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Il più introspettivo e, certamente, il più drammatico dei tre. Gli intrighi mafiosi, gli agguati e le sparatorie, pur presenti, fanno ora da sfondo al motivo, sempre più dominante, dell'invecchiamento fisico e mentale di Don Michael Corleone. Come l'ultimo Vito Corleone, l'ormai rugoso "Padrino" non sembra più in grado di sostenere il peso del suo impero criminale: diventa più prudente, esitante. Indebolisce progressivamente la sua immagine di lucidissimo capo mafioso, sostituendola con quella di un uomo stanco, fiaccato.
Non a caso, il film inizia con la voce di Al Pacino che ci legge il contenuto di una lettera emozionata scritta da Michael ai figli, Anthony e Mary, avuti da Kay. Figli che, cresciuti lontano dal padre, sono stati educati dalla madre, a sua volta risposatasi. La voce di Michael, nel leggere poche e sentite righe, è cupa e addolorata: segno che i suoi dolori di uomo iniziano ad emergere prepotenti, soffocati nello sfarzo e nell'allegria di una grottesca cerimonia che festeggia il conferimento a Don Michael Corleone di una... onorificenza papale!
Ebbene sì, un titolo di grande prestigio ecclesiastico, assegnato al Padrino per la sua decisione di devolvere parte consistente del "patrimonio" di famiglia in beneficenza!
Ancora una volta, come accadeva ne "Il Padrino I", si ripropone (e stavolta in modo pacchiano) l'improbabile accostamento fra mafia e religione. Improbabile dal punto di vista spirituale, ma non da quello utilitaristico.
L'azione e l'intreccio narrativo, ne "Il Padrino III", sono affidati soprattutto alla figura emergente di Vincent Mancini (Andy Garcia), figlio di Sonny Corleone che del padre ha ereditato il caratteraccio e la risolutezza. Violento a sbrigativo, si scontra più volte con lo zio Michael, ormai saggio e navigato.
Quanto alle collusioni mafia-religione, l'acquisizione da parte di Michael dell'Internazionale Immobiliare e gli accordi con il Vaticano riportano alla mente i sospetti che accompagnarono la morte di Papa Giovanni Paolo I (omicidio premeditato secondo Coppola) e gli scandali legati alla gestione delle finanze da parte della Banca Vaticana.
Dunque, il regista mira non solo alla sottolineatura emotiva della bizzarra religiosità di un capo mafioso (cerimonia di conferimento a Michael dell'onorificenza papale), ma anche alla rappresentazione concreta, scioccante della connivenza mafia-Vaticano. Chiave interpretativa o memoria storica?
Infine, ne "Il Padrino" più psicologico e più impregnato di umanità non potevano mancare i motivi sentimentali: il rapporto fra Michael e Kay, dopo otto anni di lontananza, sembra in alcuni momenti perfino sul punto di ricucirsi, grazie alla dolcezza di fondo del vecchio Michael (ulteriore dimostrazione della sua natura complessa e nient'affatto univoca). L'amore sofferto e impossibile che sboccia fra Vincent, un Andy Garcia un po' macchiettistico e tendente-al-donnaiolo, e la cugina Mary Corleone (una sensuale Sofia Coppola) sembra invece il preludio al tragico, epico finale della saga.
Ed è proprio nel finale, ambientato non a caso in Sicilia, al Teatro Massimo di Palermo, che Coppola sfodera i suoi colpi migliori. Dopo una storia contaminata dai tormenti psicologici di Michael Corleone, dalle sue tentazioni di pentimento e dai suoi malanni anche fisici, si assiste alla degna conclusione di una trilogia che si scioglie nel melodramma. Dopo le ultime vicende dei Corleone, vissute costantemente sul filo della memoria di un passato familiare imbevuto di agrodolci ricordi, ci si ritrova tutti, Kay compresa, al Teatro Massimo di Palermo, all'appuntamento con il destino. E là non vi sarà traccia di misericordia per nessuno, e le colpe anziane dei genitori ricadranno su di essi e pure sui loro figli, vittime di una legge del contrappasso perfino crudele. Crudele anche se pensiamo che colpisce personaggi con la coscienza intrisa del sangue dei tanti morti cui hanno scolpito la lapide.
Ancora una volta, nella poetica coppoliana, musica e splendore e religiosità (la scena in cui entra, sul palcoscenico del teatro, il Cristo in croce) vanno alternativamente a braccetto, nel montaggio della immagini, con gli omicidi mafiosi, commissionati stavolta da Vincent Mancini-Corleone, che non risparmiano neppure le alte sfere vaticane. E le note solenni, passionali de "La Cavalleria Rusticana" di Mascagni, alternandosi a contrappunti musicali carichi di suspense, esaltano la crudezza delle uccisioni che avvengono sia all'interno che all'esterno del teatro, durante lo spettacolo. Geniale, poi, l'idea di Coppola di alternare, nel montaggio, determinati momenti dello spettacolo teatrale alle esecuzioni che si compiono lontano dal teatro, accostando simbolicamente finzione e realtà: subito dopo aver assistito alla morte del Papa per avvelenamento, veniamo proiettati nello spettacolo, proprio nel punto in cui viene steso un velo nero sul Cristo morto. Ancora, prima vediamo un'attrice che si sistema un grosso scialle nero (!) sulla testa e sulle spalle, e poi Coppola stacca sull'immagine del "banchiere di Dio" Keinsig assassinato e impiccato sotto un ponte e sul cadavere del boss Lucchesi, morto stecchito dopo essere stato infilzato in gola con i suoi stessi occhiali.
All'uscita dal teatro, il terribile epilogo: l'urlo lacerante di Michael Corleone (e qui Al Pacino supera sé stesso, giungendo perfino a rievocare "L'Urlo" di Munch) è il lamento estremo di un uomo che ha perso tutto. Tutto...
"E così Michael Corleone venne punito, pagò in un solo momento il conto di tutta quella feroce determinazione che lo aveva guidato soprattutto in gioventù", è il commento di Francis Ford Coppola.
Dovevano uccidere lui, ma centrarono sua figlia, Mary Corleone. "Voi, voi siete il mio tesoro", aveva scritto Michael sulla lettera spedita
ai figli Anthony e Mary.
La morte di Michael, vecchio, solo e derelitto, si consuma in un cortile siciliano spoglio e silenzioso. Seduto su una sedia malsicura, è forse la sua mente a far cedere definitivamente il suo cuore, proiettandogli i ricordi delle tre donne più importanti della sua vita (bellissimi e toccanti i flashback in sequenza delle danze con la figlia Mary, con la giovane sposa siciliana Apollonia e con il suo fiore più tenero, Kay).
Cosa è rimasto, della vita di Michael Corleone? Niente, in fondo: ciò che avrebbe potuto vivere è andato sprecato, sacrificato sull'altare di un impero del crimine certamente redditizio ma, come gli ripeteva Kay, "sostenuto da una sola ragione: quella dell'omicidio".
Il finale de "Il Padrino III" è talmente malinconico da farci provare tenerezza per Michael, ed è proprio questo l'effetto che Coppola intendeva ottenere. Nelle discussioni con Mario Puzo, che vertevano spessissimo sulla personalità sfumata e lievemente contraddittoria di Michael Corleone, Coppola sosteneva che Michael, accecato dalla furia per l'agguato al padre Vito, fosse ricorso all'omicidio troppo presto.
Piegando, forse, la sua natura in realtà responsabile e riflessiva, e plasmandola a "misura di Corleone"...
Tuttavia, Michael era stato libero di scegliere: rimanere lontano dai traffici della famiglia o decidersi a prenderne parte. Dopo l'omicidio di Sollozzo ("Il Padrino I") la sua mano si era già abituata a risolvere con le armi le situazioni ad alto rischio.
Molti sostengono che "Il Padrino III" non sia nient'altro che un pomposo, patetico melodramma del quale avremmo potuto fare tranquillamente a meno. Ma questo film, spettacolare conclusione (almeno provvisoria) della saga, rappresenta l'inesorabile disfacimento della figura di Michael Corleone, ritratto nella sua veste più umanamente fragile. Ci suggerisce le (numerose) analogie fra il declino di Michael e quello del padre Vito. Inoltre, come abbiamo visto, presenta ancora una volta delle gemme di tecnica cinematografica che dovrebbero stuzzicare il palato perfino dei (presunti) fini intenditori.
"Il Padrino III" sarà pure un melodramma, ma un melodramma di primissima categoria: riesce ad avvincere (cosa combinerà Vincent Mancini? Come andrà a finire la sua storia con la figlia dello zio, Mary? Come sistemeranno i Corleone l'affare-Vaticano?) e a toccare profondamente. Commuove, colpisce per la "violenza" con la quale mostra il dolore in particolare di Michael, già psicologicamente provato e infine stroncato dalla morte della figlia.
Si pensa a un quarto episodio, dice Francis Ford Coppola, che veda alternarsi le storie di due grossi protagonisti: il nuovo Padrino dopo la morte di Michael, cioè Vincent Mancini, e suo padre Sonny. Internet ci informa oggi che il quarto capitolo dell'epopea-Corleone starebbe per nascere, che la troupe sarebbe pronta a iniziare le riprese.
Ora, la domanda è questa: schiacciato dal peso di un'eredità ultratrentennale (nel 1972 uscì nelle sale il primo episodio, nel 1974 il secondo, nel 1990 il terzo) riuscirà "Il Padrino IV" a ricreare le stesse atmosfere fosche, ovattate, inquietanti che costituivano una delle cifre distintive dei suoi predecessori? Riuscirà a raccontare, per la quarta volta, la realtà mafiosa con fantasia e originalità? Potrà vantare un cast degno della trilogia più affascinante della storia del cinema?
Ad ogni modo, sarà la realizzazione di un desiderio del defunto Mario Puzo, che la quarta puntata aveva già iniziato a scriverla insieme a Coppola.
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Recensione a cura di Matteo Bordiga - aggiornata al 06/12/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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