l'uomo di marmo regia di Andrzej Wajda Polonia 1976
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l'uomo di marmo (1976)

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locandina del film L'UOMO DI MARMO

Titolo Originale: CZLOWIEK Z MARMURU

RegiaAndrzej Wajda

InterpretiEwa Zietek, Krystyna Janda, Jerzy Radziwilowicz

Durata: h 2.40
NazionalitàPolonia 1976
Generedrammatico
Al cinema nel Febbraio 1976

•  Altri film di Andrzej Wajda

Trama del film L'uomo di marmo

Agnieszka, giovane polacca laureanda in cinema, decide di girare un documentario su Birkut, eroe del lavoro ai tempi di Stalin e di cui non si è più saputo niente dopo la memorabile impresa che aveva compiuto: con la sua squadra aveva piazzato 30.509 mattoni mentre costruivano un palazzo. A poco a poco Agnieszka scopre che il caso era stato gonfiato a fini di propaganda, che Birkut successivamente era stato emarginato ed era morto da oppositore al regime.

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Voto Visitatori:   7,58 / 10 (6 voti)7,58Grafico
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Voti e commenti su L'uomo di marmo, 6 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

stratoZ  @  18/03/2024 12:50:38
   8 / 10
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Opera ambiziosissima di Wajda, dalla lunga durata e che racchiude in sé una serie di visioni e concetti, prima parte di questa duologia sul rapporto tra lavoro, potere e propaganda nella Polonia del dopoguerra, fortemente provata dall'influenza sovietica.

Wajda mette in scena una sorta di film d'inchiesta col pretesto di questa studentessa di cinema che come tesi decide di realizzare un'opera su Birkut, considerato un eroe del lavoro e grande stakanovista, che vanta il record di aver depositato oltre 30.000 mattoni in un turno di lavoro, ma che allo stesso tempo, dopo aver iniziato a ricoprire una posizione di rilievo, era progressivamente scomparso per qualche contrasto di troppo col regime.

Il film, dall'impianto in flashback, - alla Citizen Kane per intenderci - scardina tutti i meccanismi alla base della propaganda, è fantastico vedere i contrasti e le incoerenze che porta in primo piano, a partire dalla prima parte di film dove mostra le nette differenze tra il filmato finale, quello poi distribuito e il dettagliato racconto del regista, qui Wajda ci caccia anche una riflessione sull'opera d'arte cinematica, rivendicando la sua natura di artefatto e giocando molto con i finti umori che vengono trasmessi, lo stesso Birkin deve fingere di essere felice, è costretto a sorridere per far vedere quanto sia bello lavorare e fare un turno così massacrante, il record stesso viene deriso, non è davvero utile ad un fine, dato che diversi operai vengono adoperati solo per il mero record, è solo una questione di colpire di pancia la popolazione con simboli, documenti filmici, statue - meravigliosa la metafora iniziale, anzi è più un presagio che una metafora - insomma un mappazzone di apparenze montato ad hoc, così come Birkin, in quel momento pupazzetto in mano alla propaganda che strema il suo corpo e usa il suo volto per lanciare il messaggio.

Le cose cambieranno quando Birkin assunta un po' di popolarità inizierà ad essere esponente dei gruppi sindacali, diventando un problema per il regime con la sua lingua lunga e il suo volere giustizia a tutti i costi. Per buona parte del film aleggia il mistero, l'affresco che ne viene fuori è un mondo che ha voltato le spalle al protagonista un tempo idolo delle folle e del regime, ma non è tanto una questione personale, è una questione di status e benessere: la moglie stessa mentre Birkin era in detenzione ha sposato un uomo benestante, gli amici e i compagni al suo fianco durante le lotte sindacali occupano posti di rilievo, addirittura il suo più fedele è diventato un magnate della metallurgia, dopo essere stato perdonato dal regime, man mano il film si fa sempre più pessimista e ricalca una caduta degli ideali del popolo stesso, o meglio in questo caso dei soggetti chiave che passano dalla parte del regime, fino all'epilogo aperto che fa da apripista al seguito, lasciando molti dubbi allo spettatore sugli eventi effettivamente accaduti - in realtà, parere mio, sarebbe stato un perfetto finale anche senza il seguito -

Wajda ha una messa in scena splendida, molto oscura e pessimista che si sposa con il mood del film, che sa di quel mistero sporco di cui nessuno vuole parlare, come un brutto ricordo posato in cantina, interessante come i personaggi intervistati siano sempre in penombra, quasi si vergognassero dei loro racconti, come si volessero nascondere nel buio.
Sontuose le interpretazioni, a partire dalla protagonista, donna determinata ed energica, che andrà contro tutto e tutti, anche contro l'istituzione stessa della scuola di cinema che la finanzia, per scoprire la verità.

Gran bel filmone del maestro polacco.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  16/05/2023 23:44:05
   7 / 10
Il marmo scolpito a figura d'uomo ma gettato a terra dentro una specie di cantina è l'immagine perfetta della discesa di questo protagonista passato dalla gloria alla forca...

Magari sarebbe bastato qualche passaggio in meno e il film sarebbe stato ottimo. Invece il regista decide di penetrare molto piu' a fondo inserendo dei momenti forse noiosi che possono coinvolgere forse chi piu' come il popolo Polacco ha vissuto questa sottomissione alla dittatura Russa.

In ogni caso siamo di fronte ad un film coraggioso, autoritario e da vedere sicuramente.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  06/10/2016 23:28:30
   7½ / 10
L'opera della giovane regista polacca, un documentario sul muratore Birkut, diventa uno smascheramento progressivo del regime stesso ed il tradimento verso gli ideali puri del campione di lavoro. L'onesta e la coerenza di Birkut si scontrano dapprima con la macchina statale di chiara impronta stalinista, alimentata da un clima paranoico al culmine del totalitarismo e poi con la tentazione di una vita più agiata da borghese, alimentata questa volta dal denaro. Il film di Wajda riassume in un certo senso le difficoltà di un paese schiacciato dall'ingombrante vicino sovietico, ma allo stesso tempo quasi ripudiando quegli ideali di cui Birkut era portatore, tanto è vero che i suoi amici occupano posti di potere ed il suo compagno di lotta è diventato una sorta di magnate delle acciaierie. Il cinema quindi è un mezzo per un recupero della memoria, anche scomoda e coraggiosa da raccontare, di un intero paese e dei suoi simboli nascosti negli scantinati di un museo.

alphaville  @  28/09/2008 14:01:19
   8½ / 10
Un film che è stato per la Polonia un pò quello che "La dolce vita" di Fellini è stato per l'Italia: il complesso e acuto ritratto di una nazione nelle sue varie componenti in un preciso momento storico, un'analisi impietosa e irruente del velo di omertà e menzogne istituzionalizzate dal sistema socio-politico per garantirsi l'infinita perpetuazione. Lungo, potente, sfaccettato, con più di un debito verso "Quarto potere" (cfr. il cinegiornale iniziale che delinea con toni celebrativi il personaggio di Birkut), mischia il reportage giornalistico con la riflessione metacinematografica, il ritratto psicologico individuale e l'analisi storica. Il suo tema portante è il conflitto tra verità e menzogna. Tutto concorre alla buona riuscita della pellicola: la versatile regia di Wajda, realista ma evidentemente influenzata da espressionismo e barocchismo, la fotografia, le musiche e l'interpretazione di Radziwilowicz e della Janda.

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  26/04/2008 15:24:55
   7 / 10
Wajda ha fatto un’opera ambiziosa, un’opera che riassumesse vent’anni di storia polacca e che rappresentasse qualcosa di formalmente esemplare. Purtroppo ha voluto inserire nel film troppi temi, trattandoli in maniera estesa invece che sintetica. Ne deriva un lavoro complesso ma che non colpisce, non penetra nella psiche. E’ come un lauto pranzo che si trasforma in un’indigestione o che ad un certo punto viene a noia perché si prolunga troppo.
La storia parte dal personaggio di Agneska, una giovane regista in erba che vuole sfondare nel mondo del cinema. Punta quindi ad un opera che sia anticonvenzionale e soprattutto mistificatrice della percezione della storia. Siamo in un paese “comunista” (la Polonia) negli anni ’70 e fare un’impresa del genere non è cosa facile. Scavare nella memoria storica è politicamente pericoloso e infatti Agneska si scontra con le burocrazie che sovrintendono alla creazione cinematografica. Lei però non demorde, animata com’è dall’idea che l’arte debba stare al servizio della verità e non del potere (in questo riflette senz’altro il pensiero di Wajda). Agneska rappresenta anche la giovane generazione femminista ed emancipata, volitiva e decisa (tante inquadrature con lei in pantaloni a gambe larghe, sempre frenetica, con piglio maschile), che vuole vedere e capire con i propri occhi.
L’oggetto della sua pellicola è Birkut, un ex-eroe del lavoro degli anni ’50 (gli anni dello stalinismo). Insieme a lei visioniamo i cinegiornali di quegli anni (in parte veri, in parte ricreati da Wajda) pieni di imprese gloriose, gente sorridente ed entusiasta fiduciosa del futuro, città e fabbriche che nascono dal niente (il paese di Nowa Huta) con sottofondo di cori e marcie da apoteosi. L’”eroe” in questione è un giovane ex-contadino dalla faccia mite, un po’ ingenuo ma che è carico di voglia di spendersi per gli altri, per il suo popolo, per un riscatto della povera gente a cui lui crede genuinamente. Nei cinegiornali è autore di mitiche imprese, svolge una vita regolare (si sposa) e felice, contento di quello che gli offre il “socialismo”. Diventa un esempio per tutta la nazione, ma poi cade in digrazia.
Agneska si affeziona al personaggio del suo film e si dà da fare per approfondire la storia reale, vera che sta dietro ai cinegiornali. Va a intervistare il regista dei videogiornali, un funzionario di partito di quell’epoca, l’amico del cuore di Birkut e infine la sua ex-compagna (in realtà non si erano mai sposati). Da questo punto in poi il film diventa un palese parallelo con Quarto Potere di Orson Welles. I personaggi del presente raccontano con flaskback filmati le vicende di Birkut e loro stessi com’erano. Con il racconto del regista di cinegiornali vengono svelati i retroscena dei film propagandistici degli anni ’50. Insomma non era oro quello che brillava. Solo Birkut credeva a quello che faceva. Il regista così ligio all’ideologia è adesso un personaggio famoso, ricco e che pensa solo al successo.
Lo zelante funzionario di partito ci mostra la caduta di Birkut, il quale fin troppo onesto e fin troppo disinteressato, dava noia a troppi potentati e quindi è stato ridotto all’impotenza e diffamato con un processo farsa. Questo zelante ex-funzionario adesso fa il ricco tenutario di un locale di spogliarelliste/prostitute.
Witek, l’amico del cuore, ci fa vedere il rifiuto di Birkut di entrare nella nomenklatura, visto che il vento era cambiato e gli ex perseguitati erano ora al potere. Birkut era rimasto povero mentre Witek era diventato il potente direttore di mega-acciaierie, quasi un tycoon capitalista. Infine l’ex-compagna ci fa vedere il fallimento sentimentale di Birkut. Lei alla povera onestà che poteva offrire Birkut ha preferito la ricchezza e la rispettabilità borghese di un piccolo negoziante.
Il messaggio è chiaro: il “comunismo” non è riuscito a sviluppare il suo vero spirito, ha tradito le persone sincere e disinteressate come Birkut ed è stato preso in mano da ambiziosi, potenti e avventurieri che lo hanno trasformato in una pallida copia del borghese capitalismo.
Arrivati faticosamente a questa conclusione, il film non ha però il coraggio di lasciarci con il cerino in mano. Come il finale posticcio di Quarto Potere, anche qui si è voluto attaccare una specie di appendice con una “conclusione” alla storia. Il testimone passa al figlio di Birkut che, guarda caso, lavora agli stabilimenti navali Lenin di Danzica, il luogo di nascita di Solidarnosc e della sollevazione del 1980. In fondo, Wajda, come un po’ tutti i suoi concittadini, non aveva idea di cosa fare (ricreare lo spirito originario del comunismo o adeguarsi ai tempi?) o cosa gli aspettasse con la fine del simulacro del comunismo … Anzi forse la storia di Birkut (tante belle speranze tradite) si è proprio ripetuta dal 1989 in poi.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  22/02/2007 23:37:51
   7½ / 10
Un film che è un classico del cinema sociale, con un'invettiva anche superiore al pur eccellente regista inglese Loach.
Intendiamoci, resta un'opera di una lentezza infinita, a tratti prigioniero della sua enfasi "democratica", ma bisogna riconoscerne il valore storico e d etimologico, il suo (per l'epoca) coraggio.
Credo che evidenzi molto bene i rapporti tesi tra la Polonia e la Russia, ideologicamente parlando.
Con lo spirito di oggi, non saprei cosa rispondere, visto che ho già detto cio' che pensavo a proposito del successivo "l'uomo di ferro"

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