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Esiste un luogo, in un tempo futuro, in cui le persone non hanno memoria degli eventi passati, non hanno sentimenti come amore, odio, paura o dolore, non hanno guerre, non hanno animali e non hanno nemmeno più la capacità di vedere il mondo a colori. Le famiglie sono composte secondo compatibilità, ognuna con un figlio maschio ed una figlia femmina.
Questo posto è governato da un consiglio di Anziani che durante la Cerimonia dei 12 assegna ad ognuno il lavoro che avrà per il resto della vita a seconda delle doti. Jonas (Brenton Thwaites, "Oculus - il riflesso del male" e "Maleficent") ha un dono speciale, quello di "sentire", grazie al quale viene nominato come prossimo "accoglitore", ossia l'unico nella comunità ad avere accesso alla memoria storica del mondo che gli viene trasmessa dal "donatore" (Jeff Bridges, "Tron" e "Il grande Lebowski").
La progressiva conoscenza degli eventi induce Jonas alla decisione di non sottoporsi più alle iniezioni mattutine volte a inibire i sentimenti, cosa che gli farà pian piano riacquistare la capacità di vedere i colori e di portare ad un livello superiore la sua amicizia con la bella Fiona (Odeya Rush, "L'incredibile vita di Timothy Green"). L'ultima goccia sarà la comprensione della pratica chiamata "congedo": in pratica un omicidio legalizzato, che verso il neonato Gabriel è visto come pura follia dall'ormai "risvegliato" Jonas. La decisione è presa: arriverà al limite dei confini del paese per liberare la memoria di tutti e ridare il libero arbitrio.
In principio era Ray Bradbury col bellissimo "Fahrenheit 451". Dal lontano 1953 in molti hanno attinto da quella meravigliosa idea del mondo-senza-libri. In pochi l'hanno omaggiata nel modo dovuto. Questa pellicola del pur capace Phillip Noyce ("Il collezionista di ossa", "Giochi di potere", "Sotto il segno del pericolo", "Furia cieca", ecc...), rientra purtroppo nella seconda categoria.
"The giver - Il mondo di Jonas" è uno di quei film che, mentre le immagini scorrono sullo schermo, riescono ad emozionare facendo leva su un'ottima fotografia e una grandissima capacità da parte del montaggio di scegliere le sequenze nel modo più toccante. Un esempio su tutti: per spiegare il concetto di coraggio all'accoglitore, Jeff Bridges tramite contatto delle mani comunica, tra le altre, la famosa scena del ragazzo cinese che durante la rivolta in piazza Tienanmen si parò davanti a dei carri armati per fermarli. Applausi. O lacrime. In ogni caso bravo.
Inoltre accanto ai due protagonisti girano anche comprimari di tutto rispetto. Ad iniziare dall'eterna Meryl Streep ("Kramer contro Kramer" e "La mia Africa") nei panni del capo degli Anziani, passando per la bellissima Katie Holmes (Joey Potter di "Dawson's Creek" e "Batman begins") che interpreta la madre di Jonas, e infine Alexander Skarsgard (Eric di "True Blood" e "Melancholia") ovvero il padre del ragazzo. Un cast importante, il livello di recitazione non cala mai, sono tutti credibili e arrivano al punto senza troppi fronzoli. E Katie in tailleur nero e tacchi alti vale sempre il prezzo del biglietto.
Ma fotografia, cast e montaggio non bastano a salvare l'insieme da una stroncatura. Intanto perché il protagonista, Jonas, nel libro di Lois Lowry ha 12 anni, nel film 17 e nella realtà Thwaites ne ha 25, un salto troppo consistente che si vede soprattutto quando è chiamato alle scene con la bella Odeya Rush (decisamente molto bella...). Poi perché di idee davvero nuove non se ne vedono e quelle vecchie sono fin troppo palesi. Come il progressivo riconoscimento dei colori, già visto in "Pleasantville". Oppure il congedo di uno dei neonati, scena che ovviamente scatena la reazione del pubblico, contravvenendo alla vecchia regola del non-si-uccidono-bambini-al-cinema. Vedendola interrotta in quel modo si capisce per quale motivo era stata concordata. Per finire con la fuga di Jonas oltre i confini in bicicletta col piccolo Gabriel nel cestello che richiama "E.T. L'extraterrestre". Ma sicuramente non è un hommage e per questo fa ridere senza volontà di far ridere. Quindi male.
Ma è proprio alle fondamenta che il castello è fragile. Intanto perché non aggiunge nulla al suo progenitore (Fahrenheit, appunto), poi perché questa captatio benevolentiae tramite cliché troppo facili quali la società perfetta costruita tramite il controllo delle emozioni, fino all'omicidio degli individui che nascono già deboli come in una novella Sparta, ha decisamente stancato.
Volendolo etichettare citando una delle frasi più riuscite del film (e comunque anche questa già sentita più volte), si potrebbe dire al buon Noyce che "se le persone hanno la possibilità di fare scelte, fanno quella sbagliata ogni singola volta".
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Recensione a cura di marcoscafu - aggiornata al 16/09/2014 16.18.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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