Voto Visitatori: | 7,37 / 10 (35 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 8,00 / 10 | ||
Pare strano agli estimatori di Peter Weir che "Mosquito coast" sia generalmente ritenuto l'unico flop del grande regista australiano. Eppure in esso ritornano puntuali e coerenti I temi tanto cari all'autore, già trattati in altri suoi film di successo, qui forse sviluppati in modo più freddo e meno coinvolgente, non per questo meno interessante.
Probabilmente per chi non riconosce le connotazioni insite nel linguaggio cinematografico di Peter Weir risulta difficile digerire la storia narrata da "Mosquito", dove le tematiche weiriane si aggrovigliano ed è facile sentirsi disorientati.
D'altronde il regista stesso ha definito questo suo lavoro "una rivoluzione culturale individuale" volendo esprimere così il desiderio di "estraniarsi dal filone dominante della cinematografia americana con contenuti il più possibile anticonvenzionali". In effetti non si può dire che il film decanti le imprese di una famiglia di pionieri americani nel tipico stile hollywoodiano, forse per questo il prodotto non ha soddisfatto le aspettative del pubblico, sancendo lo scarso successo commerciale.
Oltre a ciò, la delusione la si può imputare alla scelta dell'attore protagonista: un Harrison Ford uscito fresco fresco dal successo di Indiana Jones, eroe positivo, simpatico e soprattutto vincente. Scelta non casuale questa del regista, che ama stravolgere I ruoli canonici degli attori più popolari e che ingaggiò il "personaggio" Ford un anno prima per il fortunato "Witness", senza tuttavia snaturarne del tutto le peculiarità.
In "Mosquito", invece, lo rivolta come un guanto, in modo antitetico all'immaginario del pubblico: non più l'eroe simpaticamente maldestro ma astuto e invincibile, bensì un americano qualunque dei nostri tempi, visionario fanatico e presuntuoso despota. Se il pubblico non ha gradito questa inedita identificazione con l'attore, paradossalmente il ruolo di Allie Fox è il preferito da Harrison Ford, che ha sempre dichiarato la sua predilezione per il protagonista di "Mosquito".
Nel film (tratto dall'omonimo romanzo di Theroux) Weir fa confluire nella stessa narrazione I suoi due temi prediletti: il contrasto tra mondi opposti e lo scontro generazionale come motivo di crescita.
Il primo tema si riallaccia al capolavoro riconosciuto "Picnic ad Hanging rock" (ma non solo); il secondo tratta problematiche che saranno in seguito approfondite in "L'attimo fuggente".
Weir qui pone nuovamente il protagonista al limite di due mondi contrapposti. Mentre in "Picnic..." il confine è tra la rigida e aristocratica cultura vittoriana d'inizio '900 e la misteriosa ed incontaminata natura australiana; in "Mosquito" il limes si sposta ad Occidente, tra l'America capitalista del nord e la selvaggia giungla centroamericana, in entrambi I film è la natura a predominare sull'uomo.
Allie (Harrrison Ford), inventore fallito, nauseato dalla civiltà consumistica americana di cui rifiuta ogni principio (pur tradendo un malcelato nazionalismo) sogna la fuga in un luogo lontano e vergine dove ricostruire la propria vita, seguendo un antico ideale ecologista. Presa la decisione inamovibile di abbandonare lavoro, casa, patria, coinvolge nel progetto anche la moglie e I quattro figli, che lo seguono fiduciosi ma perplessi.
In fondo è il sogno di molti: la fuga dal caos del mondo civile per cercare un'altra dimensione in un luogo sperduto e puro; ma quanto l'uomo civilizzato riesce ad adattarsi all' antonomastico "paradiso terrestre", tornare cioè a coesistere con una natura primordiale?
Poco, secondo Weir, almeno secondo il disegno utopistico del suo Allie. Il quale raggiunge, sì, l'oasi naturale tanto agognata in qualche luogo dimenticato del centro America, ma, dopo un iniziale successo, vede il proprio sogno infrangersi. Il mito roussouniano del "buon selvaggio" si sgretola di fronte ad un crescendo di contrarietà sempre più drammatiche, mentre il dominio della natura diventa gradualmente imprevedibile e incontrollabile.
Sembra che il regista ci suggerisca che il modello opposto alla civiltà americana del consumismo, come è inteso dal protagonista, non possa esistere. Allie non lo realizza: riesce, è vero, a trasformare il suo "Geronimo" (così si chiama il villaggio da lui acquistato a Mosquitia) nel modello di microsocietà autarchica, fondata su una concezione ecologica del progresso ("Questo un giorno diverrà un grande villaggio fiorente in armonia con la natura. E' così che io lo vedo perché io ho fantasia"). Ma non si rende conto che così facendo si allontana dalla natura, anzi la viola, riproducendo le stesse condizioni della "civiltà" rigettata.
Le continue panoramiche della foresta nel suo disordine naturale contrastano con I primi piani del villaggio ordinato e pulito quasi come I campi arati californiani dell'inquadratura iniziale. Allie ha interagito con la natura, non per assecondarla (come fanno gli indios della montagna) bensì per plasmarla a suo gradimento, edificando addirittura una macchina per fabbricare il ghiaccio, orribile monolite, eretto come un gigantesco totem nel mezzo della giungla a deflagrare una natura ancora intonsa.
Persino l'ideale della "comunità perfetta" è destinato a fallire: non si può certamente definire democratica l'organizzazione all'interno del villaggio di Allie, il quale si comporta come un tiranno non solo con I nativi, anche con la propria famiglia.
Non permette a nessuno di contrastare la sua rigorosa morale, perso in un delirio d'onnipotenza da cui non si fa ritorno. Non si arrende al fallimento dell'utopia, così che il suo sogno ecologico di fondare dal nulla una società primitiva e pura deve realizzarsi a tutti I costi, anche a scapito del progetto stesso, attuato e subito vanificato dal medesimo fautore.
Spesso, senza quasi rendercene conto, attraverso gli altri cerchiamo una chiarificazione delle nostre azioni, ma anche lo spunto per nuove direzioni, Allie no, è incapace di condividere le emozioni proprie e altrui, impone i suoi assiomi agli altri senza concedere loro un alito di critica e detesta a priori tutto ciò che contraddice la propria utopia. All'apice del disastro è inevitabile lo scontro fatale con il reverendo-missionario, personaggio solo apparentemente marginale, poiché agli occhi di Allie rappresenta l'ipocrisia di una civiltà decadente che si deve ignorare con forza oppure distruggere.
Dopo il fallimento del padre, il primogenito Charlie (un bravo River Phoenix, reduce dal felice ruolo di adolescente in "Stand by me") conclude il suo percorso di crescita in seguito al superamento di terribili prove e prende finalmente coscienza di sé: il padre, nel contempo ostacolo e mezzo, lo aiuta a diventare uomo. Ecco che, simmetricamente al primo, si sviluppa il secondo tema weiriano: la presa di coscienza di un ragazzo.
E' Charlie la voce narrante del film, viviamo la storia attraverso i suoi pensieri, con lui amiamo ed odiamo questo padre dominante ma carismatico, scollato dalla realtà più del figlio adolescente, cullato da una moglie complice perché remissiva.
E' ancora Charlie a tentare un dialogo costruttivo con lui, a vivere il dolore che segue alla menzogna, a mediare tra l'autoritarismo paterno e la renitenza del fratello minore; sempre diviso tra la paura e l'ammirazione verso un uomo che ha pervicacemente investito la vita della sua famiglia in un sogno improbabile, trovando il coraggio di realizzarlo, senza però riconoscerne il limite ("sono cresciuto con la convinzione che il mondo gli appartenesse e che tutto quello che diceva fosse vero").
Nonostante il rapporto con questa figura paterna tutt'altro che ordinaria, Charlie riesce ad affrancarsi, matura l'autonomia e la capacità decisionale nell'assumersi come guida della famiglia al momento opportuno, e solo in quel preciso momento prende coscienza dell'amore per il padre.
L'immagine finale è focalizzata sull'acqua, elemento imprescindibile nei film di Weir, il quale la carica di una valenza significativa: la soglia tra i due mondi contrapposti.
Ad esempio in "Picnic ad Hanging rock" Miranda e le altre ragazze devono attraversare un ruscello per raggiungere il promontorio di Hanging rock, in Mosquito dapprima è il mare, impetuoso come il protagonista, a depositare la famiglia Fox sulla terra vergine da colonizzare; alla fine è il fiume con il suo ritmo lento a ricondurla verso casa.
Non più contro corrente, come intimato dal capofamiglia, finalmente i superstiti si abbandonano al corso naturale del fiume verso l'oceano, al suo mormorio che preannuncia la promessa del ritorno.
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Recensione a cura di Pasionaria - aggiornata al 21/12/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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