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É di moda a Hollywood, negli ultimi anni, riportare il fantasy al cinema, pescando da qualsiasi best seller letterario che abbia un numero di lettori e appassionati quantificabile in almeno una manciata di milioni sparsi per il globo, tale da giustificare un investimento rapido e possibilmente indolore in questo genere ormai prosciugato e rischioso.
Parlare di "fantasy" inteso come tutto ciò che può essere ricondotto all'accezione di "fantastico/puramente immaginativo/irreale/ciò che è concepito dalla mera fantasia" e via citando, e dunque in contrapposizione al reale, è come incamminarsi per una selva oscura, vasta e indefinita. Tanto vasta e indefinita come può esserlo la nebulosa della creatività e della capacità intellettiva umana.
Il fantasy così inteso racchiude perciò tutto lo scibile che il pensiero umano può concepire, di sicuro con dei limiti, ma molto vasti.
Se invece ci si vuol riferire a quel determinato genere nato in letteratura tanto tempo fa (con Jules Verne? Con Robert E. Howard? Con Swift? La Bibbia?) ed esploso, cinematograficamente parlando, nove anni fa con "Il Signore degli Anelli", il campo si restringe alquanto.
Da allora il pubblico mondiale si è massificato, ed è doveroso aggiungere che non si tratta di un termine negativo, bensì descrive la condizione della nuova industria dell'intrattenimento per cui tutto il pubblico, che si trovi pure ai due estremi del mondo, è accomunato e parificato grazie alla rete, che garantisce la condivisione di emozioni ed entusiasmi legati a un film in tempo reale, nonché strategie di marketing che prevedono fin da principio la capillare diffusione su scala mondiale di un prodotto, concentrando tutto in tempi ristretti affinché si possa sfruttare al meglio l'energia del momento. Com'è vero, d'altronde, che la concorrenza non lascia spazio.
Al fenomeno di Peter Jackson e compagni ha fatto subito séguito il campione di Hogwarts, Harry Potter, in verità quasi contemporaneo, che ha aperto una strada in discesa alle grosse produzioni, subito in lotta per accaparrarsi la fonte inesauribile di guadagno facile: gli adolescenti.
Il pubblico infantile e adolescenziale, la grande risorsa del cinema americano.
Dunque giù nella pattumiera le scolorite patacche di George Lucas, ormai al tramonto creativo, per dare spazio a una visione tutta nuova, dove elementi della favolistica antica si uniscono agli elementi della nuova tecnologia, gli animali parlanti con gli imberbi adolescenti in jeans e scarpe Converse armati di iPod, e quando possibile affiancandoci numerosi divi e non più divi nei ruoli degli adulti, ma solo per apparizioni di pochi minuti, quanto basta per richiamare l'attenzione di qualche genitore.
Prima o poi però tutto finisce, e anche i grandi giacimenti si esauriscono, così tocca andare a succhiare con la cannuccia le ultime gocce rimaste sul fondo del pozzo.
In linguaggio meno scanzonato la mossa si riduce a stringere contratti con scrittori senza pretese, ma anche senza tante risorse, di letteratura per bambini, quando ormai non si ha più nulla di originale da offrire a un pubblico sempre più abituato agli effetti speciali, alle epiche, alle saghe, agli eroi. Un po' come rovistare nel cestone delle offerte dei grandi magazzini.
Qualcuno potrebbe obiettare, spesso a ragione, che a volte non c'è nulla di eccessivamente disdicevole a buttar giù allegre scemenze, o a scherzare, con la solita ingenuità americana, con la mitologia greca, come nel caso di questo "Percy Jackson e gli Dei dell'Olimpo: il ladro di fulmini" (anche se chi ha amato la cultura classica potrebbe storcere il naso davanti a cotanta faciloneria), ma è anche vero che, e ci ricolleghiamo al discorso sulla vastità del fantastico come antitesi del possibile, per quante possibilità ci siano, per quante ne offra la tecnologia, tutto si riduca a una visione piatta e banale del solito canovaccio, in attesa di qualche nuovo fenomeno (ma i dirigenti degli studios di Los Angeles non si preoccupino più di tanto, manterranno il posto, il 3D è all'orizzonte e gli occhialini hanno fatto lievitare il costo del biglietto).
Inoltre è certo che a una pellicola ad alto budget, forte di un lancio pubblicitario enorme e, cosa più importante, di una vasta distribuzione, si possa richiedere qualcosa di più che una così sconsolante e puerile visione del fantasy. Ripetersi significa fermarsi davanti al futuro, e non è una caso se di questi tempi ciò che va per la maggiore sia il detestabile "revival", un continuo ripescaggio del passato per far fronte a una carestia diffusa di buone idee che sappiano incidere o perlomeno soddisfare. Siccome nulla può essere uguale nel profondo, la struttura mostra i trucchi e cade in pezzi.
Questo è dopotutto "Percy Jackson", un fondo di magazzino a cui i produttori hanno attinto velocemente, tra le dichiarazioni entusiastiche delle star svogliate che vi hanno preso parte per pure ragioni alimentari e di un regista, Chris Columbus, ormai in fase discendente, per sfruttare quel sottogenere incolore che fa capo a "Le cronache di Narnia" e "La bussola d'oro", film che sarebbero dovuti essere capitoli di almeno una trilogia ma che sono naufragati nell'indifferenza dei più.
Perché accade questo? La risposta è semplice: lo spettatore è stanco, e quando una nave affonda le toppe di cartapesta non bastano se attorno c'è un oceano. Il genere è finito, ha detto tutto, e soprattutto non diverte più.
Quale bambino si può impressionare davanti a ciò che in un qualsiasi videogioco del 2010 trova quintuplicato in spettacolarità e coinvolgimento?
Qualcuno ha capito che per resuscitare queste creature morte bisogna agire e operare alla radice, azzerando e ritenendo superato qualsiasi elemento di attrazione finora utilizzato. É il caso dei nuovi cartoon interamente realizzati al computer, che non si accontentano di stupire con belle immagini, oppure, per toccare un mito da sempre creduto infantile, "Il cavaliere oscuro"; altri invece non lo hanno ancora capito, e continuano a sperare in mosse commerciali che lasciano solo sconforto.
C'è davvero poco o niente di cui accontentarsi in questa totale assenza di fantasia.
E lo provano gli sghignazzi di un paio di infanti recepiti in sala a fine proiezione.
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Recensione a cura di matteoscarface - aggiornata al 23/03/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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