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"L'Australia non è meglio di qui, Butch"
Robert Redford, "Butch Cassidy", 1969
Amr e Sarah stanno per lasciare l'Iran, destinazione Melbourne. I preparativi fervono, ci sono i mobili da consegnare al rigattiere, gli amici da salutare, le chiavi da restituire al padrone di casa.
L'agitazione e l'entusiasmo per un cambiamento così importante si infrangono nella terribile scoperta che la piccola figlia del vicino, che Sarah aveva accettato di tenere in casa per qualche ora, giace senza vita nel letto in cui era stata adagiata. Mentre l'orario della partenza si avvicina, Amr e Sarah cercano di capire come affrontare la tragedia che rischia di rovinare la loro vita...
Una trama semplicissima per un film complesso nella sua crudeltà: non è tanto la vicenda in sé a essere brutale, quanto lo svelamento impietoso della natura umana posta di fronte all'imprevedibilità della sorte.
Non appena Amr rivela a Sarah di aver scoperto che la bambina è morta, Sarah risponde: "Che cosa hai fatto?" e una coltre di gelo cala tra i due e sullo spettatore. E il punto di non ritorno del film, oltre che del rapporto tra i due. Tutto ciò che accade dopo è una serie di decisioni sbagliate prese per i motivi sbagliati, e sebbene il finale non lo mostri esplicitamente, il futuro all'estero della giovane coppia appare irrimediabilmente compromesso. Melbourne, improvvisamente, è lontanissima. Il film si mantiene in equilibrio, sull'orlo del baratro, e ricorda per certi versi "Nodo alla gola" di Alfred Hitchcock per il modo in cui la tensione è gestita per tutto il film e per l'ambientazione domestica che diventa sempre più claustrofobica con lo scorrere dei minuti.
Non c'è però alcuna concessione allo spettacolo, o alla sceneggiatura. Nima Javidi (all'esordio) mette gli spettatori davanti alla semplicità del fato, alla miseria della natura umana. Non c'è motivo di eccedere con la colonna sonora (praticamente inesistente), con il montaggio o con altri artifici tecnici. Ecco la vita che arriva a rovinare i tuoi piani, inattesa, cattiva, senza uno straccio di brano musicale, una luce buona, una scenografia avvolgente, ad accompagnare il colpo. "Melbourne" è espressione di un cinema volutamente povero di mezzi, ma che vive su intuizioni e momenti: non un cinema per tutti, ma solo per quanti amano trovare sul grande schermo il disegno di una riflessione.
La variabile che si intromette nel destino di Amr e Sarah spoglia tutti i loro gesti del loro significato e li carica di una drammaticità nuova. Ogni passo programmato con cura per non fare tardi in aeroporto e non lasciare questioni in sospeso diventa un passo nella direzione opposta, un gradino sempre più in basso. Un misto di paura, egoismo e incredulità che i due protagonisti non riescono ad affrontare insieme. Ciò che vediamo di Amr e Sarah non ci dà motivo di credere che ci fosse qualcosa di sbagliato nel loro rapporto che aspettava di venir fuori alla prima occasione - e in fondo la tensione tra i due è anche giustificata dalla gravità dei fatti. Tutto sembra procedere, e questa è la grandezza di "Melbourne", verso un disastro personale impossibile da evitare e nonostante i due abbiano ripetutamente l'occasione di dire la verità e affrontare la fatalità con dignità, la loro scelta non sembra innaturale o forzata a scopo drammatico.
Alla fine del film, il peso della scelta che i due compiono perseguita soprattutto lo spettatore, che più che chiedersi cosa ne sarà dei due sventurati protagonisti, si trova a domandarsi cosa ne sarebbe di lui in un caso analogo, di quanta viltà e quanta virtù è composto il suo spirito.
Melbourne disturba le coscienze, è un piccolo grande film che coniuga la buona narrazione alla riflessione sulla fragilità dei rapporti umani.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 01/12/2014 15.58.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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