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Esordio alla regia di Miranda July, il film pluripremiato nelle varie mostre cinematografiche (ed uscito con la benedizione del Sundance Film Festival) è un agglomerato di storie minimaliste ambientate in una, non troppo ben definita, cittadina americana.
Tra gli interpreti la stessa July, carina, perbene e anche un po' anonima nella sua eccentricità, così come eccentrici sono tutti gli altri personaggi del film.
Si potrebbe trovare nella stravaganza e nel candore della July una vaga traccia della francese Amélie, ma la sognante Amélie era più aperta nei confronti del suo prossimo mentre Christine (il personaggio interpretato da Miranda July), a parte qualche slancio iniziale, è in realtà protesa verso la propria realizzazione ed il soddisfacimento dei suoi bisogni. Ricerca che accomuna tutti gli altri interpreti in varia misura.
Alcune tematiche affrontate, a prima vista potrebbero sembrare scabrose: l'utilizzo delle chat line con ammiccamenti erotici come metafora del vuoto, della solitudine e del bisogno d'amore; gli strani esperimenti di due lolite e le conseguenti perversioni di un ciccione ancora immaturo; la difficile vita di padri e figli, ma la July (e questo è un merito che bisogna riconoscerle) riesce ad affrontare ogni situazione con levità ed innocenza, facendo avvertire allo spettatore la differenza che intercorre tra l'essere immorale (cioè cattivo) e l'essere amorale (cioè non ancora consapevole dei confini sottili che dividono il bene dal male). Il tutto con un ritmo lento condito da musiche soft leggere ed orecchiabili.
Per chi va al cinema alla ricerca di una storia, questo film può risultare incredibilmente stucchevole e noioso con personaggi tutto sommato poco delineati, con storie incominciate e tratteggiate in maniera sconclusionata, ma per chi invece vuole cercare la sperimentazione, questa pellicola potrebbe essere spunto per una serie infinita di considerazioni. Prima tra tutte la ricerca linguistica.
Il film potrebbe piacere sicuramente ai semiologi perché la July cura in maniera maniacale l'uso del linguaggio in tutte le sue forme: da quello verbale, rappresentato ad esempio dalle buffe conversazioni tra Christine e il commesso del negozio di calzature (John Hawkes) al linguaggio delle chat sempre in bilico tra nonsense e allusivo doppio senso, alle performances di Christine aspirante artista alla scelta dei colori molto vivaci e solari, alle inquadrature (da segnalare lo splendido tramonto e la dissolvenza della busta col pesce rosso).
Tra gli interpreti, gli adulti sembrano in ombra e a nulla valgono i tentativi della July di mostrarsi candida, dolce o problematica mentre invece i bambini sono sicuramente da applauso, dalla imbronciata ragazzina che ha fretta di crescere, al tenero bambinetto di colore protagonista di un episodio al limite della tragicommedia.
Il titolo lasciato in inglese (forse perché tradotto sarebbe stato troppo banale) si riferisce al senso di appartenenza, alla comune ricerca di qualcosa da parte di tutti, forse ricerca di amore, di maggiore considerazione. La regista (suo limite o scelta azzeccata, allo spettatore l'ultima parola) lascia ognuno di noi libero di decidere, del resto ha chiamato tutti in causa sin dall'inizio.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 11/04/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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