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Jake ed Elwood Blues scoprono che l'orfanotrofio dove sono cresciuti sta per chiudere, a meno di trovare fondi per 5000 dollari per pagare le tasse.
L'unico modo per raccimolare (onestamente) quei soldi in fretta è quello di rimettere insieme la vecchia band e trovare qualche ingaggio.
Né l'una né l'altra cosa si riveleranno particolarmente facili ma i fratelli Blues, armati di microfono, sono in missione per conto di Dio, e niente può fermarli, né la polizia dell'Illinois, né i nazisti, né band rivali, né antiche amanti deluse ed armate fino ai denti...
Nella prima parte del film Jake ed Elwood devono convincere i membri della band, tutti con lavori rispettabili, a riprendere la vecchia vita.
Una volta riusciti nell'intento, con mezzi più o meno leciti (ma quasi sempre esilaranti), è necessario trovare un ingaggio e riuscire a suonare prima di finire nuovamente dietro le sbarre, visto che i fratelli Blues hanno una naturale tendenza ad andare contro la legge.
C'è da chiedersi se abbiamo attitudini particolari che non scopriamo mai.
John Belushi era un patito del rock e dell'heavy metal, ad esempio. Un giorno, il suo amico e partner artistico Dan Aykroyd gli fece ascoltare dei vecchi dischi di rythm and blues... e il resto è storia.
i Blues Brothers nacquero al Saturday Night Live, come uno dei tanti numeri musical-demenziali dello show, la prima volta neanche "in divisa".
Jake Blues il soul ce l'aveva nel sangue solo che ancora non lo sapeva; un misto di romanticismo e aggressività, ironia e impudenza. Oggi Jake Blues non c'è più, John Belushi se l'è portato via un'overdose molto tempo fa, in un vortice di autodistruzione che spesso è il prezzo che si paga al talento selvaggio e puro.
Alla fine degli anni settanta, all'apice del successo con un album - "Briefcase Full of Blues", che nell'epoca della musica elettronica e della disco aveva ridato lustro ad un genere in declino con un sound innovativo, tra l'altro con un successo strepitoso - fu naturale per Dan Aykroyd scrivere la storia cinematografica dei fratelli Blues, dagli inizi nell'orfanotrofio alla vita sempre in bilico tra un palco e una cella di prigione, fino ad una missione per salvare l'unico luogo che si potesse chiamare casa e le uniche persone che si potessero chiamare famiglia.
Insieme a John Landis, arruolato per la revisione dello script e la regia, Aykroyd e Belushi ingaggiarono il gotha della musica soul: Aretha Franklin, James Brown, Ray Charles, Cab Calloway (più in un cameo Bo Diddley) per un film che negli anni è diventato un cult assoluto e incapace di invecchiare.
"The Blues Brothers" deve essere considerato un musical, visto l'elevato numero di canzoni e artisti, anche se l'unico numero davvero da musical tradizionale è quello di Aretha Franklin (e in parte quello di Ray Charles), essendo gli altri esibizioni a tutti gli effetti della band.
Almeno, deve essere considerato la versione National Lampoon del musical, anche se poi la qualità delle interpretazioni e dei numeri musicali è talmente elevata che non si può certo parlare di parodia: la versione di "Think" suonata dalla Blues Brothers Band è la migliore che chi scrive questa recensione abbia mai sentito.
L'iconografia del film (i vestiti neri, gli occhiali da sole, la macchina della polizia) è rimasta nella storia del cinema ed è entrata nella cultura popolare, così come alcune memorabili battute - su tutte "Siamo in missione per conto di Dio" - ma la forza di "The Blues Brothers" è soprattutto la sua dedizione totale alla musica, che rende il film incapace di sentire il peso degli anni e pertanto accessibile anche oggi a chiunque ami il soul o anche soltanto suonare insieme agli amici.
Il cast, guidato da Aykroyd e Belushi, è ricco di comprimari particolarmente in palla (Carrie Fisher, il compianto John Candy, Kathleen Freeman) ed evidentemente divertiti dai ruoli smaccatamente surreali che interpretano.
L'impronta è quella degli sketch del SNL e del filone National Lampoon, un umorismo giocato sull'assurdità totale delle situazioni e sulle reazioni dei protagonisti (i due fratelli restano imperturbabili anche quando la loro casa viene demolita a colpi di bazooka, ad esempio), più che sulle battute o sulle gag.
Lo stesso Belushi costringe e limita la sua fisicità dietro gli occhiali da sole per scatenarsi prevalentemente sul palco, mettendosi completamente al servizio della storia.
La colonna sonora include classici del soul e del rythm and blues, senza sovrapposizioni con "Briefcase full of Blues", e memorabili divagazioni country ("Stand By Your Man", non inserita nella colonna sonora, e "Theme from Rawhide", cantata da Elwood), e risulta, all'ascolto, impossibile da non associare, pezzo per pezzo, alle singole scene del film, segno che ogni canzone utilizzata ha un suo senso e una sua perfetta collocazione nella storia.
"The Blues Brothers" negli anni è diventato un cult movie per diverse generazioni; la chimica degli elementi, in questi casi, sfugge anche all'analisi, tutto funziona alla perfezione anche se non si direbbe che l'intento sia stato molto diverso da quello di fare un film comico musicale senza pretese.
L'essenza del cinema è quella di impressionare lo spettatore grazie all'unione di immagini e sonoro e
come il soul, "The Blues Brothers" arriva dritto al punto senza sofisticazioni e senza pudore, investendolo di energia contagiosa.
Essere tutt'uno con ciò che si racconta, forse questa è la chiave: un film sul soul che sembra un pezzo soul.
Sembra facile ma non lo è affatto, come in una band arrivare alla perfetta sintonia tra gli elementi: quando c'è, è tutto diverso, anche se non lo sai spiegare.
Una curiosità: un giovane Steven Spielberg è l'impiegato del comune che si vede alla fine del film.
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Recensione a cura di JackR - aggiornata al 06/11/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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