Recensione il bosco 1 regia di Andrea Marfori Italia 1988
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Recensione il bosco 1 (1988)

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locandina del film IL BOSCO 1

Immagine tratta dal film IL BOSCO 1

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"Fuori di casa… ti aspettano le radici della paura"
tag-line del film

Molti cinefili disprezzano, ignorano o semplicemente non danno peso al lato oscuro del Cinema, offuscati dalla brillantezza e perfezione delle opere d'autore e dalla quasi fastidiosa superiorità su tutti i fronti dei classici.
E' un fatto però che un'altra buona parte, da almeno una ventina di anni, sta ritenendo degno di nota e di attenzione il fenomeno del cinema di serie B, o trash, se vogliamo essere british, produzioni a bassissimo costo, quasi sempre indipendenti, con attori non professionisti (anche se talvolta ritroviamo inspiegabilmente coinvolti in questi film nomi importanti) e soluzioni artigianali.
Un assaggio di simili "sperimentazioni" a basso costo si ebbe nei 50s con Edward Wood Junior, considerato a ragione un trash maker ante litteram, ma il fatto che la critica ufficiale lo abbia catalogato come il peggior regista di tutti i tempi può dare un'idea della considerazione che si dava allora a quell'innovativo modo di esprimersi.

Il perché questo tipo di cinema stia oggi esercitando un certo fascino sugli appassionati e sia diventato un vero e proprio caso, può essere di vario genere: innanzitutto l'arte di fare cinema è sempre stata un po' elitaria, forse la più inaccessibile ai più per via dei dispendiosi mezzi che richiede, a differenza della letteratura e della musica (pressoché tutti possono scrivere un libro, anche di infimo livello, ormai lo fanno anche i calciatori), e ciò è una sorta di paradosso dato che è lo stesso cinema l'arte più facilmente fruibile dalla massa; con la progressiva commercializzazione e diffusioni degli strumenti base per fare del cinema però – il che vuol dire anche una significativa riduzione dei costi - la linea divisoria tra regista e spettatore si è radicalmente assottigliata e vedere un prodotto trash può essere "gratificante" nel senso che, cinematograficamente parlando, lo spettatore ha la stessa cultura (il più delle volte nulla) dell'esecutore, se non maggiore.
E' come se vedessimo il film che ciascuno di noi avrebbe potuto realizzare; ancora, si può nobilitare il discorso prendendo atto della sempre maggiore attrazione che il brutto esercita sul fruitore, a cominciare probabilmente dalla rivoluzione culturale attuata dai dadaisti che sconvolsero il modo di fare arte e il ruolo dell'artista.
Naturalmente la genesi di quest'opera che ci accingiamo a descrivere (e delle sue equivalenti) ha tutt'altre velleità di quelle che poteva avere il cesso ribaltato di Duchamp, e resta ancora irrisolto il dilemma sull'intenzionalità o meno di certi impeccabili aborti cinematografici; tuttavia si può interpretare così l'innegabile aura di interesse che questi emanano, così brutti, così imperfetti, così insensati che sembrano avvicinarsi molto più a noi di quanto non facciano le eburnee produzioni della vera industria cinematografica.
Il kitsch che invade l'arte e diventa esso stesso arte.

Infine, invece di ricercare improbabili processi di causa-effetto che solo la bizantina mente di uno storico potrebbe concepire, si può più semplicemente concludere che questi film ci fanno ridere, involontariamente, com'è giusto che sia, per la loro stupidità, a volte proprio demenza e la loro deficienza in ogni campo che interessi un'opera cinematografica: sceneggiatura, regia, recitazione, montaggio, trucco ed eventualmente effetti speciali.

"Il bosco 1", ridicolo titolo italiano che sottintende un seguito mai girato, è la traduzione dell'altrettanto ridicolo titolo originale "Evil Clutch" (Stretta malefica, o qualcosa del genere), in evidente assonanza con l' "Evil Dead" di Raimi – "La casa", per intenderci - altra produzione indipendente di soli 7 anni prima ma diretta da un regista tutt'altro che incompetente, alla quale questo film chiaramente si "ispira".
Generalmente si colloca "Il bosco 1" all'interno di una ideale trilogia di trash italiani, che raccoglie i sommi capostipiti del genere: gli altri due sono "La croce dalle sette pietre" e "Paganini horror".

La storia comincia con un rapido antefatto nel quale, in una baracca abbandonata, una strega trancia il sesso di un avventore durante il coito.
Ci spostiamo però subito dai nostri protagonisti, Cindy e Tony, due giovani innamorati in vacanza su delle Alpi che somigliano più a innocue colline: uno dei posti meno romantici della Terra.
La loro scampagnata viene interrotta da due misteriosi incontri: una donna (la strega di prima) visibilmente scossa a causa di una strana presenza nel cimitero e lo scrittore, in camice bianco e occhialoni da aviatore, mutilato alle corde vocali e costretto a parlare tramite un aggeggio che dovrebbe donargli, secondo le intenzioni, una voce tetra.
Quest'ultimo, scritto e disegnato con una perizia unica, introduce i due ignari protagonisti nel mondo dell'orrore, tramite racconti macabri, storie sui Cimbri ed avvertimenti urlati, tipo: "Siete sicuri di essere così lontani dall'orrore?" o "Non sarai capace di evitare la Morte Maligna". Ma soprattutto è destinato a consegnare agli annali il più folle e delirante scambio di battute che mai si sia udito, comprendente uno sproloquio sulle apparenze ingannevoli, una brillante similitudine sulla pesca e culminante nella domanda di Tony: "Vuol dire che qui c'è il divieto di pesca?".

Nonostante i cattivi presagi, i due impavidi avventurieri continuano la gita, ma l'incursione nel bosco non sembra essere molto fortunata: la caduta improvvisa di un ramo è la più orrorifica minaccia che il "maledetto" gruppetto di alberi alpini riserva.
La ricomparsa della strega offre ai due la possibilità di alloggiare al chiuso, precisamente nella baracca dov'era avvenuto il misfatto iniziale; è qui che si scatena un'ubriacante successione di spaventosi eventi: la strega tenta di sedurre Tony, poi lo droga, una pietra con misteriose scritte prende miracolosamente fuoco, subentra uno zombie, definito ufficialmente il mostro più deficiente della storia dell'horror - che è anche il sesto e ultimo attore del film - e, per concludere, Tony va fuori di senno, anche se le sue insensate uscite non hanno nulla da invidiare a quelle che produceva quando era ancora sano.

I colpi di scena e i cambi di fronte ci portano, in un ritmo frenetico e in pochissimo tempo, al finale: lo scrittore interviene a dar manforte, ma soccombe di fronte al terribile arto prensile uscente dalla vagina di quella che si scopre essere sua figlia; Tony se la fa con la strega, ma di tanto in tanto rinviene; lo zombie di fango attacca e mena fendenti, ma è evidente che non sappia come uccidere un uomo; Cindy ci mette del suo per trovarsi in vicoli ciechi per poi, come da tradizione, correre via dal mostro di turno (nel nostro caso, naturalmente, è sempre il solito zombie, ora armato di falce); il Sole, vero mattatore di questa bellum omnia contra omnes hobbesiana, risolve col potere dei suoi raggi ogni disputa a favore del bene, rivelandosi un deus ex machina da teatro greco. La superstite Cindy può così correre verso la salvezza e, una volta allo scoperto dalla malefica macchia, ringraziare il Dio della luce.

Da segnalare parecchie cose in una pellicola di poco più di un'ora e dieci:

- Anzitutto la già evidenziata pretesa di richiamarsi al cult di Raimi, non solo tramite un'assonanza di titolo, ma anche con un uso spropositato della steadycam e di piani-sequenza su soggetti in corsa (che si tratti di auto o di donne che scappano) e attraverso linee base nella millantata trama – la casa stregata, i simboli malefici, satanismo, il gruppo di ragazzi – le quasi costituiscono, purtroppo, lo scheletro del 90% dei prodotti dell'orrore.

- La totale incoerenza delle intenzioni, ammesso che vi fossero, che sembra essere una costante dei trash dovuta probabilmente al fatto che le idee sono tante (e confuse) e i mezzi per attuarle pochi: il titolo italiano parla di un bosco, ma non si capisce se è la casa o il paese ad essere stregato, perché appare chiaro che il bosco non ha nulla che non va; i mostri chiamati in causa sono una strega mutante, uno zombie che ha il gene di un vampiro (dato che viene sconfitto dalla gibigianna dell'onnipresente specchietto) e una presenza disincarnata, ma non è dato sapere quali relazione essi abbiano tra loro né con i Cimbri, il satanismo e i simboli sulla pietra.

- Gli attori, sei in tutto, si muovono sul set con fare indeciso, non sapendo se ciò che stanno facendo sia la cosa giusta da fare, regalando per giunta alcune tra le interpretazioni più ridicole di tutti i tempi che, unite con una sceneggiatura del tutto fuori di testa, sono garanzia di comico.

- I titoli di testa, che rappresentano la prima di una lunga serie di perle: una sequenza di foto della coppia durante il viaggio a Venezia che li ha fatti incontrare, commentate dal fintissimo accento straniero della protagonista (una delle maggiori peculiarità del film), alternata ai nomi degli sfortunati attori e tecnici (?) che prendono parte alla faccenda, tanto somiglianti alle storpiature stile Maccio Capatonda.

- Trucco, costumi ed effetti speciali sono meritevoli di una menzione a parte, acquistati molto verosimilmente il giorno prima dalla troupe in una qualsiasi cartoleria. La testa decapitata di Tony, per niente somigliante a quella di quando ancora era attaccata al corpo, è una chicca e l'abbigliamento scelto per lo scrittore e per Cindy ha già dell'epico.

- Il doppiaggio di Cindy, anche questo degno di essere citato per conto proprio, realizzato in una sorta di forma primitiva di esperanto, dato il sapiente dosaggio di parole da due differenti lingue ("Oh shit, è finita la benzina" et similia).

- L'incosciente e sproporzionato uso che si fa del tempo: decine di minuti persi ad indugiare sulla Jeep che scala il sentiero, quasi fosse una blasfema citazione a "Shining", ma poco più di venti per l'intreccio centrale, iniziato proseguito e concluso in una confusione generale.

- Dulcis in fundo il retro copertina del vhs (ebbene si, esiste!) che parla di un film "ricco di colpi di scena e straordinario negli effetti speciali", nonché di Marfori come l'erede diretto di Frankenstein e Dario Argento.

Scherzi a parte, gli appunti da fare sarebbero ancora tanti, ma non rendono affatto quanto la visione di un simile esempio di bruttura e stupidità umana tradotto su pellicola. Ci domandiamo tutti se certa gente ci creda davvero o voglia semplicemente complicarsi la vita.La risposta, forse, è che invece vogliano renderla più rosea ad altri.
Il film è invotabile, per il fatto che in un trash la bruttezza dovrebbe essere un fattore positivo e dunque la scala si ribalterebbe.
Poiché però il voto alto lo comparerebbe a prodotti di tutt'altro genere è meglio tener conto di quanto abbiamo effettivamente visto e avere un po' di pietà.
In una scala di votazione di soli trash però, l'inevitabile valutazione sarebbe un 10 pieno.

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Recensione a cura di julian - aggiornata al 27/05/2010

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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