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Il film di Mel Gibson è decisamente un film per arrivare ai grandi numeri.
Oggi i linguaggi che colpiscono molto le masse sono improntati su immagini o di sesso o di violenza. Sul sesso già aveva detto Scorsese con la sua "Passione" (e forse "peucezia" con la sua recensione, magari ci dirà qualcosa sulle altre rappresentazioni filmiche del Gesù).
Il film di Gibson affronta la seconda ipotesi, quella della violenza, ma non esce fuori con un bel film. Con tutto l'immenso rispetto che ho per la figura di Gesù e il messaggio potente che ci ha portato.
Facendo un raffronto, il precedente film di Gibson alla regia (Bravehart) era decisamente migliore.
Credo che in The Passion ci si è attenuti fedelmente alla cruenza degli avvenimenti, più che nel film ambientato in Scozia: in Bravehart, tutta la scena della tortura è sapientemente fatta immaginare nei
punti più duri (nella realtà Wallace fu pure castrato).
In The Passion non si immagina: si vede. Come richiede il grande pubblico.
Ma nel cinema questo non funziona sempre, a mio avviso.
Non posso narrare l'intero processo a Galileo in presa diretta: sarebbe da sbadiglio per lo spettatore. E secondo me artisticamente lo è anche The Passion: scontato, manca di tempi di rilassamento, di alti e bassi narrativi. Se c'è una cosa scontata per rendere drammatica una scena è l'uso di rallenty: in The Passion, se ne fa abbonda a dismisura, dall'arresto nell'orto dei Getsemani, ai chiodi della croce. Dove è
l'inventiva?
Scadente seminare in qua e il là dei mostrini da film dell'orrore di serie B.
Appare un film tutto "in salita", un costante "colpire allo stomaco", che non da tregua allo spettatore per riprendere fiato nella narrazione.
Per fare un esempio fuori dal contesto cinematografico, se nel parlare ad una persona in verità urlo, sicuramente avrò massima attenzione dell'ascoltatore, quasi spaventato inizialmente dal mio urlare, ma poi anche la sua attenzione calerà: l'urlo diventerà una cosa quasi normale, e forse dovrei iniziare a bisbigliare per "ricatturarlo".
Il film di Gibson è un film quasi tutto "urlato". Terminate le scene iniziali dell'orto dei Getsemani, secondo me le più interessanti, per l'atmosfera della luce e le musiche in sottofondo, si inizia con il regista un percorso a senso unico, che fa risultare il film più come la passione di Rambo, che la passione di Gesù.
Esagerato, ma non scioccante come immaginavo (in giro ci sono film sicuramente più sanguinolenti).
Non bastano i brevi flashback (altra cosa da salvare, per l'ottimo lavoro fatto dal direttore della fotografia, che ha ricostruito illuminazioni alla Caravaccio), di Gesù giovane che scherza con Maria (scena molto delicata), dell'ultima cena, l'episodio della lapidazione, per far riprendere fiato e ri-intrigare lo spettatore nella narrazione.
Come ho detto in apertura è un film da grandi numeri e dal grande business. Pure a Matera si "fregano le mani". Hanno già organizzato gite turistiche sui luoghi del set: www.sassiweb.it
Un film che per alcuni si può anche non vedere, ma che comunque trovo utile per il grande pubblico, esclusivamente perchè ripropone un messaggio attuale e potente, in una società come la nostra che ha difficoltà ad abbandonarsi al mistero e all'immaginazione (e per leggere la Bibbia ci vuole anche quella credo).
Il mistero oggi giorno è credibile solo se ci sono le immagini: Gibson ne offre in gran quantità.
Nessuna critica sul linguaggio degli attori, che recitano in latino e aramaico: sono anzi interessanti e non si fatica a seguire il film.
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Recensione a cura di fromlucca - aggiornata al 27/05/2004
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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