero assurgere con facile immediatezza all'"estasi", bypassando il necessario viatico di "tormento", di impegno e di fatica.
Che dire? Non vorremmo pensare che il problema del plagio dell'opera altrui, della "commercialità" imprescindibile della produzione artistica e della manovrabilità dei critici derivasse proiettivamente da vicende personali, vissute dall'autore a livello conscio o inconscio, dove unico richiamo all'onestà intellettuale e ad ispirazioni genuine risulterebbe il personaggio femminile, graziosamente interpretato da Vittoria Puccini. Oppure, addirittura, che l'insieme del racconto nasconda una malcelata crisi di creatività, che spereremmo temporanea, del pur bravo regista, che sa comunque gestire bene la recitazione dei suoi attori, come Vittoria Puccini e Riccardo Scamarcio, che in effetti non si nota solo per la bellezza.
Stesso discorso vale per la fotografia e per le scene; magari esageratamente ricche, nel rimpallarsi dalle Gallerie di Berlino e di Venezia a fascinosi casali rustici, da preziose dimore avite della nobiltà romana alle zone di scavo delle terme più antiche.
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 07/04/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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