Voto Visitatori: | 5,96 / 10 (14 voti) | Grafico | |
Zhang Yuan, regista cinese, scomodo perché solito dedicarsi a temi poco felici per il regime, dopo aver esplorato i turbamenti adolescenziali con "Diciassette anni", affronta una fascia d'età poco trattata dal cinema anche perché decisamente poco gestibile, vale a dire la prima infanzia.
Il film è ambientato per tutta la sua durata (ben un'ora e mezza!) in un asilo a tempo pieno e ci mostra attimo per attimo la vita dei piccoli convittori. Gestire più di cento bambini quando si è solo in quattro non è facile ed è qui che entrano in campo le varie letture della storia: è indispensabile il pugno di ferro, l'organizzazione ferrea e soprattutto la disciplina.
Ecco che l'asilo diventa quindi la parafrasi della grande Cina, un po' squallida e senza fantasia, con cittadini a volte curiosi ma ingenui come bambini, che necessitano di essere presi per mano e condotti verso la retta via da quell'oligarchia che conosce il bene e il male, pronta a dare una tremenda punizione o un piccolo premio a seconda del comportamento di ognuno dei suoi "protetti".
Il piccolo protagonista che irrompe nel tranquillo tran tran della scuola rifiutando di obbedire, opponendo una vivace resistenza alle regole è quindi il simbolo della rivolta, della rivoluzione, fautore di anarchia o portatore di libertà ,democrazia e fantasia a seconda delle chiavi di lettura.
Quindi la sua nudità esibita senza grossi problemi dal regista indica la trasgressione, il bisogno di mantenere il proprio "io" soli contro tutto e tutti.
Gli adulti appaiono ingigantiti, secondo una prospettiva a misura di bambino: le facce ravvicinate nei primissimi piani, sono trasfigurate come le streghe di Goya e la maestra sembra trasformarsi man mano che nella mente del piccolo diventa cattiva e addirittura si fa mostro "mangiabambini", piccola vittoria del singolo sul "sistema" attuare una rivolta ai danni della guida del popolo alias l'insegnante.
Le idee e la relativa lettura sono evidenti e sicuramente lodevoli, resta il fatto però che il film si snoda per tutta la sua lunghezza senza il sufficiente pathos che uno spettatore occidentale si aspetterebbe.
Un documentario sulla vita degli infanti cinesi ai tempi della rivoluzione culturale sicuramente potrebbe avere maggiore attrattiva su certe platee, ma trattandosi di un film e quindi di una storia, di sicuro la troppa staticità usata e abusata nella cinematografia orientale finisce col venire a noia.
Per di più, certe scene i cui i bimbi si esibiscono in costume adamitico o comunque in vesti succinte, che nell'intento di Yuan vorrebbero solo mostrare l' ingenuità infantile a tratti amorale (amorale = chi non conosce la morale perché non sa distinguere il bene e il male), nella nostra cultura forse castrata da troppi pregiudizi e sovrastrutture diventano imbarazzanti e fastidiose.
Da una parte così si può essere d'accordo con i consensi dati al regista cinese dalla critica colta ma dall'altra si condivide il giudizio poco favorevole attribuitogli dal pubblico occidentale forse inadeguato o forse (sicuramente) ideologicamente poco coinvolto.
Commenta la recensione di LA GUERRA DEI FIORI ROSSI sul forum
Condividi recensione su Facebook
Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 08/05/2007
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
Ordine elenco: Data Media voti Commenti Alfabetico
in sala
archivio