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"Lavato? Mi sono fatto la barba in aeroporto se proprio lo vuoi sapere... Sto bene. In questo momento sto guardando la terra... Il mio paese. E' bello..."
Si apre così "Festen", con una telefonata singolare che Christian, il figlio primogenito di una famiglia ancora tutta da scoprire, riceve mentre sta raggiungendo a piedi l'albergo di proprietà dei Klingenfeldt: l'albergo di famiglia, la sua famiglia.
L'occasione è tra le più convenzionali, la festa del sessantesimo compleanno del padre.
L'incipit, volutamente bizzarro e che culmina con l'incontro tra Christian e lo strano fratello Michael, il quale scarica moglie e figli per strada con l'intento di accompagnare il maggiore in auto, ci avvolge immediatamente in un clima surreale, che via via diverrà sempre più grottesco e angosciante.
"Festen" è il primo film del manifesto artistico del Dogma 95, un movimento danese ideato da Vinterberg e Lars Von Trier, il quale tende ad una sorta di "creazione pura", senza i fronzoli tipici del cinema hollywoodiano.
L'opera dev'essere scarna, un ibrido stilistico che permetta allo spettatore di essere travolto totalmente dal contenuto. Telecamera a mano, nessuna musica, sonoro in presa diretta, niente effetti speciali, la scenografia che prende anima per mezzo di luci naturali, nulla che spettacolarizzi o che aiuti in qualche modo a enfatizzare la storia.
E in "Festen" accade esattamente quello che Vitenberg pretendeva concettualmente.
Ma se la tecnica è azzeccata, lo è principalmente perché la storia lo permette.
Christian viene accolto calorosamente, ma appare fin da subito a disagio in quel luogo pieno di invitati allegri e ci si accorge subito della figura quanto meno ambigua del patriarca Helge.
Alla festa sono presenti molti ospiti, una elitè di individui altezzosi nella loro stessa sfavillante ricchezza. Una ricchezza materiale, naturalmente. Compare anche un'esuberante sorella, Helena, e una madre affascinante e snob, evidentemente subordinata al marito. Il quadretto familiare è al completo.
Manca solo Linda, la gemella di Christian, non presente perché morta suicida poco tempo prima in una stanza di quello stesso albergo.
Il tormento di Christian prende voce in occasione del brindisi in onore al padre. L'attesa che dica qualcosa di celebrativo crolla nel momento in cui confessa, con apparente freddezza e velenoso sarcasmo, di essere stato abusato sessualmente insieme alla gemella proprio da quell'uomo tanto idolatrato da figli, moglie, amici e parenti.
Non a caso la figura del personaggio del padre è esattamente quella del patriarca, il quale esige rispetto e si crogiola nelle ruffianerie degli invitati che lo osannano, ammirato e temuto dal figlio Michael che ha con lui un rapporto di sudditanza e sottomissione.
Un padre che stupra i propri figli è un padre che vuole suggellare la propria supremazia sulla famiglia: lui può tutto, è tutto. L'abuso sessuale, in questo caso, è un esplicito abuso di potere.
Stiamo vivendo una vera e propria tragedia greca dal realismo euripideo. I personaggi principali vivono un conflitto notevole, sia interiore che esteriore. La struttura è quella tipica della tragedia classica: mancano i cori, ma il senso è quello.
Il padre padrone è il cardine attorno a cui ruota la famiglia. Contro di lui viene puntato il dito del primogenito, fulcro delle aspettative di un'intera dinastia.
Ma "quando il saggio guarda la luna lo scemo guarda il dito", ci dice un vecchio proverbio orientale. Infatti il risultato della confessione di Christian è quello di raggelare gli ospiti (anch'essi sono un riferimento al dramma classico, i cosiddetti commensali che rappresentano, appunto, il negativo in antitesi a Christian e al suo essere). Ma si tratta solo di uno shock momentaneo: l'ipocrisia prende subito il sopravvento e l'imbarazzo scema, grazie all'abilità di Helge di ridurre il tutto ad una buffonata, ricordando ai presenti i problemi psichici di Christian da ragazzo.
"Molto spesso il delinquente non è all'altezza della sua azione: o la rimpicciolisce o la diffama."
Friedrich Nietzsche
Christian, intanto, in completa balia di se stesso, trova sostegno nella servitù, ovvero da parte di chi lavora per quella famiglia, dietro le quinte, da una vita. E sa.
Anche in questo caso abbiamo a che fare con una rappresentazione molto classica del dramma: i personaggi di contorno come la servitù, a differenza degli ospiti, simboleggiano la parte positiva, la forza di Christian, i veri eroi della tragedia.
Un'altra figura estremamente curiosa e simbolica è, a sua volta, il fidanzato di colore di Helena, Gbatokai. Lui, totalmente fuori contesto rispetto all'ambiente in cui si ritrova, è un altro eroe della tragedia. Come fosse un angelo custode (quello di Christian?), arriva e comprende subito la situazione, si mostra subito emotivamente vicino al "cognato", ma mai troppo, non invade il suo spazio e il suo dolore, vi si accosta semplicemente con delicatezza e tenta di aiutarlo rimanendo comunque in disparte. Lo fa per mezzo di Helena, naturalmente.
Christian non se ne rende conto, ma lo spettatore attento sì. Il suo essere di colore è un forte contrasto con tutto il resto della marmaglia (lo si evince poi, nel momento della canzoncina razzista in suo onore, scatenata da Michael).
Gbatokai rappresenta quello che è buono e giusto, non viene travolto dalle cattiverie, non subisce, resta quello che è con distaccata superiorità morale: è simbolo di purezza, fiducia, risurrezione.
Il secondo brindisi di Christian illude i presenti, pare quasi un tentativo di scuse. In realtà la bomba scoppia definitivamente: il primogenito accusa il padre di aver portato Linda al suicidio e punta l'ormai famoso dito anche contro la madre, colpevole di aver sempre saputo e di aver fatto sempre finta di non vedere. Un vero e proprio colpo di grazia, quello, sulla psiche di Christian: l'indifferenza della propria madre di fronte all'orrore.
Ormai il clima è irrimediabilmente compromesso. Michael, facendosi autonomamente garante di una pace e tranquillità che non deve essere infranta, perde il controllo, si sfoga fisicamente sul fratello e lo abbandona legato ad un albero nel bosco circostante.
Michael non crede affatto che il padre possa aver fatto una cosa simile, ma il dubbio gli si insinua dentro come uno spillo, poiché in quegli anni il giovane aveva vissuto in collegio e degli abusi non poteva essere a conoscenza.
Il personaggio di Michael è sicuramente tra i più interessanti. Un carattere irascibile, aggressivo, ma mai realmente violento (indicativo è, in tal senso, il rapporto con la moglie), che aggredisce il fratello ma si preoccupa nel contempo che non gli succeda nulla ("Cristo, è mio fratello!").
La scena, decisamente surreale e emblematica, di lui che litiga con sua moglie prima di farci sesso (mentre Christian, in un'altra stanza, viene corteggiato senza successo da una cameriera e Helena vive lo strazio del ritrovamento della lettera-testamento di Linda) è l'apologia del dramma, che contiene momenti al limite del grottesco. E Michael è esattamente questo: un personaggio grottesco.
In qualche modo la festa prosegue, tra fiumi di alcol, danze e canti discutibili. Christian però, liberatosi, torna nuovamente e affronta Helena, ridotta uno straccio, la quale decide di leggere davanti a tutti la lettera d'addio di Linda, trovata proprio da lei nella stessa stanza in cui la sorella si è tolta la vita.
Dinnanzi alla verità, di fronte alle parole scritte dalla stessa Linda, la vittima, la morta, il pubblico di infingardi nababbi non può fare a meno di indignarsi e prendere atto della macabra realtà. La lettera è la forca, la lettura di questa l'impiccagione dell'orco.
Ora l'equilibrio del burattinaio Helge è distrutto.
E' così che il film si avvia verso la propria inevitabile conclusione. La festa ormai è finita, rimangono solo i resti di una famiglia distrutta ma non ancora morta.
Christian in uno dei rari momenti onirici del film, incontra Linda, un incontro suggestivo ed emozionante tra due gemelli eterozigoti, così diversi fisicamente e caratterialmente ma uniti da un amore puro e profondo, uniti dal dolore, uniti per sempre.
E' un momento estremamente intenso, quello, in cui lo spirito della sorella, illuminata appena da una candela, crea un pathos indescrivibile. Christian, che ha appena fatto l'amore con la bella cameriera (finalmente, dopo anni di solitudine e di dolore divorante, si è abbandonato all'amore fisico), subisce uno sblocco e si ricongiunge a Linda, quella sua dolce sorella che ha sacrificato la sua vita, forse, per salvare quella di lui.
Nel frattempo Michael, sconvolto dalla scottante rivelazione, si reca da suo padre ritiratosi con la sola compagnia della moglie, per picchiarlo. Lo umilia, gettandolo a terra, lo colpisce senza tregua, dando finalmente sfogo a quella rabbia che si portava dentro. Il suo rapporto con il genitore, fino a quel momento caratterizzato da una fiducia e un riconoscimento mai ottenuto, è stravolto. Il mito è crollato, ineluttabile è la presa di coscienza.
"Questa famiglia è kaput."
Michael, disperato, minaccia il padre dicendogli che non vedrà mai più né lui né i nipoti. Perché la famiglia, questa famiglia, è rotta.
Il film si conclude il giorno dopo, a colazione, dove Helge cambia ruolo. Da uomo idolatrato e ammirato, è ormai un uomo marchiato da un orrore aberrante, tramutato in un essere che attira disprezzo e, infine, indifferenza. Il suo goffo tentativo di apparire comunque un essere umano, abbozzando un ennesimo discorso, non sortisce benevolenza. Il padre padrone è un uomo finito, che ammette le sue colpe.
E' Michael che lo invita ad andarsene, per poter fare colazione in pace. Proprio il figlio meno interessante, probabilmente, quello spedito in collegio, quello trattato e calcolato meno di uno sputo.
"I figli iniziano amando i loro genitori, in seguito li giudicano. Raramente, se non mai, li perdonano."
Oscar Wilde
Il padre obbedisce, lascia la sala, come un fantasma.
E la moglie resta al suo posto, comunicazione diretta di un abbandono.
Il volto di Christian è l'ennesimo pugno allo stomaco. Lo sguardo triste di un figlio che non potrà mai gioire, nemmeno dopo la legittima consacrazione della verità. Tutti proseguono, seppur feriti, nella parvenza di una normale quotidianità. Ma quel volto infelice ci racconta che è una pretesa impossibile, è un carillon che suona all'infinito per ricordare che questa, ormai, è una famiglia kaput.
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Recensione a cura di Silly - aggiornata al 02/03/2011 11.00.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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