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Divertente e accattivante sotto molti aspetti, il film cult di Muccino si presta a giudizi molto differenti, perché di difficile definizione. Impostato come "commedia di costume", per via di certi toni scherzosi e per il ritratto di una gioventù non più così giovane, ma decisamente incerta, potrebbe inquadrarsi nel genere "dramma borghese di serie B" un po' alla Verdone; dove ci sono spunti tematici e di sostanza, ma di tocco molto leggero e manieristico, da "commedia all'italiana", con strizzata d'occhio al portafoglio e al botteghino. Peraltro l'umanità ivi descritta è proprio di questo segno "mercantile", tutta borghesia medio-alta, poco coinvolta dai seri problemi quotidiani dei ceti economici non privilegiati. E di questa vocazione alla leggerezza è certamente intriso l'ambiente dei vari amici trentenni, una compagnia (semi)gaudente, col complesso di Peter Pan: "cosa mai faremo da grandi??".
Ma sarebbe riduttivo sostenere che il film di Muccino sia tutto qui. In realtà, al di là di un certo goliardismo impenitente dei personaggi, ne "L'ultimo bacio" troviamo una serie di riflessioni di notevole peso: genericamente sui destini della coppia al dì d'oggi, e, nello specifico, un paio di ritratti di personaggi di emblematica rappresentatività.
Sul fatto che oggi "la coppia scoppi" nessuno ha più niente da obiettare; e Muccino sa registrare a dovere il come, il quando e il perché. Con uomini che, non più attratti dalle compagne, stentano a capirlo, ma poi lo ammettono; e donne, invece, in grado di capire ben prima quando tutto è finito, ma che si ostinano a fare finta di niente, in preda a profondissime crisi isteriche (e a questo proposito va citata la sorprendente bravura di Giovanna Mezzogiorno nel recitare la parte della donna tradita). Comunque il messaggio (ambiguo) del film sembra essere: l'amore di coppia ha vita breve, ma può valere la pena di arrendercisi, costruendo insieme una vita duratura. La frase detta dal padre della giovane al genero traditore, finisce per convincere quest'ultimo a rientrare nei ranghi, senza rendersi conto di essere stato ingannato; infatti, il suocero gli passava inconsciamente il testimone di una accettazione fatalistica della vita al femminile: della donna che nel suo disegno genetico-evolutivo coopta con prepotenza l'energia maschile del riproduttore scelto, per garantire la sopravvivenza del figlio nascituro; pronta, a cose fatte, a guardare più avanti , verso altri destini (dopo tutti i casini, mentre Stefano Accorsi si spupazza edipicamente la bimba piccola, la giovane madre è già in giro nel parco a fare footing, ammiccando amabilmente al corridore, coloured, di turno).
Il resto dei personaggi è costruito con storie similari, di coppie in crisi ad ogni età e di ogni generazione. Ma non manca, invece, un profilo di maggiore spessore, appena tratteggiato, ma, più profondo e meno datato: quello del giovane che non vuole arrendersi alla quotidianità, alla piccola bottega del padre, ma partire all' avventura, con un camper, come un beatnik di On The Road.
Che si fa così portatore, anche se in ritardo, dell'ansia esistenziale tipica dell'età giovanile, e della voglia di conoscenza indomita insita in ogni uomo: la stessa voglia che spingeva Ulisse a viaggiare in permanenza, mentre i meno coraggiosi, come lo Stefano Accorsi del film, si arrendevano supinamente ai voleri della Nausicaa di turno.
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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 25/03/2005
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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