Voto Visitatori: | 6,50 / 10 (7 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 7,50 / 10 | ||
Film del 1947 e primo grande successo cinematografico di Totò (fatta eccezione per "San Giovanni decollato" del 1940, tutte le precedenti prestazioni cinematografiche dell'attore partenopeo non ebbero una grande eco, tanto da far pensare a De Curtis di abbandonare il cinema per dedicarsi esclusivamente al teatro), "I due orfanelli" appartiene al filone delle parodie di pellicole celebri: si ispira infatti a "Le due orfanelle", vecchia pellicola del cinema muto. Riciclati anche scenografie e costumi (dal film "Le fiacre n. 13", un kolossal dell'epoca).
Come avverrà spesso per le successive storie interpretate da Totò, la trama è solo un pretesto per permettere al comico di scatenarsi e di uscire dal copione.
Ne "I due orfanelli", Totò e la sua spalla (qui il piemontese Carlo Campanini, ben contrapposto al comico napoletano per contrasto fisico - il grasso e il magro alla Stanlio e Ollio - e regionalistico - il meridionale ed il settentrionale) sono due giovani di famiglia oscura che vivono nella Parigi del 1870 e vanno incontro a mille paradossali avventure dopo aver scoperto le nobili origini di Totò.
Il bozzetto parodistico del romanzo feuilleton, assai in voga all'epoca, sfocia in una impietosa satira sulla società contemporanea e sugli effetti del dopoguerra: la borsa nera ed il fascismo vengono abbondantemente presi di mira, ma soprattutto la verve del comico si scatena in una travolgente analisi sulle cause scatenanti i conflitti tra gli uomini: travestito da Napoleone, Totò osserva distaccato le battaglie tra soldati di opposte ma anche di identiche fazioni. I furbi trionfano (l'ometto che si nasconde per poi venir fuori al momento della premiazione) ed i buoni soccombono: il soldatino, interpretato da un giovanissimo Raimondo Vianello che crede nella causa.
Il comico se la prende un po' con tutti e non nasconde una vena di malinconico scetticismo per le sorti di quest'Italia non ancora risorta da un conflitto sanguinoso e disastroso e già alle prese con divisioni e contrasti intestini.
L'amore e l'ingenuità sono messi a dura prova, perché trionfa sempre e comunque la capacità di riciclarsi e di sapersi agganciare al carro del vincitore o di chi è più forte: niente male per quella che apparentemente aveva l'aria di essere un'innocua favoletta o un divertissement per dimenticare i mali del periodo.
A parte la sottile venatura politica della pellicola, che però potrebbe lasciar trasparire da parte del regista, il bravo Mario Mattoli, una posizione di cauto centrismo in un'epoca pre-elettorale caratterizzata dalle contrapposte campagne dei democristiani, destinati a salire al potere e delle forse di sinistra, il film vede dei punti poi caratteristici in quasi tutte i futuri lavori di Antonio De Curtis.
Si parte dalla presenza di una spalla di solito contrapposta al comico per stazza, cultura o origine; a differenza però della comicità abituale, che vede la spalla più colta e superba nei confronti di Totò, le posizioni tra i due rimangono quasi simili, e non di rado è il comico a superare la sua spalla in furbizia (vera o apparente).
Tra gli altri punti fermi c'è la presenza di Mario Castellani qui nel ruolo di un cameriere sinistroide. L'attore non abbandonerà De Curtis praticamente quasi mai nel corso della carriera cinematografica.
Last but not least in ogni storia interpretata dall'attore napoletano non mancano mai le donne divise in due categorie: la fanciulla ingenua che vive una storia d'amore spesso contrastata ma con inevitabile lieto fine e la "maliarda". Qui le due tipologie sono rappresentate da due presenze fisse in altri film di Totò, la candida Isa Barzizza e la femme fatale Franca Marzi.
Gli ingredienti per confezionare un buon prodotto ci sono tutti e infatti dopo sessant'anni ci si ritrova ancora a godersi il risultato e a parlarne.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 23/04/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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