Voto Visitatori: | 7,50 / 10 (2 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 9,00 / 10 | ||
Arriva dall'Australia uno dei film più belli del 2010. Entra in chi lo guarda offrendo l'intuizione di dove realmente possano risiedere le radici della felicità, quel qualcosa che possa riempire la vita.
Meravigliosamente recitato da un cast affiatato, femminile quasi per intero, "Little sparrows" è scritto e diretto da una esordiente regista d'origine taiwanese, Camille Chen, che rivela grande talento dietro la macchina da presa.
A Susan è tornato il cancro: questo sarà il suo ultimo Natale. Lo dice al marito James, realistica, senza cedimenti emotivi, premurosa di evitare accoramenti da parte di lui. E' consapevole di quel che accadrà. L'ha accettato, chiede agli altri di accettarlo. Non chiede di stringersi attorno a lei: quel che chiede, in particolare alle tre figlie, è di essere felici nelle loro vite.
Le tre figlie di Susan: il film è soprattutto l'intreccio di momenti delle loro vite. Ciascuna ha un problema da affrontare, un nodo da sciogliere, un ostacolo da superare. Nina, la maggiore, è vedova con due bambini piccoli, e non crede più a una nuova relazione con un uomo. Anna è un'attrice sposata, non felice. Christine è una studentessa universitaria, che sta cercando il modo per vivere serenamente la propria omosessualità.
Una non riuscirà a superare l'empasse; un'altra ricomincia invece a crederci; l'ultima arriva a trovare la serenità interiore necessaria alla risoluzione.
Melanie Munt (Anna), Nina Deasley (Nina), Arielle Gray (Christine): le interpreti sono bravissime (da far impallidire fior di colleghe americane), ma una menzione speciale va a un'attrice davvero straordinaria: Nicola Bartlett, che interpreta Susan. Ogni inquadratura del film è impregnata dell'adesione emotiva che ciascuna di esse dedica al proprio personaggio.
Ellissi e sbalzi temporali
"Little sparrows" è un gioiello di stile. Poggia su una narrazione elaborata in modo originale (per ellissi e discontinuità temporali); possiede una sceneggiatura magnifica (e interpretata ad alti livelli); ha una colonna sonora di grande intensità (le musiche sono perfette; ma anche i silenzi, il tono dei dialoghi – lo spartito sonoro tutto – sono espressivi); ha una fotografia strepitosa. E' diretto con una padronanza stupefacente, con evidente ispirazione, da una regista che sa dare ai movimenti di macchina a mano sempre la giusta vibrazione: quella più adeguata alla scena, al suo ritmo, alla sua risonanza emotiva.
La figura centrale su cui il film è costruito – l'ellissi – possiede una rara forza espressiva.
L'ellissi è un elemento chiave, in un'opera cinematografica: dove utilizzata bene, il film ne trae enorme vantaggio. Quando un intero film poggia in modo significativo sulle ellissi, e la pone in profonda connessione con i significati – com'è il caso di "Little sparrows" – abbiamo a che fare con un prodotto che, solo per questo, assume un valore particolare.
Ora, "Little sparrows" ha un tessuto narrativo prevalentemente ellittico. La maggiore delle elisioni è operata sui momenti della morte e su quelli immediatamente successivi, che non vengono mai né raccontati, né trovano cenno nei dialoghi. Ma le ellissi sono continue: da quelle minimali, che scolpiscono una singola scena nei suoi frammenti più significativi, a quelle che evitano inutili scene madri, o fatti che non occorre vedere, ma di cui si viene messi al corrente, o che si intuiscono.
La struttura ellittica va a braccetto con la composizione cronologica a sbalzi, avanti e indietro, che permette di non fissarsi sui momenti "centrali", ma di concentrarsi su attimi marginali, spesso dialoghi brevi e sospesi – quasi sempre a quattr'occhi.
Il film è suddiviso in capitoli, ognuno dedicato a una delle quattro donne: in ciascuno di essi la storia ricomincia daccapo, a partire da una sorta di intervista-riflessione privata di ciascuna delle protagoniste raccolta in solitudine, per poi aprirsi sulla vicenda, a flashback e incastri.
Ovunque, l'ellissi è al servizio dell'asciuttezza, della presa di distanza dall'emotività più scontata. Preoccupata di non far assumere alla pellicola toni patetici o melodrammatici, Camille Chen pone gli spettatori nella giusta distanza rispetto alle scene: a un pelo dall'immedesimazione ma mai naufragati in essa, e mai distanziati al punto da potersene distrarre.
La regista segue i personaggi con uno sguardo che nel complesso deve qualcosa al cinema di Cassavetes: anche se la struttura del film è molto elaborata, permane una sorprendente sensazione di naturalezza, di semplicità, quasi di improvvisazione. Tanta dev'essere stata la fiducia accordata agli interpreti.
L'ellissi, infine, è in connessione strettissima con il messaggio che il film suggerisce. La vita è piena di cose da esplorare, persone cui legarsi, infiniti universi in cui gettarsi, mondi possibili da vivere: ma occorre saper scegliere ciò che per il nostro percorso conta davvero, e concentrare su ciò le nostre migliori energie. Per provare a essere felici, questo Susan dice esplicitamente ad Anna. Così fa il film con la sua materia: taglia tutto il superfluo, e si concentra sull'essenziale. Facendolo brillare come diamante.
Dimensione affettiva e felicità
Il film compie uno scavo, entro ciascuna delle donne, che sono alla ricerca di una dimensione più armoniosa dell'esistenza, di una tara del superfluo, e di una possibile ripartenza.
La morte di un familiare è l'evento fronteggiando il quale siamo portati a fare i conti con noi stessi: può rappresentare la "cartina al tornasole" della nostra esistenza. Così il film punta dritto ai problemi più intimi delle sue protagoniste (nei quali è facile riconoscere quelli di tutti, uomini e donne), le quali si aprono alla madre con una confidenza in altri momenti impossibile, vuoi per la troppa reticenza, vuoi per l'inutile pudore entro al quale soffochiamo, nella vita quotidiana, le speranze e aspirazioni più essenziali.
"Little sparrows" non è triste, al contrario: nel film soffia una brezza di speranza. Non si parla, in verità, della morte (un evento inevitabile, niente più): ma del potere della sincerità nei legami affettivi. E' un film luminoso, che sa evitare il melodramma; tanto più intenso, quanto più asciutto.
I momenti di silenzio, le sospensioni, riescono a essere intensi quanto quelli avvolti dalle musiche. Queste ultime son spesso brevi frasi, poche note che risuonano profonde.
Secco e antiretorico, il film è tenero e spietato insieme. Dolce e amaro come la vita.
Lucido come la sua fotografia (il formato digitale offre una nitidezza eccellente).
La narrazione è in fibrillazione, lieve e costante, modulata sulle vibrazioni della camera a mano. Anche i tagli delle inquadrature e dei piani appare curatissima, sempre molto funzionale e espressiva.
I momenti canonici del Natale sono appena accennati. Nel rifiuto dei sentimentalismi (preteso da Susan con il marito) il film indica, elidendoli quasi del tutto, la vanità dei riti familiari, e si concentra sulla possibilità di scendere sotto la superficie, a contatto con le intermittenze più intime. Viene ad essere scoperchiato così il percorso privato delle esistenze, inevitabilmente solitario: ma anche la possibilità, la necessità dei momenti in cui quelle esistenze si incrociano, e in cui, con discrezione, l'autenticità dell'affetto può essere di reciproco sostegno.
In alcune sequenze particolarmente liriche, la macchina da presa vive una sua autonoma soggettività, come quando vediamo rasoterra, in primissimo piano, dei fiori depositati da Christine, e poi, dopo uno stacco, un rapido movimento di macchina da destra verso sinistra, quasi a spiccare il volo: volo che difatti si materializza quando, dopo un ulteriore stacco, vediamo uno stormo percorrere il cielo, prima nel silenzio, quindi con la musica che inizia qualche secondo più tardi.
Quella appena descritta è una sequenza brevissima: pochi secondi, nessuna indulgenza. Il film propone diversi momenti in cui il montaggio sa essere altrettanto evocativo e suggestivo.
Il Natale australiano è particolare perché avviene d'estate. L'atmosfera familiare di calorosità più o meno artificiosa, cui nell'emisfero nord siamo abituati, è favorita dalla circostanza per cui, fuori, è buio e fa freddo. In Australia no: in questo Natale splende la luce del giorno. E' un rovesciamento su cui il film lavora, scientemente. Così come la morte - che di suo è un evento oscuro – si insinua in un film luminoso, il Natale è, qui, un momento di luce.
Ma ciò non indica un banale ottimismo. Anzi. Susan con la sua morte lascia una grande assenza, e a pensarci bene questo Natale estivo precede il buio dell'inverno. La collocazione nel calendario del Natale (nell'emisfero nord) simboleggia l'avvento della luce: segue di pochissimo il solstizio d'inverno (cioè il momento dell'anno in cui il giorno è più breve, ma ricomincia ad allungarsi). In Australia coincide invece con il solstizio d'estate: cioè il momento di maggiore luminosità, cui segue però l'assottigliarsi delle ore di luce.
Susan lascia un vuoto.
Susan si fa tatuare sulla pelle tre passeri, sparrows, tre quanti le sue figlie: anche questa scelta singolare contiene un rovesciamento. Infatti è più normale per chi sopravvive voler mantenere un ricordo. Qui invece è come se Susan volesse dire a se stessa, con quel gesto: "non voglio che loro mi lascino". E' l'ennesimo rovesciamento di prospettiva che questo film ci propone, lasciandoci a meditare sul significato dei legami affettivi più forti, e su come essi siano essenziali per il senso delle nostre vite, tanto da non farci apparire strano vederli incisi sulla pelle, per portarli con sé fino al momento estremo, quello in cui si è completamente soli. L'intimità di quel momento è tale che – la regista sembra essersi posta a riguardo un principio di etica dello sguardo – l'esteriorità della morte non può, non deve esser mostrata.
Il film è dedicato dall'autrice a sua madre. "Little sparrows" è un film di donne che parla, attraverso squisita sensibilità femminile, a tutti, ovunque nel mondo.
Fa piacere che alla commossa standing ovation di dieci minuti di applausi, alla "prima" internazionale del film presso il festival del cinema di Roma 2010, abbia fatto seguito la decisione di una casa di distribuzione americana di acquistare il film, per distribuirlo negli Stati Uniti e in Canada. L'augurio è che quest'opera possa esser vista presto anche in Italia.
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Recensione a cura di Stefano Santoli - aggiornata al 08/11/2010 11.34.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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