Recensione la duchessa regia di Saul Dibb Gran Bretagna 2008
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Recensione la duchessa (2008)

Voto Visitatori:   6,38 / 10 (56 voti)6,38Grafico
Migliori costumi
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
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locandina del film LA DUCHESSA

Immagine tratta dal film LA DUCHESSA

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Immagine tratta dal film LA DUCHESSA

Immagine tratta dal film LA DUCHESSA
 

La bieca operazione di marketing che nei teaser trailer ricordava a tutti che Georgiana Spencer, protagonista del film "La Duchessa", è un'antenata della povera Lady Diana Spencer e che come lei ebbe una breve e infelice vita che affrontò con coraggio, getta una sinistra luce sui reali scopi di questo mediocre film di Saul Dibb.

Il film si apre su uno degli ultimi lieti momenti di G., al secolo Georgiana Spencer (Keira Knightley), prima del suo matrimonio, combinato, alla fine del diciottesimo secolo, con il Duca del Devonshire (Ralph Fiennes). Il Duca, in là con gli anni, esige un erede maschio, che Georgiana, sfortunatamente, non sembra in grado di dargli. Il sogno romantico di Georgiana si spezza molto presto, tra domestiche seminude che escono dalla stanza del Duca e un doloroso gelo da parte del coniuge che sbocca presto in un malcelato risentimento per la mancata ottemperanza all'unico dovere alla quale G. era stata chiamata.
Parallelamente, il fascino e la personalità di Georgiana cominciano a diventare il punto di riferimento per l'alta società inglese, stregata dalla Duchessa triste. Georgiana detta legge in fatto di moda e di gusto, non rinunciando ad un attivo interesse nella vita politica della nazione.
L'unica amica che Georgiana trova, Lady Elizabeth Foster (Hayley Atwell), attira le attenzioni del Duca per la sua capacità di sfornare figli maschi, mentre Georgiana ritrova in Charles Gray (Dominic Cooper), aspirante Primo Ministro, l'amore giovanile e la passione che le sembravano definitivamente negate. Ma i tempi non sono maturi per una donna che vuole seguire il proprio cuore a discapito dell'etichetta e della morale vigente, ed nel destino della Duchessa non sembra esserci posto per la felicità.

Anche i ricchi piangono. Difficile pensare che davvero oggi si possa ancora far passare attraverso un film un messaggio di questo genere, una metafora sulla condizione della donna nella società contemporanea divisa tra il ruolo sociale, quello di madre e quello di moglie, ancora imbrigliata in un sistema di valori che la vede relagata inposizione subordinata a quella dell'uomo. Ci sono decine di altre pellicole, o libri, che affrontano l'argomento senza dover tornare al diciottesimo secolo e senza dover prendere a prestito la vita di una Duchessa, che per quanto triste e sventurata, se la passava certamente meglio di quasi tutta la sua nazione, famiglia reale esclusa, forse.
Un vuoto esercizio di stile destinato a ricevere premi e complimenti per il lavoro sulla fotografia e sui costumi, questo è La Duchessa. È difficile però rallegrarsi della cura nei dettagli se il film non ha anima e non ha corpo.

Purtroppo la sensazione disturbante che il gancio della parentela tra Lady G. e Lady D. sia l'unica molla che ha spinto i realizzatori e che spingerà molti degli spettatori a vedere "La Duchessa" rimane per tutto l'arco del film ed anche dopo la visione, dato che una Keira monoespressiva e sottotono non riesce a dare vita ad un personaggio tutto sommato atipico e interessante, mentre Dominic Cooper e Hayley Atwell risultano più incisivi, forse aiutati dai rispettivi ruoli, che sono certamente i più interessanti. A Ralph Fiennes basta una sola espressione glaciale per tratteggiare un Duca odioso, eppure umano, calato nei suoi tempi e incapace per questo di rendere felice G.
Il punto è che nel settecento la felicità non era né un presupposto né un traguardo per un matrimonio, almeno tra nobili, e lo stesso vale per l'amore, pertanto la vita di Georgiana almeno sotto quest'aspetto non è di particolare rilevanza, soprattutto considerando che Lady Cavendish Duchessa del Devonshire si distinse tra le sue pari per altri motivi, che però vengono utilizzati nel film solo come contraltare per le ingiustizie patite nella vita privata.

Saul Dibb costruisce un freddo e scontato ritratto, l'ennesimo polpettone in costume di cui non si sentiva la necessità, pronto per essere trasmesso a ripetizione in televisione di lunedì sera.
Spiace stroncare senza mezzi termini un prodotto almeno tecnicamente valido, ma oggi è lecito chiedere e ricevere ben altro dal cinema, persino dal cinema che vuole emozionare facilmente o raccontare biografie anacronistiche di nobildonne infelici.

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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 29/01/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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