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"Nuove" tecnologie si sono insinuate nel mercato cinematografico in questi ultimi anni, quelle per le quali metti l'occhialetto e godi (?) di un'esperienza sensoriale. Era logico pensare che ciò desse il via a una serie di scuse per rifacimenti più o meno (soprattutto meno) illuminati.
Non poteva rimanere fuori dal coro la rivisitazione cosiddetta "moderna" delle avventure di Mr. Gulliver, dal romanzo di Jonathan Swift.
Scordiamoci il fascino delle creature fantastiche di Ray Harryhausen o gli incanti delle versioni di Méliès, Fleischer, e Hunt (quest'ultima senza troppi estri), e rinunciamo a qualsiasi volontà di critica politica o sociale.
Il Gulliver à la mode ha una cotta per la capo redattrice viaggi del quotidiano di New York dove lavora, preferisce esibirsi da solo a Guitar Hero, bere birra e giocare a biliardo piuttosto che cercare il coraggio per invitare a cena la collega. E, soprattutto, un pivellino appena arrivato lo sopravanza nella conduzione dell'ufficio poste.
Con pochi preamboli, una finta promessa lo costringerà a prendere una barca e stare in mare per tre settimane, alla ricerca dei segreti del Triangolo delle Bermuda. Durante la spedizione il suo peschereccio viene inghiottito da un misterioso turbine facendolo approdare sull'isola di Lilliput, letterariamente famosa per essere popolata da esseri umani microscopici.
L'uomo, fino a qui di statura medio/bassa, diventa così un gigante; viene incarcerato, usato come schiavo per arare i campi, salva la principessa Mary (l'Emily Blunt de "Il diavolo veste Prada") da un rapimento e il padre di lei da un incendio. Ed è un peccato perché i personaggi sono piuttosto pietosi e privi di brio nella loro monodimensionalità.
La Bestia invece, come viene chiamata dai lillipuziani, mostra il sedere e fa pipì di fronte a tutti, trovando realmente una sua… dimensione.
Non si possono negare a Jack Black abilità interpretative comiche prorompenti, e in questo caso anche un po' villane e insensate, eppure rimangono valide solo se considerate dal punto di vista mimico, grazie alla sua impagabile e mascalzona goffaggine. Imbarazzo che sparisce quando si ritrova ad affrontare, e sconfiggere, l'armata nemica dei lillipuziani, quella dei berlusc… cioè, quella dei blefuscudiani (scusate, ma tra dinamici nanerottoli che tirano su città dal giorno alla notte, si ci può anche confondere).
Tra sciocchezzuole e pantomime di "Guerre stellari" e "Titanic", la narrazione procede in modo alquanto stiracchiato. A Gulliver reloaded non rimane altro che interpretare una specie di Cyrano de Bergerac che suggerisce le strofe delle canzoni di Prince e assistere ai problemi di cuore della principessa, divisa tra i corteggiamenti cronometrati del generale Edoardo e le gesta incerte ma genuine di Horatio.
Non che ci aspettassimo molto di più dal regista Rob Letterman, quello dello scialbo "Mostri contro alieni", il quale si conferma un altro tirocinante al servizio di progetti essiccati in cerca di linfa monetaria.
Da premiare come asinata dell'anno la scelta della direzione del doppiaggio italiano di far parlare alcuni lillipuziani con l'accento emiliano; abbiamo cercato di capirne il motivo ma, rischiando il mal di testa, abbiamo rinunciato.
L'ultima parte ambientata sulla terra dei giganti, che vede il Vostro (noi non lo vogliamo) agghindato come una bambola e il suo celere ritorno sull'isola per combattere contro un Transformer, è uno scopiazzamento dell'animo del personaggio già messo in mostra in modo magistrale in "School of rock" e giunge malinconico e immotivato; tira via verso la conclusione senza un'emozione che sia una, si fa persino fatica a reggere l'ora e mezza scarsa di durata.
La Mecca del Cinema continua ad abbattere le favole della nostra infanzia. Tuttavia, come sappiamo, "l'orrore ha un volto, e bisogna essere amici dell'orrore".
Citazione troppo alta per un film così lillipuziano?
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Recensione a cura di pompiere - aggiornata al 09/02/2011 14.56.00
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