Voto Visitatori: | 7,78 / 10 (16 voti) | Grafico | |
Scorrendo le cronache di questi ultimi tempi, si resta veramente stupiti dallo spropositato numero di donne vittime di violenza perpetrata da uomini. Molte di queste vittime riportano lesioni gravissime, qualcuna viene uccisa, le altre subiscono violenze di tipo persecutorio da cui ne escono in genere segnate nel corpo e nell'animo.
In genere le cronache e le convinzioni popolari tendono ad applicare agli omicidi di donne lo schema del delitto passionale, commesso magari durante un raptus o sotto la spinta di una temporanea follia assassina.
Questo modo di ragionare perpetua di solito due gravi malintesi: che siano delitti normalmente inevitabili, in quanto difficili da prevedere, oppure che si tratti di tragedie familiari e perciò appartenenti alla sfera privata, slegati da ogni contesto sociale più ampio e non privo di responsabilità.
Scorrendo i dati dell'OMS si legge che una donna su cinque ha subito, durante la propria vita, abusi fisici o sessuali da parte di un uomo. Bisogna quindi pensare che siano tutti pazzi o tutti mostri?
E' difficile credere che una specie di patologia individuale possa spiegare tutto, come pure non sarebbe giusto fingere che non sia successo nulla, minimizzare o negare di esserne permeati. Ragionando sulla violenza nelle relazioni famigliari, sul numero di amori finiti nel sangue, parrebbe quasi prendere corpo un'ipotesi di epidemia e ne avrebbe infatti tutti i sintomi.
Sembrerebbe proprio una pandemia, quasi una febbre, un contagio che viene da lontano e che colpisce in tutti i climi e a tutte le latitudini. Non ha né tempo né confini e non risparmia nessuna nazione, sia essa industrializzata o in via di sviluppo, in pratica una fragilità del sistema che si nutre di valori condivisi.
Non conosce nemmeno differenze socio-culturali, perchè vittime e aggressori appartengono a tutte le classi sociali e perché, al di là di quello che ci viene mostrato dai media, i rischi maggiori vengono da familiari, mariti, fidanzati o padri che siano, seguiti da amici, vicini di casa e colleghi di lavoro.
Esistono gli allergici alla parità, quelli che proprio non ce la fanno ad avere una donna accanto, in quanto hanno bisogno di averla "sotto". Esistono i nostalgici del silenzio femminile. Quelli che non hanno mai accettato, nel profondo, di non poter più fare il proprio comodo sul corpo delle donne. Quelli che non vogliono capire che no vuol dire no.
D'accordo, quella a cui appartengono questi uomini è una minoranza, una minoranza di umanità maschile residuale, infantile ed egoista, aggrappata al ricordo di un privilegio che è stato dei loro nonni, forse dei loro padri, ma che non esiste più o non dovrebbe più esistere. È una minoranza, d'accordo. Ma questo non rende la situazione meno grave. O meno pericolosa.
Ma cosa c'è dietro gli uomini "cattivi"?
La violenza maschile sulle donne nasce dalla costante identificazione del genere femminile con un particolare ruolo della società. Un ruolo che è stato ribadito più e più volte come vincolante sia dalle istituzioni che dalla chiesa cattolica, che enormi responsabilità ha in merito all'alienazione delle donne nella società!
Nella nostra società, tradizionalmente alla donna vengono assegnati solo due ruoli: quello di "preoccuparsi" delle cure e dell'assistenza dei propri familiari e quello di soddisfare le voglie maschili, consenzienti o meno. Così le donne svolgono compiti che in genere non hanno scelto di svolgere, assumono ruoli imposti dalla cultura dominante maschile e diventano alla fine oggetti del volere altrui e non del proprio.
Di violenza sulle donne e di gelosia ossessiva parla il film "L'inferno", diretto da Claude Chabrol.
Si tratta di un film dove il rapporto amore-gelosia non ha confini, sfuma nell'invisibile, diventa patologico e spinge sulla china del delirio schizofrenico un uomo possessivamente geloso della propria moglie.
Il film ci precipita da subito in una dimensione quasi onirica, perchè non si riesce a capire se ciò che vediamo (e ciò che vede il marito) sia realtà o frutto della mente distorta dell'uomo.
Non sappiamo niente della vita di questa coppia, non sappiamo se l'uomo ha un qualche motivo per dubitare della fedeltà della moglie. Ciò che vediamo è un viaggio senza ritorno, una discesa nell'inferno mentale di un uomo i cui fantasmi dell'immaginario prendono il sopravvento sulla realtà, di un uomo che scambia l'amore per possessione e la donna per trofeo di conquista.
E così l'inferno diventa il percorso di un giovane uomo, Paul, proprietario di un albergo in riva ad un lago sui Pirenei, acquistato a costo di grossi sacrifici economici.
Raggiunto lo scopo della sua vita, Paul si mette alla ricerca di una donna e conquista la "bella del paese": l'esuberante e procace Nelly, che ben presto lo rende padre di un bel bambino.
L'albergo è accogliente e ben frequentato e costringe Paul a sottoporsi ad un lavoro di gestione continuo e stressante, a cui si aggiungono le frequenti bevute in compagnia degli ospiti, che lo rendono nervoso e insonne, tanto che si ritrova costretto a far uso di sonniferi per riuscire a prendere sonno la sera.
Nelly cerca di rendersi utile, aiutandolo nel lavoro e intrattenendo affabilmente gli ospiti. Ma tutto ciò non è visto di buon occhio dal marito, che comincia ad essere preda di attacchi immotivati di gelosia. La donna cerca di sdrammatizzare la situazione, ride della gelosia del marito, crede si tratti di un eccesso di amore, pensa si tratti di normalità. Invece è dalla normalità che si arriva all'ossessione, alla follia. All'inferno.
Si avverte che qui di seguito vengono riportati numerosi dettagli della trama del film.
E così quando un giorno Paul la sorprende insieme a un giovane meccanico a guardare alcune diapositive che li ritraggono mentre praticano lo sci d'acqua, la gelosia esplode in tutta la sua folle virulenza. In Paul scatta un meccanismo che lo porta a vedere in ogni uomo un potenziale rivale pronto a portargli via l'oggetto del suo desiderio.
Comincia così a pedinare la moglie e ogni incontro; ogni piccolo ritardo, non fa che confermare i suoi sospetti, al punto che i fantasmi della sua immaginazione arrivano a prendere il sopravvento sulla realtà. Fa scenate ai clienti, schiaffeggia pubblicamente la giovane moglie, immagina e rivive nei minimi dettagli i suoi convegni amorosi. Ora il presunto rivale diventa il cameriere, sceso con lei in cantina per azionare l'interruttore generale in occasione di un black-out, poi un cliente che ha due bicchieri vuoti nella sua camera. Anche la perdita di un braccialetto suscita le ire di Paul che, esasperato, prima la stupra, poi la segrega in camera sua.
Conscia della "malattia" del marito, la donna si rivolge ad un medico, che decide di far ricoverare l'uomo, fingendo che sia la donna ad avere bisogno di essere ricoverata. Ma quando l'ambulanza arriva all'albergo, vediamo Paul tagliare la gola alla moglie.
Immaginazione o realtà?
Non ci è dato saperlo. Non ci è dato sapere se il marito uccide realmente la moglie o se sia tutto frutto della sua fantasia.
Il finale chiuso con un emblematico "Senza fine" ci fa sospettare che l'uomo non uscirà mai dal labirinto ossessivo in cui si è cacciato. Anche l'ultima frase del protagonista: "Bisogna che rimetta ordine nelle mie idee", non fa che confermare il sospetto.
Sceneggiato e diretto nel 1994 da Claude Chabrol su soggetto di Henri-George Clouzot (il quale già negli anni '60 aveva tentato di ricavarne un film, poi interrotto per problemi sia fisici che mentali del regista e dell'attore protagonista Serge Reggiani), "L'inferno" di Chabrol è un film cupo e visionario come le ossessioni che travagliano la mente del protagonista: un marito possessivo fino all'eccesso che si fa credere normale, un uomo morbosamente geloso che scende a compromessi con la sua dignità, che vive nell'isteria di immaginare, e forse anche desiderare, il tradimento della moglie per poterla umiliare, farle provare vergogna, per poi alla fine legarla indissolubilmente a sé e, finalmente, possederla fisicamente e psicologicamente.
Chabrol non racconta, descrive con lucida freddezza la nascita e lo sviluppo di una malattia.
Ma poi, è veramente solo una malattia? È veramente la storia di un malato? O non è piuttosto la storia di un amore malato, la storia di un uomo che non sa amare? Perché ciò che manca in questa storia è proprio l'amore. Perché non può essere amore una mano che si solleva, non per fare una carezza, ma per attestare l'assoluto possesso dell'oggetto amato.
Per non parlare di tutto ciò che di irrazionale questo comporta: il confine invisibile tra verità e immaginazione, le scelte e le decisioni condizionate dalla cecità della passione, l'impossibilità di tollerare alcun rifiuto da parte della donna su cui si pretende di esercitare dominio assoluto.
Certamente il tema è vecchio e risaputo, la violenza fatta da uomini è in pratica strettamente legata al loro essere uomini ed è in fondo strutturalmente connessa alla natura maschile, da quando, per millenni, almeno da Aristotele in poi, gli uomini si sono considerati il primo sesso e, per sostenere questo primato, hanno elaborato tutta una serie di teorie fisiche e metafisiche, che attualmente non si reggono più in piedi.
In realtà si sono aiutati con il dominio patriarcale che nella cultura occidentale, fino alla generazione dei nostri genitori (non tutti per fortuna), consentiva loro di essere padroni della loro famiglia, della loro moglie, dei loro figli e a volte anche delle nuore. Probabilmente Chabrol ha voluto raccontarci le nostre ossessioni. Quelle ossessioni latenti che sono dentro a molte storie, pronte ad esplodere, se non fosse per le piccole e grandi tregue quotidiane, o forse ha voluto mostrarci quanti inferni si nascondo sotto tante apparenti normalità; quanti viaggi senza ritorno si intraprendono verso tragedie annunciate.
In questa cornice la storia di una gelosia coniugale assume la valenza della cecità delle passioni, dove la gelosia è solo una variabile impazzita, come la straripante follia che pervade tutto il lungo finale.
Bravissimi i due attori protagonisti: Emmanuelle Béart che, nei panni di Nelly, sa essere provocante ed ingenua, disperata e avvilita, e François Cluzet, che conferisce al personaggio del marito quella riposta pazzia che lo spinge a dare corpo a tutti i fantasmi della sua fantasia e a diventare violento e prevaricatore.
Si esce dalla visione inconciliati e avviliti, solo un attimo felici per essere usciti da quell'inferno, forse perchè "L'inferno" è il film più cinico e cattivo degli ultimi anni o forse perchè, elegante ed angoscioso, disvela i risvolti insani di quella che poteva e doveva essere una normale storia d'amore.
Si può amare o odiare "L'inferno" di Chabrol, difficilmente si può ignorare.
Commenta la recensione di L'INFERNO (1993) sul forum
Condividi recensione su Facebook
Recensione a cura di luisa75 - aggiornata al 29/09/2010 10.57.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
Ordine elenco: Data Media voti Commenti Alfabetico
in sala
archivio