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Voto Recensore: | 8,00 / 10 | ||
Si trova davvero tutto nei meandri del World Wide Web; eccentricità, stranezze, anormalità di ogni tipo che trovano facilmente un posto nella florida industria americana del cinema, la quale cerca di soddisfare un po' tutti, anche di appagare le richieste più bizzarre. Solo non accontentandosi di ciò che passa il convento, ricercando, curiosando, si può infatti scovare un caso curioso come "One-Eyed Monster" ("Mostro a un occhio solo") che, dal titolo associato alla presenza straordinaria di Ron Jeremy, dovrebbe suggerire la piega che prenderanno gli eventi e allontanare quindi chi disprezza il porno o qualunque cosa lo riguardi alla lontana.
Sembra impossibile definire serio tutto ciò, eppure, nel complesso, il film risulta molto più serio di tanta altra roba che cerca di esserlo a tutti i costi; non profondo, ci mancherebbe, ma con un significato, un target ed un obiettivo ben precisi. Intelligente, ecco.
È proprio questo che ci proponiamo di "dimostrare" con la seguente recensione.
E se davvero non riuscite a trattenervi dal ridere al pensiero, non c'è da preoccuparsi: lo spettatore alle volte, quando è soddisfatto personalmente di ciò che ha visto, riesce ad essere indulgente verso tutto e, non contento, si attiva per render bendisposti anche gli altri.
2007, Nord della California: una piccola troupe si reca in una baita dispersa tra le montagne a girare un film per adulti, ma non tutto va per il verso giusto…
Una misteriosa luce proveniente dal cielo, forse una creatura aliena, colpisce improvvisamente Ron, il veterano del cast, impadronendosi del suo impressionante membro che diventa così una creatura indipendente.
Naturalmente il mostro ad un occhio non è un benevolo visitatore arrivato per caso sulla Terra: a quanto pare ha un preciso piano di conquista che lo porta a commettere uno dopo l'altro terribili omicidi ai danni degli attori e dei tecnici, nel frattempo costretti nella baita da una furiosa tempesta di neve. L'arrivo inaspettato di Mohtz, reduce del Vietnam che mostra di saperne molto sulla bizzarra evenienza, aguzza gli ingegni dei sopravvissuti, ma neanche con sofisticate trappole si riesce a tenere a freno la famelica sete di sangue (o di qualcos'altro ?) del pene killer.
Solo il sacrificio di Veronica mette fine ad un orrore che rischiava di protrarsi su più vasta scala con conseguenze inimmaginabili.
Sebbene si possa pensare il contrario, il film non è uno degli innumerevoli prodotti Troma low-cost, anche perché la casa indipendente americana di Lloyd Kaufman ci ha abituato piuttosto a brutte copie dei kolossal hollywoodiani, in versione parodica, lungi dunque dallo sforzarsi particolarmente per un soggetto originale.
Certo, non è propriamente originale neppure il nostro "One Eyed Monster", dato che, da quando sono stati completamente sdoganati l'argomento sesso e la sua trattazione esplicita, questi vanno spesso e volentieri a braccetto con il genere horror. Si può pensare, infatti, come la gran parte dei serial killer di fantasia (Freddy Krueger, Jason Voorhees) abbiano come prede principali adolescenti in piena tempesta ormonale e si ritrovino quindi ad uccidere le proprie vittime mentre sono impegnate nel coito, o, per citare esempi più affini e più vicini, come l'organo sessuale stesso sia giunto a diventare oggetto di orrore (è il caso di "Denti", più celebre di "One Eyed Monster" e praticamente speculare ad esso nell'idea di base).
Nonostante queste premesse, e la presenza di due colonne del porno come Ron Jeremy e Veronica Hart, il film ha un contenuto di immagini davvero innocuo: l'approccio al mondo del porno appare più che altro scherzoso e si riserva, invece che scene volgari e dettagliate, un simpatico repertorio di battute a sfondo sessuale che ben rientra nel contesto generale del film, una zoomata nei retroscena del porno.
Così nascono situazioni comiche quali Ron che si rammarica di non riuscire più a praticare l'autofellatio (capacità che vantava davvero in passato) per la vecchiaia, trucchi delle attrici per sopperire ai problemi imbarazzanti che possono sorgere e, naturalmente, esilaranti equivoci nei primi momenti della fuga del pene.
Se questa comicità licenziosa e spensierata, già troppo vista e leggermente infantile, può essere considerata come un primo e più immediato livello di lettura, ce ne sono altri invece che scaturiscono da scelte più meditate, da obiettivi più profondi e ampi, veri e propri piani di interpretazione che i più saranno restii ad ammettere per la dissonanza che c'è tra un tale film e tutto ciò che esuli e vada oltre la semplice dimensione del (mal)sano intrattenimento.
In effetti dobbiamo considerare che subito dopo il porno (come specificato anche nel film), il genere che quantitativamente produce di più è verosimilmente l'horror, per una serie di motivi legati ai loro requisiti che contribuiscono a tenere bassi i costi e a favorire il livello amatoriale; ragion per cui la distribuzione dei prodotti finiti, di fronte a una scarsissima richiesta, può avvenire per vie traverse, le quali garantiscono comunque una diffusione capillare.
Sicchè questi milioni di prodotti che girano sul web saranno praticamente tutti uguali gli uni con gli altri, specialmente i porno che ripropongono puntualmente le stesse situazioni (se ne ha un assaggio ironico anche nel nostro film, mentre Ron e Veronica stanno "inscenando" un'audizione, uno dei topos della cultura hard, che sicuramente, dice lui, andrà benissimo…).
L'horror però, essendo più propriamente un genere cinematografico, trovandosi di fronte una così vasta concorrenza deve inventarsi qualcosa. Deve, a volte, ritorcersi su se stesso, smaterializzarsi, destrutturarsi, rivelare il proprio funzionamento, abbandonare, se necessario, il proprio obiettivo (spaventare) e proporsi addirittura quello opposto, pur di piacere.
Nascono così quegli horror che deridono se stessi e le proprie regole, in diversi modi: svelandole in maniera palese -rovinando ad esempio l'effetto suspance; stravolgendole -viene in mente "Blu Profondo", in cui quel che sembrava già visto si trasforma improvvisamente in una beffa- o distorcendole con un effetto comico -sostituendo, tanto per citare una delle alternative possibili, al mostro una creatura innocua ("Black Sheep"), un oggetto o una parte del nostro corpo appunto; piegandole ai gusti e agli sfizi personali del regista ("Hostel"); rispettandole minuziosamente, a tal punto da apparire una caricatura del genere stesso.
Per dirla in breve insomma, gli horror, specie negli ultimi tempi, sono diventati divertenti: si prendono in giro da soli. Non c'è più tanta pretesa di far paura, non più tanta convinzione che sia possibile rinchiudere un simile potere nella celluloide, non è più una sfida all'horror più pauroso (come si divertono a fare tra loro le case di distribuzione): la nuova sfida, ora, è all'horror più originale, divertente e dissacrante, quello che più riesca a discostarsi dalla piattezza generale.
Con queste osservazioni è facile accostare il modo di fare dello sconosciuto Adam Fields (che ha diretto, prima di questo, alcuni episodi di serie Tv come "Dawson's Creek" e "Buffy") allo stile di gente come Eli Roth, uno dei Tarantino boy, il quale, per quanto abbia a disposizione somme molto più consistenti, non ha ancora smesso, come il suo compagnone del resto, di giocare con la macchina da presa.
Partendo da queste constatazioni, vediamo come "One Eyed Monster", essendo un horror racchiuso nel mondo del porno, si proponga di prendere in giro le convenzioni e le modalità di entrambi.
Il porno viene sbeffeggiato nella maniera già vista (doppi sensi, allusioni, situazioni tipo), e degna di menzione in questo senso è la scena in cui Angel (la mora), mentre "prova" la parte, dimentica le battute e consulta il copione, come se vi fosse bisogno di un copione per questo genere di cose.
Anche il simulatore neuro-tattile di T.J. altro non è che un'iperbolica rappresentazione dell'industria del sesso, di tutte le diavolerie che invadono i sexy shop e che permettono di ovviare all'assenza di un partner; con il simulatore si distrugge ogni residuo di privacy e così neanche gli orifizi delle star inaccessibili sono più un mistero.
Ancora, la patina sentimentale che ricopre i momenti di dialogo tra Ron e Veronica, quasi alla "Beautiful", è cosa ben desueta per essere il retroscena di un film hard.
Ma, del resto, già il fatto che uno dei due generi venga messo al servizio dell'altro è una maniera ironica di giocare con entrambi.
Per l'horror, la maniera più ovvia di procedere è tramite citazioni: oltre ad "Alien", è evidente il grosso omaggio a "La cosa" – infezione aliena, personaggi relegati in una baita isolata dalla bufera di neve – che offre praticamente trama e ambientazione; la distorsione applicata a un simile colosso dell'horror è proprio uno dei meccanismi comici cui abbiamo fatto riferimento prima.
Inoltre, dopo una prima fase di sbandamento, le vittime dell'horror si ritrovano di solito a congetturare sulle possibili cause degli eventi; è un metodo indiretto del regista per spiegare ai suoi spettatori come sono o possono essere andate le cose, per rendere più verosimile e accettabile il paranormale o l'anormale che ha fatto irruzione nel quieto vivere dei personaggi.
È gustoso quindi godersi la reazione e le assurde ipotesi di quelli implicati nella nostra storia, in una circostanza completamente fuori dal comune che ha tutte le sfumature del comico a vederla da fuori (e che quindi le ha per noi): alieni che captano i nostri messaggi televisivi e sfruttano il membro della pornostar più famosa per diffondere il loro seme e moltiplicarsi: una fantasiosa trama degna di una "Guerra dei mondi" a sfondo sessuale.
L'effetto comico più esilarante, però, è raggiunto dalla delineazione dei personaggi, tutti stereotipi ribaltati opportunamente e soggetti alla crudele legge del contrappasso.
Analizziamo perciò, uno ad uno, i membri della troupe:
- Rock: è uno dei due attori giovani, quello apparentemente più duro, con smorfia da spocchioso, uno di quelli che il nostro Rocco definirebbe "poco professionali". Fa la parte dell' "antipatico", appellativo che basta e avanza per definire il suo ruolo, giacché non è altro che una macchietta da deridere. Ne è testimonianza la fine che fa: ucciso nel maldestro tentativo di fuga, mentre cerca di cambiare le marce dell'auto impugnando il pene.br/> - Angel: l'attrice mora che, a quanto se ne deduce, è abbastanza capace e diligente nel lavoro. Adeguata la legge del contrappasso, che la fa morire in un rapporto orale un po' troppo furioso.
- Lance e Wanda: la somiglianza dei due personaggi giustifica l'analisi di coppia; entrambi dimostrano di essere al di fuori del mondo in cui si sono venuti a trovare: lui, impacciato, che non riesce a relazionarsi con una donna solo sessualmente e a prescindere dalle fondamentali tappe dell'amore, lei che d'altro canto non può resistere alle sue dolci lusinghe. Emblematica la loro fine: nel bel mezzo di un romantico appuntamento in bagno, in una slinguazzata tutt'altro che romantica, a testimoniare, tuttavia, la loro militanza nel porno, vengono sepolti da una ragnatela di sperma, che li terrà imprigionati per sempre. È il caso di dire che i due, oramai, si erano scelti la bara.
- Jim: è il produttore, come da tradizione, attaccato ai soldi, alla sua carriera e a sé stesso. Leggera differenza da Rock: lui è il vero stronzo. Muore anch'egli durante una fuga a tradimento, sezionato in due dall'oggetto del suo lavoro.
- T.J.: è il fonico, il nerd, il cervellone del gruppo che elabora teorie geniali sul presunto accaduto e ne inventa una più del diavolo per tentare di intrappolare il killer. Non basta la sua inventiva però: la macchina soccombe di fronte alla potenza degli apparati umani (che sia un messaggio ?).
- Jonah: è il cameraman, il "duro", il leader maschio del gruppo una volta venuta a mancare la potestas di Ron. La sua voce profonda e ferma la dice lunga. E, altro gran colpo d'ironia, un nero incaricato di assistere a un porno invece che di parteciparvi da protagonista è cosa nuova.
- Veronica Hart: nella parte di sé stessa, da esclusa del gruppo diventa la sola capace di tenere a bada la bestia, grazie all'asso (nella manica ?) degli esercizi Kegel. In lei si consuma il dramma della vecchiaia, dell'inadeguatezza delle età avanzate per certi tipi di lavoro, condizione incarnata recentemente nel cinema dalla Marisa Tomei di "The Wrestler". Un tocco leggermente drammatico che non nuoce affatto all'economia del film.
- Laura: ha il volto di Amber Benson - una delle attrici meno dilettanti del film, vista in "Buffy" – e il ruolo di collaboratrice/fan/adoratrice di Ron Jeremy. Il suo amore puro e sincero, quanto mai inadatto per un pornodivo di tale calibro, purifica in certo senso il film, invaso dal sesso edonistico e lucroso. Anche la sua presenza, dunque, rispetta perfettamente il gioco dei controsensi. L'incolumità del tutto eccezionale di cui gode di fronte al pene di Ron e il fatto, ancora più sbalorditivo, che l'organo con lei si dimostri fertile (a una velocità decuplicata) possono essere letti in chiave moraleggiante: l'amore è più forte di ogni cosa.
Ma, dopo aver assistito a un film del genere, in cui la sola regola è la presa in giro, si può credere a una simile morale, o anche a una qualsivoglia morale?
- Ron Jeremy: "The Hedgehog" - "Il porcospino" – è il grande nome del film e mai scelta di attore fu più azzeccata. Azzeccata perché Ron Jeremy è esso stesso un paradosso vivente: "basso, grasso e peloso", come dice lui quando si descrive, ma anche uno dei più famosi attori hard di tutti i tempi. La sua perenne autoironia è continuata nel film, costretto anche qui a ricevere scherzosi sberleffi sulla sua peluria e sulla sua vecchiaia. Se ne va fisicamente dopo poco, ma in realtà è lui, o parte di lui, il vero protagonista.
- Mohtz: in poche parole il 50% del film, un personaggio che non faticherebbe a imporsi come cult se solo questo prodotto fosse più conosciuto. A parte l'indiscutibile bravura dell'attore Charles Napier, la figura di Mohtz ha in sé una potenza dissacratoria che non deve sfuggire: presentatoci come reduce del Vietnam impazzito, affogato, come tanti, nei piaceri dell'alcool e nella tristezza della solitudine, fa la sua breve e indispensabile comparsa a metà film, cosparso di neve e intorpidito dal freddo; una volta riavutosi, parla con determinazione e senza mezzi termini ("Lo ucciderò per voi", "Circonciderlo nell'oblio, con un'ascia") e, dopo l'epica scena dell'abracadabra, racconta durante la notte la sua vera storia.
Il suo non è il solito Vietnam, è un altro Vietnam, assurdo come quello reale, ma in linea con la sconclusionatezza del film.
In pratica Adam Fields mette mano allo stereotipo del reduce del Vietnam, il cui schematismo non rende giustizia a quella che è la drammatica realtà, facendo addurre le cause dell'abbrutimento non più agli orrori di guerra, ma a un evento soprannaturale del tutto identico a quello che si svolge nella baita, nel più totale stupore dello spettatore che, dopo centinaia di film sul tema, aveva già fissa in mente la consueta immagine tramandata da Stallone, De Niro e Sheen.
In questo, il regista si dimostra anche critico verso la tendenza di molti film a usare luoghi comuni sempre più lontani dalla realtà o a sfruttarli pedissequamente senza ulteriori analisi, una critica attuata, come detto, dall'utilizzo e dall'alterazione degli stessi.
Un'ultima simpatica battuta - che sarà sfuggita a chi ha fretta di togliere i titoli di coda – a testimonianza, ancora, della non-serietà del film, è il messaggio che ci avvisa della non veridicità di fatti, storia e personaggi ma che, aggiunge, il pene di Ron Jeremy è davvero lungo quanto si dice nel film, nel caso esistesse ancora qualche scettico.
Se volessimo continuare ad essere presuntuosi e azzardare ipotesi che il regista non ha neanche preso in considerazione, potremmo addirittura dire che il film è una condanna al mondo che racconta, avvisandoci, abbastanza esplicitamente, della violenza e del male a cui può condurre.
Ma, già nel dirla, la tesi appare più infondata che altro: il sesso, certo, non è pratica che si debba estremizzare o di cui si debba abusare, ma è difficile credere che intento di questo film fosse di condannarlo, specie se, a rappresentarlo, è stato chiamato il sorridente Ron Jeremy. La trattazione, poi, è scherzosa e improntata a toni leggeri, ed è probabile quindi che l'intero progetto sia nato come simpatica strizzata d'occhio a un modus vivendi che, in fondo, è stata inventato e diffuso dall'America.
Non sarebbe male se si facesse un po' di pubblicità a pellicole simili, dall'alto potenziale di divertimento ma allo stesso modo intelligenti, sicuramente all'altezza di prodotti come "Scary Movie".
Sarebbe un peccato, in effetti, se "One Eyed Monster" rimanesse, per dirla alla Mohtz, circonciso nell'oblio.
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Recensione a cura di julian - aggiornata al 14/09/2010 12.25.00
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