melbourne regia di Nima Javidi Iran 2014
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melbourne (2014)

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locandina del film MELBOURNE

Titolo Originale: MELBOURNE

RegiaNima Javidi

InterpretiPayman Maadi, Negar Javaherian, Mani Haghighi, Shirin Yazdanbakhsh, Elham Korda, Roshanak Gerami

Durata: h 1.33
NazionalitàIran 2014
Generedrammatico
Al cinema nel Novembre 2014

•  Altri film di Nima Javidi

Trama del film Melbourne

Amir (Payman Maadi, il protagonista del film Premio Oscar Una separazione) e Sara (Negar Javaherian) stanno per trasferirsi a Melbourne per continuare i propri studi. Nelle poche ore che li separano dal volo, i due stanno sistemando le ultime cose nel loro appartamento. Con loro, in casa c'è la figlia neonata dei vicini: la tata è dovuta uscire e l'ha affidata alla coppia. Mentre i preparativi per la partenza continuano, e dopo aver chiamato il padre della piccola perché venga a prenderla, Amir e Sarah dovranno fare i conti con un evento tragico che rischia di sconvolgere la loro vita.​​

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Voto Visitatori:   6,50 / 10 (4 voti)6,50Grafico
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Voti e commenti su Melbourne, 4 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

matt_995  @  11/12/2017 15:31:42
   4½ / 10
Pessimo.
Questo è il risultato che si ottiene quando si gioca a fare l'Ashgar Farhadi della situazione ma non si possiede né una sceneggiatura di ferro né uno stile di regia avvolgente e trascinante.
La storia poteva sembrare anche accattivante ma ha una serie di buchi di sceneggiatura alla base che ne decretano fin da subito l'inevitabile crollo, rendono tutta la faccenda insulsa e banale e ci fanno giudicare le azioni dei protagonisti come incomprensibili ed immotivate.

Un colosso dai piedi d'argilla insomma.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73  @  22/11/2017 11:02:32
   7½ / 10
Amir e Sara sono una giovane coppia iraniana in partenza per l'Australia. Motivi professionali e di studio inducono una svolta radicale che purtroppo per loro verrà messa in forte discussione a causa della tragedia in cui restano coinvolti a poche ore dal volo.
Destino beffardo e infame, utile al regista Nima Javidi a mettere sotto i riflettori la paura che attanaglia i protagonisti, i quali, pur non direttamente colpevoli, finiscono assumendo decisioni a dir poco discutibili con il rendere ancora più problematico il tutto.
Girato per intero nei pochi metri quadri dell'appartamento, con un'impronta molto dialogata di chiaro stampo teatrale, "Melbourne" è un susseguirsi di volti e personaggi che dovranno essere gestiti al meglio per non far trapelare l'agghiacciante verità.
La capacità di tenere costantemente alta la tensione, oltre al fatto scatenante davvero terribile, danno una direzione mistery molto marcata in cui poca importanza hanno colpevole e cause; si punta a sviscerare la fragilità umana, costretta da eventi straordinari a misurarsi con se stessa e col giudizio del mondo esterno. Spaventati, poi rabbiosi, quindi da confusi a sempre più glaciali i protagonisti dovranno scrollarsi di dosso la rettitudine morale se vorranno perseguire il loro sogno.
Una bella sorpresa: più excursus sulla natura umana che una mirata critica all'impavido immobilismo nei confronti della classe politica.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Freddy Krueger  @  22/03/2015 12:06:36
   7 / 10
Un altro ottimo drammatico dall'Iran, ansiogeno e con una sceneggiatura di ferro: due giovani sposi si trovano in una situazione spaventosa alla vigilia della partenza per Melbourne.
L'atmosfera tesa è ogni volta interrotta da squilli del cellulare o dal citofono e attacchi di panico. Alcuni segreti non verranno mai svelati:

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER
In sostanza, un film che mette tensione e un finale che spezza i vetri.

Crimson  @  05/12/2014 11:20:18
   7 / 10
Spoiler presenti.

Nelle pagine dedicate all'analisi della filmografia di Asghar Farhadi sul mio blog ho cercato spesso di focalizzarmi sul tema a mio avviso predominante, ovvero "la paura di dire o fare qualcosa che potrebbe essere interpretato come...". In fondo è la paura che nasce dalla mancanza di contatto con sé stessi. Quanti tra i personaggi successivi ad A'la (Beautiful city) creati dal regista persiano conoscono sé stessi?
Ho sempre pensato che al pari di Michelangelo Antonioni, riferimento costante e predominante, Farhadi si concentri essenzialmente sull'individuo prima ancora che sulla società. Questo dato a mio avviso crea il maggior scollamento rispetto alla maggior parte dei cineasti del suo paese.
Tuttavia cominciano a farsi strada i primi fautori di questa visione della realtà anche tra i registi iraniani, e Melbourne ne è una prova: è il primo lungometraggio di Nima Javidi, al quale si possono attribuire molti pregi eccetto l'originalità, visto che attinge a piene mani da Farhadi. Tutto, ma proprio tutto, ricorda quanto già ampiamente visto e analizzato nei film di questi, con minor talento e più forzature negli sviluppi concreti.
Sia la location (praticamente unica) che l'utilizzo narrativo del telefono richiamano ad esempio Fireworks Wednesday. Le inquadrature, lo spazio circoscritto in cui si staglia una poderosa sovrabbondanza di parole, attori come Mani Haghigi e soprattutto Peyman Moaadi non possono che confermare l'impressione iniziale. Ma scavando più a fondo emerge anche altro.
In apparenza Melbourne è la cronaca di un viaggio progettato nei minimi termini con una sicurezza che deriva dalla padronanza dei mezzi tecnici e logistici per assoggettare la realtà. Di quale realtà si tratta?
Tre elementi chiave per addentrarsi nei meandri del film: il ricorso alla menzogna, i mezzi di comunicazione tecnologici (telefono, internet e fotocamera digitale) e infine la morte di una bambina di pochi mesi di vita.
Il primo è una strategia di difesa per salvarsi temporaneamente. I due coniugi protagonisti hanno paura, cercano di dilatare il tempo stritolandosi in un meccanismo malsano che li conduce inevitabilmente a diventare ciò che temono di essere. Basterebbe agire, ma l'azione comporta sempre una responsabilità "agli occhi di...". Il punto sembra essere questo, la responsabilità viene intesa come un sinonimo sociale che ha il nome di "colpa". Questa ha sempre alla radice la paura del giudizio: spaventa giudicarsi ed essere giudicati.
Non è possibile rintracciare con esattezza la causa della SIDS (morte in culla). Amir e Sara sono stati imprudenti, ma non responsabili della morte della bambina. Il peso della colpevolezza possibile li schiaccia. La morte della bambina sgretola le loro certezze rivelandone la natura precaria e fragile, come un macigno scagliato contro un oggetto di cristallo.
I mezzi tecnologici, che pervadono la scena ricorrendo come veri e propri MacGuffin, generano delle vere e proprie svolte nella narrazione in almeno due momenti: la rivisitazione delle foto scattate alcune ore prima, nelle quali è percepibile che la bambina si è mossa e quindi è stata accolta viva in casa, e il frutto della ricerca su internet circa la morte in culla. Sono strumenti che offrono la possibilità di conoscenza e di avvicinamento alla verità, tuttavia il loro riscontro obiettivo non ha una consequenzialità logica e univoca. In un film così ossequioso a Farhadi nel costrutto e nel significato sviscerato, questo aspetto mi ha colpito molto. Ancora una volta Antonioni (le foto di Blow up, i documentari di The Passenger..) fa capolino. Amir e Sara finiscono per rinunciare alla denuncia e alla rivelazione, macchiandosi della stessa colpa che hanno avuto il coraggio di attribuire con un deprecabile, iniziale sospetto sulla babysitter. La loro azione finisce per essere terribilmente reale, nonostante abbiano usufruito dei mezzi per scagionarsi e liberarsi da qualsiasi tormento interiore. Ma l'obiettivo principale di Melbourne è proprio quello di mostrare come in assenza di un autentico tormento interiore che abbia a che fare con i valori più alti e umani, quali la dignità, la responsabilità e l'ideale di collettività, le azioni che scaturiscono sono deleterie per sé stessi e per gli altri, con un effetto a catena.
Solo una manciata di sequenze sono girate in esterni: la primissima, che ci mostra la moltitudine di edifici di Teheran (alta?) e quelle immediatamente successive nel cortile interno del palazzo in cui si svolge l'azione; il finale in auto (ancora nella moltitudine) in cui i due protagonisti seduti uno accanto all'altro non sono mai sembrati (stati?) così distanti e soli (cfr. Una separazione).

Quando vedo film di questo tipo ripenso a La doppia vita di Veronica. Io stesso faccio fatica a trovare una spiegazione che possa giustificare questa connessione, poi rileggo queste parole di Kieslowski e in qualche modo la mia suggestione trova fondamento e valore:

" Credo che una delle cose più importanti nella vita, quella che ti dà la forza di vivere, sia la responsabilità. Bisogna intendere questa parola in senso largo: ognuno è responsabile per sé stesso e per la propria vita, è comprensibile. Anche le nostre azioni: paghiamo per i nostri errori, proviamo soddisfazione quando facciamo le cose giuste. Questa responsabilità nella sfera personale è abbastanza chiara, si è consci.
Ma io penso che ci sia anche un altro genere di responsabilità di cui non capiamo la sua esistenza: questa è la responsabilità verso altre persone, verso persone che conosciamo o a volte che non conosciamo. 
Io credo fortemente che il modo in cui viviamo e le cose che facciamo influenzino le persone intorno a noi indipendentemente se le conosciamo.
Il tema principale di questo film (La doppia vita di Veronica, ndr) è "Vivi con più attenzione. Non puoi sapere quali possono essere le conseguenze delle tue azioni. Non puoi sapere quale effetto avrà sulle persone che conosci e che non conosci. Non puoi sapere come le tue azioni possano influenzarle. Vivi con attenzione perché ci sono delle persone intorno a te le cui vite e il cui benessere dipendono dalle tue azioni".
Questo riguarda tutti noi perché i cammini, cioè queste persone e i loro destini, si incrociano continuamente, al di là se ne siamo coscienti o meno. 
Questo è quello che per me significa responsabilità: vivere con più attenzione. Noi dovremmo osservare con più attenzione le persone intorno a noi e soprattutto noi stessi. "

(da "Kieslowski – Dialogo" di Elizabeth Ayre e Ruben Korenfeld, 1991)

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