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In fra li casi de la vita e magie de' cieli... libertà vo' cercando
Campeggia questa frase sul cartellone di un vecchio spettacolo teatrale nella "stanza di Leo"; ragazzo come tanti, poco più che ventenne, una ragazza, degli amici, una tesi da terminare.
Alle soglie della effettiva maturità però qualcosa si incrina in lui, la confortante normalità dei suoi affetti sembra non incontrare le esigenze di una sensibilità che si affaccia alla vita e non si può ignorare.
Accanto a lui viene a trovarsi Cora, vecchia amica di scuola ritrovata per caso, scossa da un segreto troppo grande per la sua fragilità.
Insieme e in parallelo affronteranno il loro disagio, portandolo a galla in un cammino malinconico e sofferto.
In concorso al 25° GLBT Film Festival di Torino, dove ha vinto il premio speciale della giuria, "El cuarto de Leo" è l'opera prima di Enrique Buchichio, giovane autore uruguaiano premiato in precedenza per i suoi cortometraggi.
Come consueto negli esordi è forte la connotazione autobiografica per un film che, a detta dell'autore presente alla proiezione, non vuole giustamente autoghettizzarsi come film "gay" ma che è semplicemente un percorso di educazione sentimentale e di autoaccettazione della propria specificità, con una narrazione lineare ma sincera e di semplice immedesimazione, sia per chi quel percorso lo ha affrontato, sia per chi da eterosessuale può comunque comprenderne la complessità, magari aggiornandone in senso personale le chiavi di lettura.
Proprio per questo motivo i riferimenti cinematografici e letterari, fatta eccezione per alcuni capisaldi, Mishima su tutti (si pensi alla profondità di analisi di Confessioni di una maschera), non sono "settoriali" ma semplicemente quelli tipici della narrativa di formazione, che da sempre esplora il territorio della maturazione dell'individuo, della presa di coscienza dell'identità, culturale, sociale e sessuale, e della dicotomia tra desiderio e ambiente.
E' quindi il buon vecchio Dostoevskij a tornare utile quando l'animo umano rompe i confini per lui spesso definiti in modo affrettato:
No, l'animo umano è immenso, fin troppo, io lo rimpicciolirei. Chi lo sa con precisione che cos'è? Lo sa il diavolo, ecco! Quello che alla mente sembra una infamia, per il cuore, invece, è tutta bellezza.
Il turbamento di Leo non è altro che lo sbocciare di un'anima quindi. Lasciata la ragazza e affidatosi di malavoglia a un terapista attraversa con un misto di curiosità, timidezza e angoscia le fasi della costruzione di una sessualità nuova. Dopo alcuni impacciati primi approcci, ad aiutarlo ad uscire dal guscio rassicurante della sua stanza, teatro di quasi tutta la pellicola, sarà Sebastian, un ragazzo dolce e sicuro di sé che riesce a comprenderne lo smarrimento e le contraddizioni, avendo evidentemente prima di lui seguito gli stessi passi.
Singolare anche il rapporto con la co-protagonista Cora, silenziosa e smarrita, pur per motivi diversi, che disperata si avvicina (troppo) a Leo, traendo però dalla sua sensibilità la forza per reagire.
A questo punto, al bivio tra commedia agrodolce e approfondimento drammatico l'autore sceglie correttamente la strada più battuta, virando verso un finale aperto e consolatorio, intimista e caratterizzato da qualche ingenuità veniale.
Una rivelazione il giovane Martin Rodriguez, i cui occhi color dell'ambra, profondi e dolenti, esprimono fedelmente i tormenti del protagonista.
Regia e messa in scena accorte e mai invadenti, i toni opachi e la prevalenza della camera a mano non disturbano ma danno alla narrazione una lettura più privata, quasi in forma di diario.
Come detto un buon film, specie trattandosi di un primo lungometraggio, per una tematica affrontata con il giusto crescendo e mai sopra le righe. Troverà spazio e coraggio ci auguriamo in lavori successivi la più dettagliata analisi di un mondo così complesso.
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Recensione a cura di Lot - aggiornata al 22/04/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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